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La Cina riconosce ufficialmente la denominazione di Bordeaux, ma il problema del vino contraffatto non accenna ad arretrare. Per sconfiggere davvero la piaga dei falsi, però, la battaglia deve spostarsi dal piano legale a quello culturale ...

La contraffazione, in un settore come quello del vino, è ancora una delle piaghe peggiori, specie quando si parla di fine wine francesi e di mercato cinese, Paese che ha da poco riconosciuto la denominazione di Bordeaux, ma in cui la quantità di falsi in circolazione è talmente alta da scoraggiare persino lo stesso direttore del Conseil Interprofessionnel des Vins de Bordeaux, Fabien Bova, che a “Vitisphere” (www.vitisphere.com) ha confidato: “dovremmo smettere di dare dati sulla contraffazione, tanto non hanno alcuna evidenza numerica reale e non fanno che danneggiarci”. Ed è vero che “non esistono statistiche ufficiali su quello che - come sottolinea l’ex presidente della Commission Vins & Spiritueux del Consiglio per il Commercio Estero francese, James de Roany - è ovviamente un qualcosa di illegale, ma valutazioni vengono fatte di continuo, ed il fenomeno negli ultimi tempi è tutt’altro che migliorato”.

E proprio per questo motivo la Commission Vins & Spiritueux ha stoppato la pubblicazione dell’ultima relazione sulla contraffazione di vini e superalcolici, una decisione che palesa le difficoltà dei produttori d’Oltralpe nel comprendere le dinamiche di un Paese come la Cina, dove, come spiega ancora James de Roany, “non si può pensare di risolvere il problema solo affrontandolo da un punto di vista giuridico. L’ostacolo più grande è di natura culturale: per loro il concetto di terroir è un concetto lontano, concepiscono il vino come noi concepiamo una Lacoste, come qualcosa che può essere prodotto ovunque, se non facciamo loro capire l’importanza fondamentale della territorialità delle singole produzioni, la loro unicità, non supereremo mai il problema della contraffazione”.

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