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Le agromafie in Italia “fatturano” oltre 16 miliardi di euro, colpendo soprattutto ristorazione, carni e salumi, farine, pane e pasta, ormai da Nord a Sud del Belpaese: così il rapporto Coldiretti, Eurispes e Osservatorio criminalità agroalimentare

Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi, illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di valori sono le tipologie di illeciti riscontrate con più frequenza da parte delle organizzazioni criminali operanti nel settore agroalimentare con il business delle Agromafie che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015. E questo nonostante un sistema di lotta la fenomeno capillare, con oltre 100.000 controlli effettuati nel 2015, per un valore totale dei sequestri che è stato di 436 milioni di euro, di cui il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore della carne e salumi, l’11% in quello delle farine, del pane e della pasta, e con i Nas che, in 38.768 controlli da cui sono emerse irregolarità nel 32% dei casi, hanno chiuso 1.350 strutture del sistema agroalimentare con il sequestro di 25,2 milioni di prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative o sanitarie o carenze nell’etichettatura e nella rintracciabilità. Emerge dal “Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia” n. 4, elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, presentato oggi, a Roma.
“Per raggiungere l’obiettivo, i clan - spiega Coldiretti - ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio made in Italy”.
Con conseguenze evidentemente pesanti non solo per i produttori onesti e per la fiscalità generale, ma anche per consumatori.
“Gli aspetti patologici dell’indotto agroalimentare, come la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a 4 volte nella filiera che va dal produttore al consumatore, sono la conseguenza non solo dell’effetto dei monopoli, ma anche delle distorsioni e speculazioni dovute alle infiltrazioni della malavita nelle attività di intermediazione e trasporto, secondo l’analisi della Direzione Investigativa Antimafia. La costante osservazione critica di tutto ciò che accade nel mondo della produzione e della distribuzione del cibo e le puntuali denunce delle situazioni di irregolarità potrebbero trasmettere l’idea che l’Italia sia irrimediabilmente la culla della corruzione e delle mafie”.
Al contrario, le denunce del Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare mettono in risalto come nel nostro Paese questo genere di notizie vengano alla luce poiché esiste un controllo severissimo, anche perché “i consumatori possono contare sull’impegno dei diversi comparti specializzati delle Forze dell’Ordine - il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, lo Scico-Gdf, il Corpo Forestale ora confluito nel Comando Unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, la Dia - dei Ministeri dell’Agricoltura, della Salute e della Giustizia (che lavora alla messa a punto di leggi a tutela del settore), della Magistratura, sempre più attenta nei confronti di un tema a lungo trascurato. La ricchezza delle informazioni sull’argomento dimostra che i nostri cibi sono i più sicuri del mondo perché sempre controllati da autorità diverse ed indipendenti. Circostanza che non si riscontra negli altri Paesi, neppure in quelli dell’Unione europea. Dall’estero arrivano poche notizie di irregolarità dal momento che i controlli sono molto blandi. In Italia, al contrario, è prassi meritoria dell’Agenzia delle Dogane ispezionare scrupolosamente i prodotti alimentari di origine straniera e dai controlli emerge molto spesso mancanza di garanzie, di chiarezza, di indicazioni precise e veritiere”.

