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Libero

Viaggio tra le valli del Trentino alle sorgenti dello spumante ... Dallo Chardonnay al Talento, fra valli e spalliere di viti nella capitale del vino con le vollicine... Ribolle maestoso l’Adige a lambire l’Autobrennero. È un viaggio controcorrente questo, ché si va dalla pianura Padana, lasciato l’incanto di Verona verso Nord Est agli estremi confini italiani. A scandire questo andare è il fiume: impetuoso. È il terzo d’Italia per portata, il secondo per lunghezza con i suoi 400 e passa chilometri, ma sembra un torrente ipertrofico tanto improvvise sono le sue rapide, strette le gole che ha scavato, ardite le curve che questa massa d’acqua che pare vetro fuso affronta nel suo rotolare giù dai monti della Val Venosta, dove origina, al richiamo dell’Adriatico a Chioggia. È un fiume arteria lungo il quale sono corse migrazioni, invasioni, merci, popoli. È come se fosse stato prima per la Serenissima, che fece il viaggio come noi lo stiamo affrontando dalla foce alla sorgente, e poi per gli Asburgo che invece lo fecero al contrario dalla sorgente alla pianura, una via di penetrazione delle identità prima ancora che degli eserciti e delle culture. Ed è singolare come l’Adige scandisca i nomi dei territori. Fino a Merano è Val Venosta, fino a Rovereto e Val d’Adige, poi si fa Vallagarina fino a Verona e infine si confonde nella Val Padana. Non arriveremo fino al passo Resia dove Svizzera, Austria e Italia si danno la mano, perché altre sono le sorgenti che andiamo cercando. Sono le sorgenti del Talento. Sì nel doppio significato: di abilità, genio, concretezza, sapere e saper fare e di marchio che cerca di affermarsi per designare lo spumante metodo classico italiano. Quel vino che ha retto meglio di tutti alla crisi, quel vino che piace sempre di più e che si sta facendo largo sui mercati mondiali, incalzando lo Champagne che è - data la crisi mondiale - in caduta di vendite. Ma Talento anche nel senso che designa gli spumanti italiani prodotti con il metodo classico. Cioè la rifermentazione in bottiglia. A cui i trentini - gente pratica che bada al sodo e che vuole avere fortemente protetta la propria identità - hanno aggiunto un esplicito Trento Doc Spumante. Lo havoluto la Camera di Commercio di Trento questo consorzio per tutelare sempre di più la produzione di spumanti di queste valli d’incanto. E i risultati si sono visti. Ma se commercialmente il Trento Doc ha avuto successo è lecito chiedersi che differenza ci sia tra questo vino e lo Champagne in termini di capacità evocative? È una domanda che accompagna questo andare lento perché ad ogni tratto di strada c’è una sorpresa di natura che lascia senza fiato, che incanta. E qua e là tra castelli, arditi campanili, una campagna che pare pettinata e montagne incombenti, maestose, sublimi nel senso classico, si vedono materializzarsi storie di lavoro, di gente che è abituata sudarsi la terra e la vita. C’è poco di allure trasgressiva in tutto questo. Lo Champagne che piaceva a Lautrec che deve la sua fama mondiale all’essere sinonimo di voluttà, pare lontano le mille miglia da queste impressioni territoriali. E allora quale marketing dell’immateriale si può creare per questi spumanti? La risposta il Trento Doc se l’è data: naturalità e qualità. E davvero è difficile incontrare nel mondo del vino un terroir tanto suggestivo e al tempo stesso tanto spesso di valori. Si viaggia lungo l’Autobrennero verso le sorgenti del Trento Doc. Sono le valli che fanno da corona alla città dei principi-vescovi, del Concilio che cambiò la cultura dell’Europa cattolica, del meraviglioso Castello del Buonconsiglio, dove crescono a perdita d’occhio le vigne dello Chardonnay. Fausto Peratoner una volta ha azzardato un’idea: quello non è più un vitigno internazionale o alloctono per noi trentini lo Chardonnay è ormai diventato un oriundo.

Grappoli fruttati. È vero. Qui le vigne di questo biondissimo grappolo dal sapore di albicocca e pera, che ha un inconfondibile spessore fruttato e che grazie alle fresche arie dell’Adige e alle altezze dei vitigni ha una notevolissima acidità, base indispensabile per fare spumanti eccelsi, sono ormai ubique: sono dei giacimenti. Hanno sfrattato la Schiava che era l’uva simbolo dei terreni morenici e sabbiosi dell’Adige, hanno confinato sul piano Rotaliano il Teroldego, mentre in Vallagarina, il tratto più ampio dell’Adige trentino resiste il Marzemino. È una viticoltura complessa e complessiva, all’avanguardia comunque. Come tutta l’agricoltura di questa terra sospesa tra acqua e cielo dove le montagne sembrano dei giganti tutori. Perché anche i meleti hanno la stessa intensità e contribuiscono disegnare il paesaggio. Ecco se lo Champagne appare sensuale, appare mondano, anche nelle sue terre di produzione, il trentino Doc esprime Talento di territorio. Ed esprime natura. Il primo guizzo delle meraviglie del Creato che s’incontrano in questo andare è il Garda, l’apice del lago-mare. Torbole e poi Riva del Garda sono incantevoli in queste giornate di estate. Qui si dà convegno quel turismo mitteleuropeo che ancora ricorda i fasti asburgici. È una tappa fondamentale quella sulle rive del Garda per approcciare con la dovuta disposizione d’animo l’incontro con lo spumante del Trentino. Perché si percepisce a tutto tondo l’eleganza del territorio. Così passata Ala, sempre lungo l’Autostrada, s’incontra il Castello di Avio. Qui ancora non siamo in terra di spumante: qui trionfa il merlot, uno dei migliori d’Italia. Ancora qualche chilometro ed ecco Isera, il cuore della Vallagarina e dirimpetto Rovereto. È una città simbolo della grande Guerra, ma oggi è un centro motore di cultura. Serve al vino, al vino di alta qualità, questo riferimento allo spessore immateriale dei luoghi. Una vista al Mart è d’obbligo per avvertire come contemporaneità e passato dialoghino. In fondo anche in una flute di spumante Trento Doc si fondono il tempo, eterno di affinamento di fermentazione del vino, e la modernità, immediata ed elegante del gusto. Da Rovereto conviene fare una deviazione ed inerpicarsi sulla sinistra dell’Adige verso Noarna a vedere uno dei castelli più suggestivi di questo territorio che fu di frontiera e che perciò di munizioni ne conta a decine. Castel Noarna ha una leggenda da raccontarci (e oggi anche ottimi vini da far degustare): è quella del processo alle streghe della Santa Inquisizione. Qui si tenne, qui fu
pronunziata la sentenza, qui tra queste mura merlate, venne eseguito il supplizio. Perché ricordarlo? Per dare il senso della Storia certo, ma per immaginare anche una terra popolata di leggende.

