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LA STORIA DEL SODALIZIO TRA VETRO, CRISTALLO E VINO

Il sodalizio fra il vetro ed il vino si perde nella notte dei tempi, ma è soprattutto durante l’epoca romana che il vetro comincia a fornire oggetti interessanti per il servizio del vino. I precedenti oggetti di vetro erano molto piccoli e venivano usati per lo più come balsamari. Una scoperta rivoluzionaria, la tecnica della soffiatura, ad opera dei siro-fenici all’inizio dell’era cristiana consentì di produrre bicchieri, bottiglie, brocche e boccali utilizzati per il prelievo del vino, dai dolium e dalle anfore per il servizio in tavola.
La diffusione dell’arte vetraria durante il periodo imperiale romano viene documentata dalla ricchezza dei reperti e dalle fonti letterarie (Plinio) con una grande produzione di contenitori di varia foggia. Non siamo però ancora a niente che somigli alla diffusione della moderna bottiglia. La tradizione culturale pagana che considerava l’uso del corredo funerario ha fatto giungere oggetti intatti fino ai nostri giorni.
Un gran numero di reperti (ed alcuni bellissimi esemplari) sono visibili a Montalcino nell’originale Museo del vetro e della bottiglia da vino della Fondazione Banfi al Castello di Poggio alle Mura: tra questi numerosi bicchieri, vasi di varia foggia per il servizio, tra cui molto interessante uno a doppia bocca, consistente in due lobi attaccati che permetteva di servire il vino e l’acqua contemporaneamente in parti uguali secondo il costume dell’epoca (ancor oggi usiamo il termine "mescere il vino", cioè servire il vino in tavola, ma all’epoca consisteva effettivamente nella mescolanza del vino con l’acqua, proprio perché i vini venivano prodotti molto alcolici, non disponendo un recipiente appropriato di conservazione quale è la moderna bottiglia).
Nel Medioevo, periodo d’oscurantismo, l’arte vetraria subisce un tracollo a favore della più semplice produzione degli oggetti di terracotta. Solo la Repubblica Veneta, erede delle fornaci di Aquileia, mantiene la produzione ed i relativi segreti. Così pure in Toscana, nel XIII secolo, esiste già una produzione vetraria nella Val d’Elsa, in cui i vetrai venivano per lo più chiamati "bicchierai", anche se producevano oltre ai bicchieri, boccali e fiaschi. Quello dell’impiego del vetro a servizio del vino risulta molto ben documentato da alcune opere pittoriche tra cui, notevoli per l’attenzione artistica agli oggetti, quelli di Domenico Ghirlandaio, che documentano sia l’impiego dei fiaschi nella distribuzione del vino sia le eleganti "fiole" veneziane ed i bicchieri di vetro sul tavolo della famosa "ultima cena".
Molti attivi erano i vetrai di Gambassi che diffusero la produzione vetraria ed i relativi vetri artigianali un po’ in tutta la Toscana ed altrove, a ridosso dei mercati. La produzione di allora, come forse già nel periodo romano, si faceva in due fasi, una prima più industriale produceva la massa solida partendo dalle materie prime (massa cotto, massa vetrosa sfusa). Da questo semilavorato con un’operazione artigianale si otteneva per rifusione forse con l’aggiunta di biossido di manganese ed altri composti che apparteneva un po’ all’arte di ognuno, la "fritta" finale con la quale si soffiavano bicchieri, fiaschi e bottiglie. I forni del vetro erano talmente diffusi che gli statuti dei diversi comuni della Val d’Elsa ostacolavano il taglio dei boschi, complicando l’approvvigionamento del combustibile necessario alle vetrerie. Una petizione dei fornai di Poggibonsi nel 1338 lamenta la mancanza di legna per cuocere il pane, data la moltitudine di fornaci. Al contrario della dispersione dei gambassini, che fece perdere successivamente competitività alla tradizione vetraria in Toscana, a Venezia la produzione venne confinata nell’isola di Murano e incoraggiata nel suo perfezionamento curando che le conoscenze non venissero disperse. Il fatto di confinare in un’isola facilitava questo compito ed evitava anche il pericolo rappresentato dai ricorrenti incendi che, a Venezia, le vetrerie innescavano. La produzione vetraria muranese è ben nota per la sua bellezza e per la moltitudine delle forme e dei colori, soprattutto nei bicchieri e nei boccali di servizio.
