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LO SCENARIO

Le temperature salgono, agricoltura e vigna soffrono. Adattamento e mitigazione le parole d’ordine

La Rete dei Borghi Valle del Belìce: “la viticoltura mediterranea sfida il cambiamento climatico”

Il cambiamento climatico, ed in particolare il riscaldamento del pianeta, sono un dato di fatto, e l’uomo, in questo, ha il suo peso. L’agricoltura e la viticoltura, in ogni caso, devono farci i conti, quanto meno per limitare i danni. E le parole chiave, in questo senso, sono due: adattamento e mitigazione. Perchè e temperature sono destinate a crescere costantemente in tutte le zone interessate, con rispettivi danni a tutto l’ecosistema, a partire dall’agricoltura, agli allevamenti, ai terreni stessi. Ma lo scenario non è immutabile, a patto che si affronti la situazione da un punto di vista sistemico. E’ il messaggio di sintesi che arriva dal Convegno “La viticoltura mediterranea alla sfida del cambiamento climatico: strategie e tecniche di contrasto alla desertificazione e prospettive di adattamento per la sopravvivenza dei sistemi agricoli”, organizzato dalla Rete dei Borghi Valle del Belìce, a Menfi, in Sicilia, con gli interventi di Matteo Bellotta, esperto dell’Euro-Mediterranean Center on Climate Change (Cmcc), Alessandra Biondi Bartolini, agronoma e direttrice scientifica di “Mille Vigne”, Isabella Ghiglieno, ricercatrice dell’Università di Brescia, Guido Bissanti, presidente del Coordinamento Agro/Ecologia Sicilia e Giuseppe Barbera, professore universitario, esperto di colture arboree.
L’innalzamento delle temperature è un trend inarrestabile. Il clima ha da anni intrapreso un percorso in salita, in tutto il mondo e in special modo in tutta la fascia costiera del Mediterraneo. Matteo Bellotta, esperto dell’Euro-Mediterranean Center on Climate Change (Cmcc), ha spiegato come poi si sia giunti a questa constatazione: osservando l’andamento della temperatura, dal 1880 al 2022, si è preso come riferimento un periodo trentennale, tra il 1951 e il 1980, e questa media è stata presa come riferimento. Si è visto come dal 1880 al Secondo Dopoguerra si sono avuti anni più freddi e anni più caldi, con una variazione normale della temperatura. A partire dal 1950, però, si è rilevata una deviazione più grande rispetto alla temperatura presa a riferimento. E il superamento di questo valore è divenuto una costante che si ripete, di anno in anno. In tutto il mondo.
Forzando il sistema ed eliminando l’azione dell’uomo dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica, si è visto che l’andamento della temperatura avrebbe dovuto essere inferiore. Ciò significa che l’azione dell’uomo e le emissioni dovute alle attività umane sono quelle che provocano l’innalzamento della temperatura.
“Gli effetti diretti e indiretti di questo cambiamento climatico - avverte Bellotta - sono costantemente sotto i nostri occhi: innalzamento del livello delle acque, erosione dei ghiacciai, incendi diffusi. E per le coltivazioni, vi saranno perdite consistenti di raccolto un po’ in tutta la fascia mediterranea”. Cosa ci aspetta, quindi, per il futuro ? La fascia mediterranea andrà verso una perdita sostanziale di precipitazioni, tra il 30 e il 40%, le temperature aumenteranno fino a + 4 gradi, si arriverà ad avere eventi siccitosi ogni 4 anni. In Sicilia, dal 2041 al 2070, si prevede un aumento dei giorni consecutivi senza pioggia con punte sino a 56 giorni in più rispetto alla situazione attuale. E, oltre a questo, il problema sarà la distribuzione delle piogge nell’anno. “Le cose da fare - spiega Bellotta - saranno fondamentalmente due: l’adattamento e la mitigazione. Sul primo punto bisognerà cercare di adattarsi a questi eventi migliorando i piani di azione nel momento in cui si verifichi un evento estremo. Contemporaneamente per mitigare si dovranno ridurre le emissioni di anidride carbonica tentando di affrancarsi dai combustibili fossili, utilizzando fonti di energia alternativa e intervenendo nelle abitudini quotidiane. Senza dimenticare di imparare a comunicare meglio queste criticità, mettendo a disposizione della cittadinanza strumenti utili, che creino consapevolezza nelle persone e le sensibilizzino su questi temi”.
Un aspetto, quello del cambiamento climatico, trascurato da tempo, come spiega Alessandra Biondi Bartolini, agronoma e direttrice scientifica di “Mille Vigne”, con il suo intervento “il vino che verrà: il cambiamento e l’adattamento della viticoltura mediterranea di fronte alla crisi climatica”: nella comunità scientifica le preoccupazioni in merito alle variazioni del clima erano presenti da anni. “Tra i primi ad accorgersi che qualcosa stava cambiando - afferma l’esperta Alessandra Biondi Bartolini - ci fu un autore americano, Gregory Johns, che già nel 2000 aveva analizzato tutte le serie storiche delle epoche fenologiche a Bordeaux ed aveva verificato che, dal 1857 al 1997, c’era stato un anticipo in tutte le fasi di maturazione. E questo anticipo, al momento della vendemmia, si era accumulato in 26 giorni. A Bordeaux, in pratica, dopo 30 anni, si vendemmiava 26 giorni prima. Tenendo conto che la vite ha un ciclo vegetativo di sei-sette mesi, si parla di un fattore