Il distretto spumantistico della Lessinia si consolida. Sulle colline tra le province di Verona e Vicenza si produrranno soltanto bollicine. Un solo vitigno, l’autoctono Durella, per due identità: il “Lessini Durello” metodo italiano e il “Monti Lessini” metodo classico, che quindi si svincola dal nome della varietà e assume quello del territorio. Con una modifica del disciplinare la denominazione “Monti Lessini”, finora dedicata ai vini fermi oggi praticamente non più rivendicati, cambia pelle e accoglie esclusivamente le bollicine berico-veronesi all’apice della piramide qualitativa della produzione territoriale. Quella che oggi è la quinta denominazione spumantistica italiana, con più di un milione di bottiglie nel 2017, a 30 anni dalla sua nascita ha voluto fare chiarezza tra i due metodi, finora tutti sotto il cappello “Lessini Durello”, per consolidare la sua vocazione alle bollicine e porre le basi per un ulteriore sviluppo.
A fare il punto sui caratteri distintivi della Durella nelle sue due declinazioni, con degustazioni, talk show e abbinamenti culinari, è stata la kermesse Durello&Friends, di scena con l’edizione n. 16 il 27 e 28 ottobre a Vicenza a Villa Bonin, uno spazio eventi-discoteca molto frequentato da giovani, con l’ambizione di avvicinarli alle bollicine scalzando la Vodka. “Negli ultimi cinque anni la denominazione Lessini Durello è molto cresciuta grazie alla richiesta dei mercati - racconta Alberto Marchisio, presidente del Consorzio Lessini Durello e dg di Vitevis Cantine, primi produttori di Lessini Durello metodo italiano - una crescita importante che ha portato i produttori a riflettere sul futuro e alla decisione di fare chiarezza per il consumatore finale rendendo i due metodi di produzione ben distinguibili. Sono convinto che ciò permetterà lo sviluppo del potenziale di entrambi, anche se credo dovremmo puntare sempre di più sul metodo classico per svincolarci dal nome del vitigno. Dobbiamo consolidare la crescita poco per volta sulla nostra diversità e rivolgerci a un consumatore evoluto. Se nel giro di qualche anno maturasse il convincimento di eliminare l’Igt Veneto Durello, che punta a togliere mercato al Prosecco, le produzioni a denominazione potrebbero ulteriormente aumentare. Come primo obiettivo mi piacerebbe arrivassimo a 1 milione di bottiglie di metodo classico e a 2 di metodo italiano”.
Oggi gli ettari a Durella, coltivati sulle colline eroiche della Lessinia da circa 600 viticoltori, sono 400, ma soltanto 120 sono destinati alle bollicine. Dunque la produzione facilmente potrà superare i 4 milioni di bottiglie e se si considera che, ragionevolmente, potrebbero essere piantati altri 200 ettari il potenziale dell’area è di oltre 8 milioni di bottiglie. “La produzione della attuale doc Lessini Durello ha raggiunto il milione 100.000 bottiglie - specifica Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio - sulle quali circa il 25% è di metodo classico. Dopo anni di stasi c’è una nuova tensione nella ricerca di barbatelle e una ripresa degli impianti di Durella. Oltre ai grandi produttori e marchi storici, che rimangono fondamentali, stanno crescendo molte piccole aziende che investono su queste bollicine diverse da tutte le altre e adatte sia ai neofiti con il Lessini Durello, sia ai più esperti con il Monti Lessini. La modifica del disciplinare della doc Monti Lessini, con cui si cancellano i vini fermi non più prodotti (solo 25 quintali di uva quest’anno) per inserire le sole bollicine da Durella metodo classico, è all’attenzione della Regione Veneto e poi passerà all’esame del Ministero delle Politiche Agricole”.
I vini da Durella, caratterizzati da una elevatissima acidità, particolarmente preziosa in questi tempi di cambiamento climatico e innalzamento delle temperature, sono da sempre conosciuti e richiesti come ottime basi spumante e, fino a 10 anni fa, esportati in Germania e anche in diversi territori italiani. Poi la svolta. “Nel 2008 abbiamo contribuito all’exploit delle bollicine a base Durella - ricorda Bruno Trentin, dg di Cantina di Soave, che rivendica il 50% delle uve della doc, tutti gli anni in crescita - acquisendo la Cantina di Montecchìa, che ne era il maggior produttore. Poi è arrivato il traino del successo delle bollicine. Le uve Durella vengono pagate bene, aumentano i vigneti e i riconoscimenti alla qualità da guide e concorsi. La Durella si presta bene a entrambi i metodi e non dobbiamo fare una guerra di metodi di produzione che, avendola vissuta in Trentino, so non portare da nessuna parte”.
A dare una indicazione inequivocabile per il rinnovato interesse per il vitigno e per la denominazione è la produzione di barbatelle di Durella che, mentre dal 2008 al 2012 bastava a mala pena per i reimpianti, negli ultimi tre anni ha mostrato un’impennata notevole, raggiungendo nel 2018 la cifra record di 123.700 piante (dati VCR). “Abbiamo radici ben ancorate a terra - riprende Marchisio - e su queste basi vogliamo crescere per dare valore aggiunto al territorio e ai produttori tra cui ci sono molti giovani che mettono le bollicine al primo posto nella loro produzione. Gli stessi che stanno dando la spinta alla denominazione, che fanno ricerca e sperimentano lunghi affinamenti sui lieviti. Le denominazioni funzionano quando la sfida non è trai produttori ma per il territorio. Un territorio il nostro che ha peculiarità non ancora sufficientemente note, come un areale preciso tutto collinare, vigneti di una certa età a cui si vanno aggiungendo quelli nuovi, la cura nella produzione e nella vendemmia a mano e, ultima non ultima, il nostro vitigno, la Durella con la sua notevole biodiversità”.
Esistono, infatti, ben 9 biotipi di Durella e di questi 5 sono all’ultimo anno di prova prima di essere iscritti come cloni al Registro nazionale delle varietà di vite. “La variabilità genetica riscontrata nella Durella - spiega Ermanno Murari dei Vivai Cooperativi Rauscedo - ha dell’incredibile. È di gran lunga superiore a quella della Garganega, per esempio, forse perché è stata risparmiata dalle gelate del 1985. Tra i 9 biotipi si riscontrano ben tre tipologie con bacca grossa, media e piccola, che danno risultati abbastanza diversi in vinificazione. Certo dopo la rifermentazione dei vini fermi le differenze si appiattiscono”. I 9 biotipi sono presenti nel campo catalogo del Consorzio e nel campo sperimentale che Cantina di Soave si appresta a piantare saranno messi a dimora i 5 cloni in via di registrazione. E chissà se la ricerca darà indicazioni sul loro utilizzo differenziato e preferenziale per i due metodi di spumantizzazione.
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