Ma è dopo il 1600 che il vetro si lega col vino in maniera indissolubile attraverso la bottiglia.
La nascita della bottiglia si fa risalire all’Inghilterra, proprio nel 1615, quando il re Giacomo I proibì l’impiego della legna nelle fornaci per cuocere il vetro, onde destinare il materiale alla produzione delle navi necessarie alla nascente potenza inglese. Venne così impiegato il carbone che permise di produrre vetro in maggiore quantità, ma soprattutto di tipo più robusto perché cotto a più alta temperatura di fusione e con questo vennero fatte delle bottiglie con un orlo all’imboccatura in modo da poterle tappare con il sughero. Una vera rivoluzione: il vino, come lo intendiamo oggi, possiamo dire che è un po’ il figlio della bottiglia. Infatti, i Greci ed i Romani producevano i vini troppo alcolici per poterli conservare nei loro orci con vaste superfici esposte all’aria, all’ossidazione e dagli attacchi batterici. Solamente l’impiego delle bottiglie permise di produrre vini di minore gradazione alcolica come li intendiamo oggi e di conservarli per lungo tempo, in questo modo permettendo di sviluppare notevoli qualità di bouquet, olfattive e gustative. Le prime bottiglie avevano forma di cipolla (onion bottles). Ma nell’arco di circa 150 anni si sono elevate in altezza ed hanno raggiunto le forme più o meno definitive, bordolesi e borgognone. Si passa, infatti, da una produzione fatta in Inghilterra dalle grandi famiglie che compravano il vino in fusti, i "Clarets" bordolesi e poi imbottigliavano presso di se, alla produzione in Francia fatta invece dai produttori di vino, che quindi, attraverso la bottiglia, riuscivano a vendere il loro prodotto finito. Le "onion bottles" avevano anche spesso il marchio della famiglia e l’anno di produzione (oggi sono delle vere e proprie rarità). La produzione delle bottiglie passò così dall’Inghilterra alla Francia che nell’’800 visse un grande periodo di industrializzazione. All’inizio di questo secolo venne dagli Stati Uniti la completa meccanizzazione attraverso le macchine automatiche "Owens" e quindi la generalizzazione dell’impiego della bottiglia, non più l’oggetto costoso solo per il servizio, ma recipiente idoneo per la distribuzione del prodotto ovunque. La bottiglia per il vino è diventata contenitore ideale ed, a differenza del sughero, altro partner, non crea neanche troppi problemi. In effetti, il vetro si è dimostrato uno dei materiali più inerti e passivi che oggi si conoscano. Queste due peculiari caratteristiche lo qualificano per un impiego ideale nella conservazione delle bevande, il vino in particolare, e per il servizio in tavola delle medesime.
Oltre alla bottiglia, il bicchiere svolge una sua funzione insostituibile e a differenza delle antiche coppe e calici anche di materiali pregiati, quale l’oro e l’argento, presenta una passività ineguagliabile che non cede gusto alcuno al contenuto. Al pari della bottiglia, il bicchiere diventa quindi d’uso generalizzato ed a differenza del passato, quando si preferivano bicchieri vari dipinti per la loro bellezza, oggi si predilige per il servizio del vino di pregio il bicchiere trasparente di cristallo. In quanto a forma e volume, c’è stato tutto un fiorire di produzioni: il bicchiere diventa insomma uno strumento di valorizzazione delle caratteristiche qualitative soprattutto dei grandi vini come il Brunello di Montalcino, il Barolo, il Chianti, il Barbaresco, il Sagrantino di Montefalco, l’Amarone. Un matrimonio più che perfetto, un servizio completo ed insostituibile.

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