Verso l’Adige. Si ridiscende verso l’Adige incontrando decine di piccoli specchi di Venere, i laghi che ingentiliscono ancora di più questo paesaggio. E ora ci siamo: siamo nella culla dello spumante trentino. A Martignano gli Stelzer gestiscono la loro piccola esclusiva cantina. Sono tra i pochi ad aver piantato anche pinot nero, pinot meunier e pinot bianco per diversificare i loro spumanti. Piccola produzione alta qualità e un’ambizione: superare lo Champagne in identità. Sono a due passi dal monumento allo spumante trentino: le cantine Ferrari. Si vedono dall’autostrada e uno s’immagina che siano tutte lì, che siano una sorta di stabilimento. Che magia invece camminare con i giovani Lunelli, gli eredi di questa tradizione spumantisica che risale agli inizi dell’800, le vigne che si inerpicano fin quasi al Bondone e scoprire che c’è una continua ricerca sui doni, sulle tecniche culturali.

Lo spumantista. Certo andare a vedere le cantine storiche, le poupittres che sembrano come un esercito di legno e vetro nascosto sottoterra così come quello terracotta degli imperatori cinesi, immobile, eterno affascinante, dà emozione. Ma consente di comprendere la complessità del mestiere di spumantista. Non è facile fare questo vino. Bisogna avere ottime basi, bisogna rispettare il frutto della vite e poi pazientare, attendere che i lieviti facciano il loro lavoro dietro qui vetri scuri che ogni santo giorno vengono girati un po’. Il remuage lo chiamano i francesi, forse noi dovremmo chiamarlo la carezza Bacco. C’è altro però da vedere. Ecco Trento la magnifica. il Castello del Buonconsiglio è il condensato di questa terra dove civiltà rurale, armonie d’architettura, arte e storia si fondono. Come nel Duomo, come poco oltre a Mezzolombardo, a Mezzacorona dove sorge l’avveniristica cantina di Rotari ormai il secondo produttore trentino di spumante, ormai una delle aziende leader nel mondo degli spumanti. Ma l’ultima irrinunciabile tappa è a San Miche all’Adige. Qui dove da un secolo e mezzo la scienza enologica è ospitata in un convento duecentesco, qui da dove è passata, quasi fosse un luogo cerniera, la cultura tecnologica del vino e della vite di tutta Europa si sente lo spessore della qualità complessiva di questo vino: che è territorio, che è natura. Che è soprattutto Talento.


Le top in cantina

Mezzocorona Rotari. Rotari, di Mezzocorona, è il tentativo riuscito di fare uno spumante Talento a prezzo popolare (euro 15).

Abate Nero Trento Cuvée. Abate nero produce spumanti di alta classe. E lo conferma con il suo Cuvée dell’Abate Riserva (euro 27).

Ferrari Perlé Nero. Il Perlé Nero è un extra Brut da Pinot Nero esclusivo e conferma lo stile impeccabile di casa Ferrari (euro 60).

Letrari Brut Riserva. Letrari con lo spumante ha cercato di dare frutto e delicatezza. Il Brut Riserva è molto più di una buona bottiglia (euro 28).

Dorigati Methius. Il Methius di Dorigati, blanc de blanc, è gentile, di gran frutto, buona acidità, molto frendly (euro 32).

Pojer e Sandri Brut Rosé. Il Rosé di Pojer e Sandri è croccante, cremoso. Una invidiabile spremuta di melograno. Affascinante (euro 21).

Cavit Riserva Graal. L’Altemasi riserva Graal è la bottiglia di punta di Cavit. Di buon bouquet e perlage persistente (euro 18).

Cesarini Sforza Aquila Reale. L’Aquila Reale Riserva è la massima espressione di Cesarini Sforza. Molto intenso e profondo (euro 40).

Ferrari Riserva del Fondatore. Il primo spumante italiano che abbia sfidato, vincendo, i grandi Champagne francesi. È una bottiglia, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore, alla quale deve molto tutto il vino italiano. È stato l’ambasciatore della nostra qualità ritrovata. Chardonnay in purezza prodotto solo nelle migliori annate ha eleganza, frutto, perlage fine: una bottiglia di assoluta eccellenza che porta la firma della famiglia Lunelli (euro 81).

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