Era il 1973, e sono passati 50 anni, dal primo “Mattia Vezzola Metodo Classico”. Un traguardo di eccezione per Mattia Vezzola, enologo viticoltore illuminato di fama internazionale, tra i più grandi maestri della spumantistica italiana, per tanti anni alla corte di Vittorio Moretti, con Bellavista, in Franciacorta, di cui ha segnato la storia, e che, nella sua cantina Costaripa, nella Valtènesi, “ha festeggiato, per la prima volta, qualcosa per sé”, come ha scherzosamente sottolineato. 50 anni ripercorsi in un fiato - stimolato dall’amico Davide Gaeta, professore di Economia dell’Impresa Vinicola dell’Università di Verona, e produttore in Valpolicella, con la cantina Eleva - tra evoluzioni tecniche in vigneto e cantina e la nascita di una spumantistica italiana di rilievo a cui Mattia Vezzola ha dato un grandissimo contributo, decisivo nel percorso dell’affermazione di una identità territoriale tutta italiana.
“La mia generazione ha fatto un grande lavoro nei decenni trascorsi, rendendo il vino italiano contemporaneo - sottolinea Vezzola - valorizzando le caratteristiche vocazionali del territorio, adottando nuove tecniche di coltivazione e vinificazione e dando attenzione alla sostenibilità ambientale. Abbiamo tracciato un solco: ora abbiamo la necessità di costruire la coscienza civica e l’orgoglio dell’italianità dei nostri vini, rispettando tutti e non essendo sudditi di nessuno, quale eredità da lasciare ai giovani”.
Nel cinquantennio 1973-2023 Vezzola ha assommato esperienze e incontrato persone che lo hanno arricchito e orientato nel suo percorso e ha continuato a elaborare il suo pensiero viticolo-enologico anche nell’azienda di famiglia, a Moniga del Garda, sul Lago Di Garda, territorio dalle grandi potenzialità “che deve fare un passo oltre per produrre Valténesi rosé e Metodo Classico di grande respiro”, vini di cui Vezzola ha reinterpretato in modo unico e contemporaneo il profilo sensoriale. Ma se i suoi Valtènesi rosé hanno rivoluzionato la categoria, per finezza e longevità, i suoi vini del cuore sono le bollicine, come dichiara esplicitamente il claim sulle bottiglie celebrative dell’annata 2023: “50 anni che le amo”. Il Metodo classico, declinato secondo parametri territoriali, in viticoltura come in cantina, rappresenta la sua passione per la piacevolezza della vita, l’eleganza e la condivisione.
Galeotto è stato il suo primo viaggio in Champagne nel 1972, il contatto con un modo “altro”, fatto di elevatissime densità di viti per ettaro, uso di piccole botti in rovere bianco per le fermentazioni - quando la frontiera dell’innovazione di cui Vezzola si sentiva portatore era l’acciaio inox -, di presse verticali soffici Marmonier e, soprattutto, di tanta artigianalità e dell’arte della cuvée. E, “ça va sans dire”, della qualità: profumi verticali, elegantissimi, quasi taglienti, esplosivi nella freschezza, con acidità fuori dal normale. “Così, nel 1973, ci ho provato - ricorda Vezzola. Qualche ettolitro di Chardonnay, bottiglie standard con bidule e tappo di metallo speciale messe in fermentazione al fresco nella cantina sotterranea di mio nonno materno”. Due anni dopo il punto di svolta dell’azienda di famiglia “Costaripa”: con il padre decidono di abbandonare il vino sfuso, vinificare le proprie uve e imbottigliare, mentre continua a lavorare per la più importante azienda al mondo di tecnologia d’avanguardia, una grande opportunità per approfondire ogni loro dettaglio.
I risparmi investiti nel Metodo classico e la ripartizione dei compiti in Costaripa: lui enologo, il papà Bruno in vigna e il fratello Imer in cantina e sul mercato. Da qui in poi gli incontri con persone che nel mondo del vino hanno fatto la differenza segnano in positivo il suo percorso.
Nel 1977 quello con l’ingegner ed enologo Müller-Späth, il responsabile della ricerca in un’azienda tedesca leader in tecnologia, che ha rivoluzionato la gestione dell’ossigeno consentendo di ottenere vini di grande longevità anche nelle zone temperate. Ancora in Champagne l’incontro con M. Louis Roederer, che gli insegna il valore dell’umiltà, della modestia e della cordialità. E poi con Remi Krug, che “probabilmente colto da un momento di generosità” lo invita in laboratorio per un esercizio di cuvée. “Due esperienze - racconta Mattia Vezzola - che sono radicate nella mia coscienza e che mi indicano da sempre la strada della ricerca dell’identità e del savoir-faire. Mi diceva Remi: ‘Non correre appresso al grande pubblico anonimo, ma a quel pugno di entusiasti che allungano il tavolo per avere ancora più allegria. E impegnati a far sì che diventi difficile ridistribuire un prodotto veramente raro’”.
