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La Stampa / Specchio

Appuntamento Vinitaly - Colpa dell’euro se il bicchiere ci va di traverso. Le nostre uve sono amate dagli chef più famosi. Ma concorrenza e supermoneta preoccupano. Il rimedio? Dal 1 aprile gran consulta a Verona ... Io bevo italiano. Brunello, Barolo, Barbaresco fanno tendenza, sono i vini più amato dalle star di Hollywood, quelli stappati per una vittoria milionaria al Casinò o per una serata da rendere univa. Il merito è dei grandi chef, perché se non c’è chi lo versa nel bicchiere il vino resta a prendere polvere sugli scaffali o peggio nel buio delle cantine.
Ma il mercato di fascia alta non consente di sopravvivere e oggi, che i tempi si sono fatti più duri, la strada per un rilancio complessivo può passare ancora dalle grandi tavole. Lui non lo ammetterà mai, ma Piero Selvaggio, titolare del ristorante “Valentino” di Santa Monica (Los Angeles) e di altri quattro locali di altissimo livello tra la capitale della California e Las Vegas, ha fatto assaggiare Barolo e Brunello a Michael Douglas e Sharon Stone e ha convertito al “bere italiano” - a spese dei francesi - i più bei nomi dello star system della West Coast, quella di Hollywood per intendersi. D’altra parte cenare da “selvaggio” per un appassionato di vini è come fare una gita nel paese delle meraviglie: a Los Angeles sfoggia una delle carte più ricche del mondo con oltre quattromila etichette, mentre a Las Vegas, la nuova mecca della grande cucina mondiale, si accontenta di 2.200 grandi firme. Nella città del gioco il suo ristorante è ospite del “Venetian”, l’hotel che ha ricostruito un angolo di Venezia in Nevada. Dice Selvaggio: “Qui il vino italiano va alla grande. la sudditanza psicologica nei confronti dei francesi non esiste più, anzi rispetto a loro L’Italia cala l’asso di un territorio che va dalle Alpi alla Sicilia con una gamma di prodotti unica”.
Ma se descrive una situazione tutta rosa e fiori, perché si parla di crisi? “Perché per quanto riguarda le grandi etichette, quelle delle cene importanti, o quelle che a Las Vegas stappano solo gli high roller, i grandi giocatori, l’Italia va alla grande, ma è nei numeri che il meccanismo si è inceppato. Un sistema funziona se si fanno le quantità. A tavola i ristoranti da trenta o quaranta coperti fanno filosofia e non business. Lo stesso vale per le bottiglie: per una stella del cinema che beve barolo o Brunello, ci sono centinaia di professionisti che stappano una bottiglia australiana di medio prezzo. E alla fine chi fa fatturato?”.
Una scelta dettata più dal costo che dalla qualità? “Il costo pesa e l’euro sta facendo regredire i numeri del vino italiano anche perché si è sovrapposto a una crescita di prezzo non proprio comprensibile”. E allora quali soluzioni? “L’Italia offre una gamma meravigliosa di bianchi e rossi, ci sono le grandi firme e ci possono essere tante proposte intermedie per far bere italiano al giusto prezzo. E’ questa la sfida.
La tentazione di svendere
Scelte radicali Problemi di prezzo, politiche di diffusione, ma non solo. “L’Italia cresce”, spiega Mariano Toffoletto, direttore del Jolly Hotel Carlton di Amsterdam, “ma non ha uno strumento come la guida Michelin per migliorare la diffusione dei suoi vini nel mondo. In Olanda per migliorare il punteggio è fondamentale avere in carta grandi etichette francesi, le italiane non fanno classifica. Ma il “Caruso”, il ristorante del Carlton, ha saputo diventare una tavola importante anche per i vipolandesi e quando i componenti della famiglia reale o delle famiglie Heineken o De Beers vogliono mangiare italiano prenotano una cena dallo chef novarese Fulvio Platini: “Però non scelgono naturalmente un vino italiano, dobbiamo suggerire un’etichetta e in qualche caso imporla perché la riteniamo adatta a un piatto, sperando poi che piaccia al cliente”.
L’Italia deve trovare una strada per crescere nei numeri, il mercato mondiale è cambiato e la conferma arriva da alcune aziende che hanno fatto scelte radicali. Zonin è probabilmente l’azienda italiana più strutturata per affrontare le nuove esigenze. Offre al cliente italiano e straniero una presenza massiccia su tutto il territorio nazionale e riesce a coprire tutte le principali fasce di prezzo, una soluzione che possono permettersi grandi realtà, mentre per le piccole c’è il rischio di colonizzazione con i grandi gruppo -italiani e stranieri - pronti a intervenire.
“La situazione italiana e francese è particolare”, dice il direttore marketing Franco Zuffellato. “Da noi le prime cinque aziende detengono il 5 per cento del mercato, Oltralpe il 13, negli Usa il 73 e in Australia il 68. Si tratta di multinazionali del vino e per contrapporsi a loro è necessario accorparsi. Le piccole e medie realtà non possono difendersi dalle campagne di prezzo di certi paesi anche perché in Europa abbiamo lacci re lacciuoli che il resto del mondo non ha. Per combattere le realtà emergenti sul loro terreno abbiamo investito in Sicilia e in Puglia per fare grandi vini grazie al sole del Mediterraneo, possiamo diversificare l’offerta, mettere sul piatto il processo come l’Asti, il Barbera come il Nero d’Avola o i grandi toscani. L’Italia ha la qualità, ma con l’effetto euro anche mercati consolidati come gli Usa guardano all’Australia, che può permettersi di aumentare i prezzi e restare più competitiva di noi”.
