Superata, forse in maniera definitiva, la tempesta della pandemia, la prossima sfida per l’economia - italiana e globale, del vino come di ogni altro settore produttivo - è quella dell’aumento dei costi di materie prime ed energia, aggravata dalla difficoltà di approvvigionamento di moltissimi materiali, con ulteriori ricadute, ovviamente negative, sulla filiera. Che per il vino si traducono in un conto salatissimo: secondo le stime di Uiv (Unione Italiana Vini) pari a 1,3 miliardi di euro di costi aggiuntivi, tra bolletta elettrica, per la quale è previsto un surplus di 550 milioni di euro rispetto 2 anni fa, e spese in più per i rincari di trasporti, cartone (+31%), vetro (+40%), legno (+61%), plastica (+72%) e quant’altro. Alla fine, gli aumenti dei listini, scongiurati a lungo dopo una fase tanto complicata per l’economia italiana, sono diventati inevitabili, ma comunque quasi sempre insufficienti a contenere l’aumento dei costi. Aumenti che, alla fine, graveranno su tutta la filiera, dalla produzione al consumatore finale, con l’Horeca ancora in difficoltà e la Gdo che prova a fare muro e strappare il prezzo migliore possibile, perché per molte denominazioni uscire dalla propria fascia di prezzo - sotto i 7 euro a bottiglia allo scaffale - più che un’opportunità potrebbe rivelarsi una sfida insostenibile, aggravata dalla crescita dei prezzi di uve e vino sfuso, dopo una vendemmia scarsa come la 2021.
Sullo sfondo, la battaglia sui mercati internazionali, con i competitor dell’Italia enoica che devono affrontare le stesse dinamiche, ma anche la necessità di consolidare i rapporti tra le parti lungo la filiera e superare il muro contro muro, nella consapevolezza che nessuno si salva da solo, e che anche il Governo dovrà fare la sua parte per tutelare un comparto vitale e sano del made in Italy com’è quello del vino. Ecco i temi affrontati nel webinar di “The Wine Net”, la rete che riunisce sette tra le più importanti cooperative del Belpaese - Cantina Vignaioli Scansano, La Guardiense, Cantina Pertinace, Cantina Valpolicella Negrar, Colli del Soligo, Cantina Frentana e la Cva Canicattì - per un totale di 5.821 ettari vitati e 30 milioni di bottiglie prodotte ogni anno in alcuni dei territori e delle Regioni più prestigiose d’Italia, un osservatorio privilegiato sulle dinamiche economiche del settore.
Il primo ostacolo da superare, come accennato, è tra gli scaffali della Gdo, dove anche un aumento minimo del prezzo ha ricadute sensibili: poche decine di centesimi possono spingere un prodotto fuori dal carrello, con conseguenze a cascata potenzialmente molto difficili da contenere. “La Valpolicella - ricorda Daniele Accordini, dg Cantina Valpolicella Negrar - lavora su tre tipologie diverse, Valpolicella Classico, Ripasso ed Amarone, posizionate in tre fasce diverse di prezzo. Su tutti, oltre agli aumenti dei costi dell’energia, delle materie prime e di materiali come bottiglie e cartone, pesano gli aumenti dei prezzi delle uve e dei vini, anche del 50%. Così, il Valpolicella, per restare sul mercato, rischia di uscire dalla sua naturale fascia di prezzo allo scaffale, con un impatto strategico grave, perché è il vino con cui si fanno volumi e fatturati, è la declinazione della Valpolicella quello che le famiglie portano quotidianamente in tavola. Chiediamo due cose: che il Governo ci aiuti a ridurre i costi energetici di luce e gas, e che il Consorzio Valpolicella riporti le rese ad ettaro a 120 quintali, come è sempre stato, per contenere i prezzi e tenere questo prodotto sugli scaffali. In questo momento - aggiunge Accordini - i distributori hanno dimostrato di saper mantenere una certa presa sul mercato e sul territorio, reagendo meglio della Gdo e dei rappresentanti, che invece sono in sofferenza. Con la Gdo, comunque, stiamo chiudendo i contratti con aumenti di listino dell’8-9% (che diventano del 20% al consumatore finale), e dall’estero ci aspettiamo una riduzione dei consumi (a volume), ma lo potremo sapere solo quando i listini verranno applicati”.