Focus - Coldiretti: “agromafie diffuse da Nord a Sud, ecco la mappa ...”
L’intensità dell’associazionismo criminale non risparmia nessuna regione italiana: se è elevata nel Mezzogiorno, è stabile e forte nel Centro dell’Italia, in modo particolare in Abruzzo e Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, per lo più a Latina e Frosinone. Al Nord il fenomeno è molto evidente in Piemonte, nell’Alto lombardo, nella provincia di Venezia e nelle province romagnole lungo la Via Emilia. Emerge dell’Indice di Organizzazione Criminale (Ioc) elaborato dall’Eurispes nel Rapporto Agromafie con Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, che si fonda su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l’intensità della criminalità in una data provincia. In Calabria e Sicilia si denota un grado di controllo criminale del territorio pressoché totale, al pari della Campania, riflettendo la forza di ’Ndrangheta, Mafia e Camorra - sottolinea il rapporto. Il grado di controllo e penetrazione territoriale della Sacra Corona Unita in Puglia, invece, pur mantenendosi elevato, risulta inferiore che altrove, così come in Sardegna. In Sicilia l’unica provincia non caratterizzata da un Indice Ioc alto è stata Messina, mentre sul restante territorio i valori sono molto elevati, in particolar modo nelle zone meridionali e orientali. Al di sopra della media nazionale dell’indicatore si collocano i territori lungo tutta la catena appenninica, sia in Meridione che in Italia centrale e lungo l’Appennino tosco-ligure. Sia pur con livelli inferiori alla media nazionale, la provincia di Roma ha un livello di indicatore medio-alto, mentre è medio-basso nella maggior parte delle province del Centro e Nord Italia, quali Genova, Torino, Firenze, Milano, Bologna e Brescia. Ma, dal rapporto, emerge anche che ci sono 26.200 i terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva per reati che riguardano, tra l’altro, l’associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione, a cui si aggiungono 20-25 i miliardi di euro sprecati per il mancato utilizzo dei beni confiscati. Complice di questa situazione, spiega il rapporto, il fatto che processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa “si presenta lungo e confuso”. Si stima che circa 1 immobile su 5 confiscato alla criminalità organizzata sia nell’agroalimentare. Il 53,5% si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto le altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali la Calabria (17,6%), la Puglia (9,5%) e la Campania (8%); seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%). Le altre regioni si attestano sotto l’1%. La Dia ha avviato un monitoraggio e i report - sottolinea Coldiretti - denunciano molte irregolarità con molti beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi stessi o da loro parenti e prestanome. All’origine di ciò, spiega il rapporto, inadempienze, procedure farraginose, lungaggini burocratiche. I criminali che non vengono sgomberati dagli immobili godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse sul bene, poiché sequestrato.

Focus - Frodi: ristorazione, carni, farine, pane e pasta si settori più colpiti dalle agromafie
In cima alla “black list” dei settori più colpiti dalla frodi salgono la ristorazione, la carne e farine, pane e pasta sulla base del valore dei sequestri effettuati nel 2015 dai Carabinieri dei Nuclei Anti Sofisticazione (Nas). Emerge dal Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Il valore totale dei sequestri nel 2015 è stato di 436 milioni di euro con il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore della carne e salumi, l’11% in quello delle farine, del pane e della pasta, ma settori sensibili sono, a seguire, quelli del vino, del latte e formaggi e dei grassi e oli come quello di oliva. Nel solo 2015 sono stati chiuse dai Nas 1.035 strutture operanti nel sistema agroalimentare con il sequestro di 25,2 milioni di prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative o sanitarie o carenze nell’etichettatura e nella rintracciabilità. Dai 38.786 controlli effettuati dai Nas nell’ultimo anno sono emerse non conformità in ben un caso su tre (32%).
Il primato negativo della ristorazione va letto anche nel contesto dell’accresciuto interesse delle organizzazioni criminali nelle diverse forme del settore, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda. Dal finto extravergine italiano alla mozzarella con cagliate straniere, dal pane al carbone vegetale alle conserve di pomodoro cinesi fino al pesce avariato sono alcune delle frodi smascherate nel tempo, ma gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare. L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato come opportunamente previsto dalla proposta di riforma delle norme a tutela dei prodotti alimentari, presentata al Ministro della Giustizia Andrea Orlando dalla Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare presieduta da Giancarlo Caselli. È importante la volontà di procedere ad un aggiornamento delle norme attuali, risalenti anche agli inizi del 1900, attraverso un’articolata operazione di riordino degli strumenti esistenti e di adeguamento degli stessi ad un contesto caratterizzato da forme diffuse di criminalità organizzata che alterano la leale concorrenza tra le imprese ed espongono a continui pericoli la salute delle persone.
Per chiudere le porte alle frodi è necessario anche lavorare sulla tracciabilità e sulla trasparenza dal campo alla tavola con l’indicazione obbligatoria della provenienza degli alimenti come ha chiesto il 96,5 per cento degli italiani sulla base della consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Mipaaf dal novembre 2014 a marzo 2015. Secondo una analisi della Coldiretti quasi la metà della spesa è anonima per colpa della contraddittoria normativa comunitaria che obbliga a indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, ma non per i prosciutti, per l’ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Il risultato è che gli inganni del finto made in Italy sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta come pure la metà delle mozzarelle.

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