Nel 1981 il contatto con Vittorio Moretti determinato a fare un Franciacorta che si potesse comparare ai valori dei migliori Champagne. E questo accadeva quando in Italia le uniche bollicine erano rappresentate dal Moscato d’Asti, o quasi. Partono così l’esperienza e il suo importante contributo in Bellavista dove per 40 anni trasferisce informazioni, innovazione e filosofia dedicate alla costanza della qualità, alla naturalità e all’identità dei vini. Dal 1992 le collaborazioni per Bellavista con Luciano Pavarotti per tutti i 10 Pavarotti&Friends, tra i migliori talenti del mondo, da Eric Clapton a Joe Cocker, da Lionel Richie a Bono, da Andrea Bocelli a Liza Minnelli, da Sting a Zucchero, da Lucio Dalla a Brian May, fino alla Principessa Diana. Dal 1993 l’amicizia profonda con Gualtiero Marchesi, dall’eclettica cultura che ha ispirato molti dei suoi piatti, che culmina con un vino a lui dedicato, l’“Ottantesimato”, per il suo ottantesimo compleanno.
Nel 2000 la conoscenza con Christiaan Barnard, il cardiochirurgo di fama internazionale che nel 1967 a Città del Capo ha eseguito il primo trapianto di cuore, e la collaborazione di Costaripa con la sua Fondazione per “fare forse la cosa più bella della mia vita”- ricorda Vezzola - il finanziamento del trapianto di cuore per due bambini grazie a un vino rosso dedicato, che oggi porta il nome di Campostarne”.
Un quarantennio, quello in Bellavista, denso di nuove acquisizioni e consapevolezze riversate anche nella sua azienda sulla sponda del Lago di Garda di cui dal 2021 si occupa a tempo pieno continuando la tradizione di famiglia iniziata nel 1928. Le conferme sulla genetica e l’epigenetica della vite, grazie a Pierre Marie Guillaume, vivaista francese lungimirante, già adottate per i vigneti di Costaripa dal 1928. La prima nuova cantina nel 1995, seguita da altre due costruzioni, una iniziata nel 1994 e l’altra nel 2019, completamente dedicata al Metodo classico, in cui riposano un milione di bottiglie. E poi il primo Vinitaly nello stand acquistato sulla fiducia da Sergio Manetti di Monte Vertine. Nel 1990 l’allungamento dell’affinamento in bottiglia a 18 mesi di Chardonnay e Pinot nero della Franciacorta e dell’Altro Adige e l’aumento dei volumi dei mosti fermentati in pièces (barrique) borgognotte da 228 litri. “La fermentazione in legno, dopo una opportuna ossidazione per allontanare le “sostanze sensibili” all’ossigeno, dà al vino una tessitura particolare e ne aumenta la stabilità, quindi la longevità - spiega Vezzola. La lettura diversa rispetto al resto del mondo, trattandosi di un vino delicato, sta nell’uso di barrique che non cedano più niente, batteriologicamente e fisicamente perfette. In questo modo, senza interferenze aromatiche del legno, posso distinguere tra le 40 selezioni di vini che vanno a comporre le mie cuvée”. Nel 1995 la nascita del primo millesimato di Grande Annata Brut, finalmente ed esclusivamente da uve Chardonnay provenienti per l’85% dal Lago di Garda e per il 15% dal Lago d’Iseo.
Tuttavia, la longevità dei vini è strettamente connessa a quella del vigneto. Solo da viti “vecchie” si riescono a ottenere grandi vini. E per il prolungamento della durata del vigneto importantissimo è stato l’incontro nel 2005 con Marco Simonit, che, con Pierpaolo Sirch, ha codificato il metodo di potatura della vite. “Con morie pari al 5% delle viti all’anno, come avevamo nei primi anni 2000 a causa del mal dell’esca - continua Vezzola - nell’arco di 20 anni tutte le viti dovevano essere sostituite. Oltre al danno economico notevole, è chiaro che questo impedisce di fare vini eccellenti. Potando in modo corretto le sostituzioni si sono ridotte allo 0,5%, percentuale accettabile”.
La “durevolezza” dei vigneti è strettamente connessa all’identità del vino di un luogo. “Questo è il carattere di un vino che non si dimentica, la sua riconoscibilità, al di là dell’impronta aziendale - concorda Marco Simonit - Mattia Vezzola ha creato esempi virtuosi di viticoltura di luogo, come testimoniano i suoi vini. Lo “spirito del vigneron”, come insegna la Borgogna, sta nel lavoro di dettaglio, nel non trascurare nessun aspetto, avendo la consapevolezza del mestiere del viticoltore”. Nel 2009, il fratello Imer, pilastro fondamentale della crescita di Costaripa, decide di prendere un’altra strada. È l’inizio di un percorso senza compromessi, ispirato da un principio espresso da Corinne Mentzelopoulos, patrona di Château Margaux: “di qualità ce n’è una sola: la migliore”. Nuovi investimenti, sei anni di notti insonni, reimpostazione dei vigneti puntando su materiali genetici storici, allevando la vite per farla vivere a lungo, svolta biodinamica e un ulteriore aumento al 30% dei vini fermentati in legno per i “Mattia Vezzola Metodo Classico”, nome che dal 2014 distingue la bollicine, “vini di attitudine”, da quelli fermi “di territorio” che hanno mantenuto il nome aziendale “Costaripa”. Obiettivo: farli vivere a lungo mantenendo complessità aromatica, eleganza, verticalità, suadenza. Risultato centrato, come ha dimostrato la verticale di M. V. Grande Annata Brut dall’ultima annata, la 2018 alla 1995, passando per la 2008 e la 2001.
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