C’è una buona parte della filiera del vino italiano, che è in salute, genera valore aggiunto tanto per chi produce uva che per chi commercia le bottiglie, e cresce nei territori e nell’export. Ma c’è anche una parte, non marginale, che soffre, e molto. Soprattutto nel segmento dei vini da tavola, che lotta non solo contro la concorrenza dall’estero di prodotti generici a prezzi stracciati, ma anche contro una sostanziale sovrapproduzione interna, con le uve pagate, quando va bene, 25-30 centesimi al chilo.
Situazione che, su certe fasce di vino, è comune in realtà come Sicilia, Puglia, Abruzzo, Emilia Romagna e Veneto, dove si registrano, secondo i player del mercato, le criticità più evidenti. E che pone una serie di questioni da affrontare.
In primis, il rischio concreto che certi vigneti che non rendono, magari ancora condotti da contadini in pensione, e come attività secondaria, una volta che questi cesseranno l’attività, non vedranno alcun ricambio generazionale, e verranno abbandonati.
Segue, a ruota, la necessità di rivedere strutturalmente i criteri di assegnazione dei diritti di impiantare nuovi vigneti, cosa che, a detta di alcuni, dovrebbe essere consentita soltanto in quei territori che hanno mercato.
Infine, la consapevolezza che il primato di Paese più produttivo in quantità (nonostante un -16% sul 2018, a 46 milioni di ettolitri, con le mani dei vendemmiatori già in azione per tagliare i grappoli) non conta nulla, anzi, può essere un problema, mentre è fondamentale stare nel vertice della redditività del vino, almeno quanto quello della qualità dei vini stessi. Proprio sulla creazione di valore, infatti, concordano tutti, si devono concentrare gli sforzi della filiera, anche nella promozione, per colmare l’enorme gap che, per esempio, esiste tra il prezzo medio di una bottiglia di vino italiano in export (5-6 euro) e di una francese (15-16 euro).
Processo che passa, secondo alcuni, anche dalla semplificazione del messaggio oggi forse troppo complesso, delle tante diversità del vino italiano, e che chiama in causa, tra le altre cose, una preliminare razionalizzazione del numero delle nostre Denominazioni.
Spunti e riflessioni espresse da diverse anime della filiera (produttori, enologi, istituzioni), oggi a Roma, nella presentazione delle stime sulla vendemmia 2019 di Uiv, Assoenologi e Ismea, che meritano più di un approfondimento.
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