Ancora in grave sofferenza, dopo il brillante recupero in estate 2021, tutto il segmento dell’Horeca, che paga il crollo del turismo internazionale e l’ultima ondata della pandemia, che ha rinchiuso in casa milioni di persone. “La nostra è una piccola cooperativa, e non avevamo intenzione di aumentare i prezzi, almeno fino a giugno 2021, provando ad assorbire gli aumenti dei costi delle uve con aumenti fisiologici di pochi centesimi, coscienti della situazione da cui arriviamo, che per la ristorazione è stata decisamente critica”, dice Cesare Barbero, direttore Cantina Pertinace, nelle Langhe. “Dopo la riapertura delle attività, e con una certa euforia, è tornata la positività, ma i costi sono continuati ad aumentare mese dopo mese, e siamo stati costretti, restando ancorati alla filosofia di fare vini accessibili a tutti, a riversare questi costi sui nuovi listini, con aumenti di circa il 10%, significativi ma non enormi. Specie se pensiamo che per noi il prezzo delle uve è cresciuto del 20%. Proviamo ad andare incontro ai ristoratori dopo un periodo di difficoltà, sperando che la reazione del mercato sia positiva, ma lo scopriremo solo tra qualche mese. Sui listini stranieri, avendo altre marginalità, gli aumenti sono stati più contenuti (5-7%), ma comunque non sono aumenti inaspettati, se ne parla ormai da novembre, era una possibilità fattasi sempre più evidente. I ristoratori sanno bene che il prezzo del vino sarebbe aumentato, e anche loro si comporteranno di conseguenza”.
Un raggio di sole, a squarciare le nubi che si addensano sui prossimi mesi, fa invece luce su una risposta, almeno in potenza, proattiva a questa crisi, da cui certi territori, e certe cantine, potrebbero uscire più forti, specie in termini di posizionamento, facendo quel salto di qualità troppo a lungo e troppo spesso rimandato, come si augura Sergio Bucci, direttore Cantina Vignaioli del Morellino di Scansano. “Anche nel nostro caso ci siamo allineati ad un aumento dei listini del 10%, ma è un incremento che non copre gli aumenti dei costi. Il nostro obiettivo è quello di recuperare sul lungo termine, nei prossimi 2-3 anni. Anche perché, il Morellino di Scansano non ha subito la crisi della pandemia: si sono spostate le vendite sugli scaffali di enoteche e Gdo, ma i numeri hanno retto. Il dubbio, allora, è quello di essere posizionati ad un prezzo persino troppo basso, inferiore al suo valore reale. Il Morellino di Scansano, anche in ristorazione, viene scelto perché costa poco e si gode di un buon bicchiere, per questo crediamo che nell’Horeca un aumento contenuto non porterà conseguenze importanti. Preoccupa invece la Gdo, perché il prezzo incide molto sulle scelte, specie in un momento come quello che stiamo vivendo. Il rischio, in questo caso, è superare la soglia dei 7 euro e riposizionarsi ad un livello più alto. Un rischio che vogliamo comunque correre, perché è una fascia di prezzo che un vino importante come il Morellino può occupare. Del resto, non possiamo andare dalla Gdo con gli stessi prezzi di ieri, non ce lo possiamo permettere, specie dopo aver garantito per tanto tempo un buon prezzo per il cliente riducendo la nostra marginalità: gli aumenti sono nell’ordine delle cose, i buyer lo sanno bene, ma rinnovare con la Gdo non è affatto semplice. Bisogna ricordare - aggiunge Sergio Bucci - che gli aumenti derivano da tantissime variabili, è difficile quindi calcolare un generico aumento dei costi valido per tutti, ma ad esempio bordolese ha avuto un incremento di 6 centesimi a bottiglia, almeno nel nostro caso, e poi c’è la difficoltà a reperire i materiali, che rallenta il lavoro e pesa sulle casse della cooperativa”.
Un peso, quello dell’aumento dei costi, che non potrà essere pagato solo dalle aziende, che, come nel caso della Cva Canicattì, guidata da Giovanni Greco, si sono ritrovate, “dopo il recupero del 2021, accompagnato dalla ripresa delle attività di bar e ristoranti, con la pandemia che ci ha comunque costretti a rivedere il nostro atteggiamento verso il mercato, cercando di allargarci alla Gdo e a nuove forme di vendita, con investimenti e linee dedicate, di fronte agli aumenti dei costi di energia e materie prime, che sono arrivati come una mazzata, e che porteranno ad aumenti del 10% del nostro listino. Ci sono fattori incontrollabili, come il prezzo dell’energia, altri rispetto ai quali occorre un intervento dello Stato, e poi ci vorrebbe la capacità di muoversi come filiera, perché al momento ognuno si muove singolarmente come meglio crede. Alla fine, la sensazione è che non ci sia in questa fase tanto complessa una visione d’insieme del problema, la capacità di mettere insieme i soggetti della filiera e come affrontare queste difficoltà. Se i costi di produzione, nel complesso, segnano il +30-40%, ed i listini aumentano del 10%, è ovvio che il resto lo paghino le aziende. Alla fine, chi riuscirà a resistere? Temo che i più deboli, come in tutte le crisi, ne pagheranno le conseguenze. È un tema di cui discutere in maniera seria, coinvolgendo associazioni e consorzi, così come la distribuzione”.