L’ombra delle multinazionali
Diversa la strada scelta da Francesco Mazzei, del Castello di Fonterutoli: “Il dollaro debole ci obbliga a logiche imprenditoriali diverse, non bastano immagine, etichetta, prodotto ed enologo di fama. Noi abbiamo investito nelle aree di distribuzione, anche se i problemi più difficile è il confronto con i grandi gruppi. Comunque siamo soddisfatti. Nessuno vuole ammettere il momento difficile, ma per tutti parlano i numeri, per andare oltre c’è bisogno di una squadra Italia che lavori in sinergia nella promozione, altrimenti a tavola e a Bruxelles le multinazionali potrebbero cominciare una lenta, ma inesorabile., colonizzazione dei filari d’Italia, dalla Sicilia al Piemonte.
Beviamoci una bottiglia premiata
Siete ospiti di un amico a cena e volete fare un figurone? Presentatevi con un bianco o un rosso consigliati in questo libro: Vini premiati d’Italia, edito dalla De Agostani in collaborazione con l’Enoteca italiana di Siena (520 pagine, 10 euro, in libreria dal 31 marzo). L’annuario, presentato in occasione della 38° edizione di Vinitaly, raccoglie oltre 3.500 bottiglie premiate - secondo criteri ufficiali e certificati - in 25 concorsi enologici autorizzati dal ministero delle Politiche agricola e forestali nel 2003.
Cina a Russia i nuovi mercati su cui puntare
A Verona per riconquistare il mondo
Il mondo come campo di gioco in una sfida all’ultima bottiglia che vale la sopravvivenza o quasi. Sembra lo slogan di un videogame, è la mission dell’export italiano, in particolare del pianeta vino impegnato a vincere la sua corsa, una testa a testa da disputare con l’handicap degli aumenti à colpa dell’euro – e dei rincari, demerito di una politica dei prezzi non sempre giustificata. Ogni 100 euro di esportazioni che escono dall’Italia circa 16,7 sono vino, ma vendere al resto del Pianeta è sempre più difficile. E il business internazionale sarà uno dei temi principali del trentottesimo Vinitaly in programma all’1 al 5 aprile a Verona. Gli stati Uniti sono il campo di battaglia dove si combattono le sfide più complicate anche per l’effetto traino che i consumatori a stelle e strisce esercitano sull’Oriente e sul Did America.
Negli Usa l’Italia è la Nazionale di riferimento, da tempo ha superato la Francia grazie all’abbinamento tra qualità e tendenza, ovvero vini di alto livello capaci anche di essere di moda. Ma da costa a costa i bianchi e i rossi italiani stanno vivendo la difficile battaglia del prezzo. I numeri confermano l’Italia sul gradino più alto del podio con il 35% del mercato dalla quantità e il 30% del valore. La seguono, per quantità l’Australia e per spesa la Francia, con il 28% del valore che equivale solo al 15 in quantità. I transalpini sanno che su quel 2% pesa come un macigno l’aumento causato dall’euro. E per invertire la tendenza, in una anno terribile per il vino francese, da Parigi, anzi da Bordeaux, è arrivato l’ordine di tagliare del 35% i prezzi delle annate in primeur dei bordolesi. Una scelta radicale, uno sconto uguale all’aumento frutto della forza dell’euro, anzi per meglio dire della debolezza del dollaro.
“In Italia nessuno si può permettere un’operazione di questo genere”, dice Marco Caprai, il produttore che con il suo Sagrantino di Montefalco ha sfondato anche negli Usa: “I francesi reagiscono con ordini di scuderia alla crisi, da noi continua a mancare una vera politica comune”. L’aumento dei prezzi è inevitabile”, aggiunge Lucio Caputo, presidente dell’Italian Wine and Food Institute di New York. “I nostri produttori non possono esportare in perdita, a tutto vantaggio di quei Paesi che, come l'Australia, non hanno l’handicap dell’euro”.
Il vino italiano, ha imparato così a diversificare: il Giappone è una certezza, come molti Paesi d’Oriente, l’Europa rallenta, ma - con la Germania mercato di riferimento - ha imparato a districarsi bene tra baroli e brunelli, soave e nero d’Avola. Le nuove sfide sono Cina e Russia: due punti di riferimento della campagna internazionale di promozione messa a punto con successo da Veronafiere. Vinitaly si svolgerà al quartiere fieristico di Veronafiere dall’1 al 5 aprile, dalle 9 alle 19. Per informazioni, il sito ufficiale dell’evento è www.vinitaly.com. Lo scorso anno il salone internazionale dei vini e dei distillati - che ha occupato una superficie di quasi 70 mila metri quadrati - ha ospitato 3.856 espositori di 29 Nazioni, mentre i visitatori sono stati 128.467 di cui 23.434 stranieri e provenienti da 81 Nazioni.


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