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LA RIVINCITA DELL’AGROALIMENTARE DELL'UMBRIA E D'ITALIA

L'agroalimentare italiano è capace di proporsi più che mai come comparto produttivo di punta per il prossimo futuro, lanciato nella sfida al mercato globale e alle nuove esigenze complessive poste da un consumatore sempre più informato e maturo. Gli strumenti per vincerla? Qualità, ma riconoscibile e testabile. Ed innovazione. Sposando però al tempo stesso la nuova rotta ai punti di forza del nostro patrimonio: radici, tradizione, legami rafforzati e valorizzati al territorio e all'ambiente. Quello che, in sostanza, già rende così visibile nel comparto alimentare il brand Italia in tutto il mondo. Quando questa linea viene efficacemente perseguita, i risultati arrivano. Un esempio? Il futuro, ora finalmente roseo, della carne bovina da razza chianina, fino a poco tempo ai limiti dell'estinzione malgrado un'altissima qualità intrinseca, nota ma non “riconoscibile”, dunque paradossalmente poco spendibile a livello di mercato, con riflessi pesantemente penalizzanti su redditività e prospettive. Risultato, pochissime migliaia di capi allevati, molte migliaia di problemi e rischio reale di sparizione di una nicchia preziosa. Oggi, mentre la chianina e le altre carni di qualità similari (in sostanza il vitellone bianco dell'Appennino centrale) scelgono la via della certificazione, della tracciabilità di filiera (della “carta di identità” chiara e leggibile che accompagni e garantisca in tutto il processo la chianina, dalla nascita e l'allevamento fino al banco del rivenditore al dettaglio) ad essa si “appassiona” la grande distribuzione più lungimirante e ambiziosa: la Coop Italia si candida a rilevare l'intera produzione certificata, coperta da Igp. All'iter di certificazione sta lavorando il Parco Tecnologico Agroalimentare dell'Umbria (Todi), già certificatore per prodotti come la lenticchia di Castelluccio, l'olio umbro Dop, il prosciutto di Norcia. E' questa una delle indicazioni più significative emerse al “Tecnodays”, l’evento organizzato di recente a Spoleto da Sitech, dal Parco Tecnologico e Scientifico di Terni e dal Centro Agro Alimentare dell’Umbria. La “tre giorni”, di proposta e di dibattito sull'impatto di nuove tecnologie e innovazione sul mondo produttivo italiano, con il termine di confronto diretto, gli USA, con videoconferenze con la Harvard Business School, con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) ed interlocutori del calibro di Debora Spar, ricercatrice all'Harvard Business School e consulente della Casa Bianca e Paul Krugman del MIT di Boston, ha puntato tutto su agroalimentare e agricoltura nel terzo giorno di lavori. Quando è toccato a Claudio Peri, docente del Dipartimento di Statistica all’Università di Milano, puntualizzare come oggi, in un settore in cui la qualità di prodotto s’intreccia sempre più con un più diffuso senso di qualità della vita, entrano in gioco fattori come la “qualità immateriale”, i valori aggiunti percepiti dal consumatore (purché appoggiati su un clima di fiducia e di certezze nei confronti di origine e modalità di produzione) legati nella massima parte ai valori di territorio, di cui l'Italia è così ricca. “Perché il gioco riesca però - ha ammonito Peri - occorre che i disciplinari e i modelli di certificazione non siano dei poco utili e farraginosi “calvari” per i produttori, e per di più di scarsa utilità per i destinatari dei prodotti. Disciplinari leggeri, dunque, essenziali nella scelta delle caratteristiche certificabili, facili da decifrare, appoggiati sul concetto di tracciabilità e di filiera”. “Una linea su cui - ha spiegato Marcello Serafini del Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria (PTA) - si è appoggiato la giovane (inizio '98) ma densissima attività del PTA”. Stimolante, infine, il confronto tra le nuove scelte e le esperienze d’innovazione di una decina tra piccole e grandi aziende di settore. Big come Monini e Colussi (lanciati entrambi nei processi d’ammodernamento e di qualità certificata negli iter produttivi) e produttori di nicchia, ma capaci di maritare con intuito brillante radici e innovazione. Ecco allora la seicentenaria Antinori spiegare, per bocca del direttore generale Renzo Cotarella, le nuove filosofie alla base del fortunato insediamento del Castello della Sala. Leonardo Valenti, agronomo della Val di Maggio (Caprai) spiegare il rilancio del Sagrantino con un reciso “innovazione-innovazione-innovazione” e il via ad una nuova progettualità in cantina. E Chiara Lungarotti illustrare le strade di ulteriore modernizzazione di una delle aziende anticipatrici (primo innesto di vitigni internazionali nell'Italia centrale, prime scommesse extra-Toscana sull'enoturismo e l'ambo vino-cultura di territorio). Ed ecco anche le esperienze di spicco di Interpan-Fattoria Novelli (posizione di preminenza nel mercato del pane fresco e surgelato nell'Italia Centrale e a Roma, e prime uova italiane con marchio, prime biologiche, prime “arricchite” dal punto di vista nutrizionale, e ora un sistema di riciclaggio dei materiali residuali dall'allevamento delle galline che produce eco-concimi, e che ha attirato l'attenzione concreta dell’Unione Europea). O quelle di La Verde Collina (ortofrutta di qualità, con marchio e con packaging studiato appositamente per il mercato del Nord Europa e rivelatosi vincente). O, infine, l'intuizione brillante di Luca Maggiorelli, salumificio Tre Torri, che ha legato un prodotto d’altissima tradizione, la carne chianina ad una forma di larghissima presa, l'hamburger, lanciando per così dire un concetto di “nicchia trasversale” che gli sta regalando successi esponenziali.

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