In questo panorama, c’è un territorio che fa quasi una partita a sé, visto il lungo ed inarrestabile trend di crescita: il Prosecco. “Non si può negare il buono stato di salute del Prosecco, che viene da 10 anni di crescita dei consumi davvero importante. Il Prosecco è un vino accessibile, giovane, fresco e non impegnativo, che si presta a tipologie e momenti di consumo diversi. Parlando di numeri - spiega Andrea Curtolo, direttore Cantina Colli del Soligo - nel 2021 le vendite del Prosecco Doc hanno raggiunto 625 milioni di bottiglie (+25%), il Conegliano Valdobbiadene 100 milioni di bottiglie (+14%) e l’Asolo 20 milioni di bottiglie (+20%), e l’inizio del 2022 segna crescite poderose su gennaio 2021. Durante la pandemia la gente ha cominciato a bere Prosecco a casa, comprandolo in Gdo o online, in Italia come in Usa, Gran Bretagna e Germania. Parlando di listini, l’aumento delle materie secche è stato importante (+15% tra bottiglie, capsule, cartoni), che portano ad un’incidenza del 3-6% dei costi, mentre l’energia è cresciuta almeno del 70%, con un ulteriore aggravio. Ma l’aumento maggiore è quello del vino sfuso (40%), perché la domanda è molto superiore all’offerta, e molte cantine imbottigliatrici, per paura di rimanere senza, l’hanno pagato più delle quotazioni. Si lavora con cooperative e associazioni per calmierare i prezzi e dare ai grossi buyer un prezzo costante, perché le fluttuazioni non fanno bene ai mercati. I listini di dicembre sono stati accettati dall’Horeca, con aumenti importanti ma realistici. La Gdo, invece, non ha accettato i nuovi listini, facendo delle controproposte, che non ci siamo sentiti di accettare. Con qualche cliente chiuderemo i contatti, lo venderemo sfuso, con altri ci dovremo risentire: stiamo rinunciando alla Gdo per dedicarci all’Horeca, sperando di poter tornare presto a conquistare nuovi mercati. Sia Horeca che Gdo ci faranno capire nei prossimi 2-3 mesi come andranno le cose”.
Dal punto di vista delle cooperative, comunque, il boom dei costi va affrontato anche in maniera etica, non solo economica, “perché lavorare in una cooperativa - ricorda Felice Di Biase, alla guida dell’abruzzese Cantina Frentana - vuol dire abbracciare una filosofia di vita diversa, legata alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Chi sceglie la cooperativa ha bisogno di condivisione, che è la base per instaurare rapporti solidi in tutta la filiera, dalla produzione dell’uva alla trasformazione alla commercializzazione, e l’aumento indiscriminato dei prezzi non è l’unica soluzione al boom dei costi. Certo, è necessario ed inevitabile, perché dobbiamo garantire il reddito dei nostri soci, ma la chiave di volta è condividere questa esperienza a livello commerciale: non possiamo pensare solo di subire ed imporre gli aumenti. La soluzione giusta va trovata, ma il comportamento deve essere quello di un sano rapporto di equilibrio tra economia ed etica, facendo capire a chi abbiamo di fronte (Horeca, Gdo) che dietro la nostra bottiglia si cela un territorio, un’economia, centinaia di famiglie. Il rapporto se il nostro interlocutore abbraccia la nostra filosofia, allora può diventare condiviso, e questo ci dispone a fare tutti quanti sacrifici, ammortizzando i costi e garantendo aumenti di listini sostenibili. La nostra Doc più importante, quella del Montepulciano d’Abruzzo, difficilmente resterà nella fascia di prezzo in cui è oggi, ma da soli non ci si salva, e il mondo della cooperazione lo sa meglio di tutti”.
Trattandosi di costi che vengono caricati quasi per intero sulla produzione, grandi differenze di aumenti di prezzo, tra mercato interno e mercati esteri, non ci dovrebbero essere, al di là della marginalità che ogni cantina decide di garantirsi. “Quello che stiamo attraversando è un periodo davvero particolare - conclude Domizio Pigna, presidente La Guardiense, nel Sannio - che dopo la pandemia ci pone di fronte all’aumento dei costi di produzione e delle uve. Ci siamo attestati su aumenti compresi tra il 10 ed il 15%, sia su listino Italia che estero. Stiamo mantenendo le nostre posizioni, ma il 2022 deve essere un anno di avanzamento, attraverso la crescita in Italia e all’estero. Il Governo deve fare la sua parte, perché le aziende sane vanno tutelate, servono accordi di filiera, ma l’aggregazione è un grosso punto di forza”.
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