rilevante. Anche considerando un cambiamento degli obiettivi enologici”. Questo non fu subito valutato come un rischio, tutt’altro, il miglioramento del tempo e delle fasi di maturazione dell’uva vennero percepiti come un vantaggio. Nel 2005 però Johns fece una analisi dei rating internazionali della qualità delle uve e si vide come questa avesse un andamento a parabola: dopo un picco seguiva una decrescita e questo alla lunga ha causato problemi di sostenibilità economica in generale. Una coltura è infatti adatta a un determinato ambiente sino a che quel territorio è sostenibile. Il punto di rottura è quando questo non è più così. Le stime, per il 2023, riferite al 2022, ci parlano di una decrescita nella produzione di uva per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In Italia si prevede un calo del 12%, in Spagna un calo del 14%, in Grecia del 45%. Questi dati parlano di una emergenza che mette in crisi il sistema. Per far fronte a questa situazione occorre ricominciare a lavorare sulla fisiologia della vite; adottare misure di adattamento nella lavorazione; riconsiderare la complessità di tutto il sistema, a partire dalla biodiversità dell’universo agrario che interagisce con tutto. Occorre rivalutare il mondo agricolo nel suo insieme e il ruolo del vigneto al suo interno, applicando tecniche che ritardino la maturazione delle uve, per esempio, in modo da sfruttare periodi più freschi per la vendemmia. Trovare misure di adattamento rimane tuttavia il 50% della soluzione. L’altro 50% riguarda il ricercare tecniche di mitigazione, che si traducono in azioni come cambiare le forme di allevamento, sostituire il materiale vegetale utilizzato, mutare la collocazione geografica dei vigneti. Accettando di fondo il cambiamento ma utilizzando l’innovazione per facilitare il passaggio da un modello a un altro.
Il presidente del Coordinamento Agro/Ecologia Sicilia, Guido Bissanti spiega che il cambiamento climatico è di fatto qualcosa di molto più complesso di quello che viene percepito. Nel suo intervento “Transizione agro/ecologica, dalla scienza alle norme di legge”, spiega come il grande malato in questa vicenda sia il suolo. Composto per un 5% da microorganismi, è il protagonista principale di tutto l’universo Terra e rischia di morire a causa di tutti i veleni utilizzati in agricoltura. Un suolo privo di sostanza organica è un suolo morto, incapace di produrre. Secondo i dati Istat della Regione Sicilia, negli ultimi 33 anni, si sono persi 400.000 ha di terreni. Questa perdita è la causa di un riscaldamento climatico del 25%, oltre che della diminuzione della fertilità dei suoli. La soluzione per Guido Bissanti deve essere un approccio sistemico, che non consideri soltanto l’ambito dell’agricoltura, ma tutto l’ecosistema. Occorre adottare un modello agro/ecologico che abbia come principio fondamentale l’aumento della biodiversità. “Noi siamo esseri viventi fatti di informazione, energia e materia. Quando questi tre fattori sono distribuiti male, si crea una entropia, una energia degradata, che non possiamo più utilizzare e che riscalda il pianeta. Occorre creare biodistretti che uniscano sistemi produttivi con sistemi di utilizzo”.
E tra le soluzioni ecosistemiche vi è anche la gestione del vigneto nelle sue varie sfaccettature, come spiega Isabella Ghiglieno, ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e Matematica dell’Università di Brescia. Nel suo intervento “Biodiversità funzionale nell’ecosistema vigneto: l’approccio sistemico di Agrifood”, la dottoressa Ghiglieno punta il focus su un paradigma aperto, che faccia dialogare tra loro tutti gli attori della vicenda. Per risolvere un problema si deve parlare quindi di vigneto, ma anche di suolo, di seminativo, di uliveto, di tutta la biodiversità che concorre alla definizione di un paesaggio. Per trovare una soluzione il team dell’Università di Brescia mette a punto un approccio metodologico che consente di studiare le dimensioni e fare un’analisi integrata dei dati. Mettere mano a un quesito significa principalmente capire di fronte a cosa ci si trovi. La conoscenza di cosa si ha davanti è fondamentale per evitare azioni inutili. La tecnologia e l’intelligenza artificiale si rivelano poi alleati preziosi in questo ambito, per esempio per avere immagini definite che consentano di identificare con una precisione ancora maggiore la composizione dei suoli, la varietà di microorganismi presenti, le specie vegetali viventi.
Perché complessità è la chiave di tutto. Ne è convinto anche il professor Giuseppe Barbera, Ordinario di Colture Arboree all’Università di Palermo, secondo cui il modello di sviluppo è e deve essere sistemico, ma bisogna evitare di fare di questo una somma di riduzionismi: “il sistema - precisa Barbera - è questa capacità che ha solo l’agro/ecologia di tenere insieme le leggi dell’ecologia con le necessità multifunzionali del campo coltivato. Non solo il grappolo, non solo l’uva, ma anche la bellezza di tutta la filiera. Ed è in questo ambito un posto determinante lo occupa la ricerca, che consente di dare, nei momenti giusti, le risposte giuste agli agricoltori, impedendo loro di divenire inutili cavie”.

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