Con l’enciclica “Laudato si’”, nel 2015 Papa Francesco ha scosso il mondo sul problema dell’accesso al cibo, “e da un paio di anni ha invitato anche l’Accademia, che è formata da studiosi dei quattro Continenti ed è molto aperta perché per essere membri - e questo molti non lo sanno - non c’è bisogno di essere credenti e ci sono portatori di fedi diverse, ma tutti accomunati da una forte passione per l’uomo, a mettere al centro dei suoi studi questo tema. Il dato di partenza è che dal 1961 al 2018, la percentuale di coloro che a livello mondiale erano sotto la soglia della povertà e quindi soffrivamo la fame era diminuito del 30%, ma dal 2018 ad oggi il tasso è tornato a salire. Un tema che, dunque, non è solo di attualità, ma rappresenta una sfida anche intellettuale. Perché la domanda è come mai nel giro di poco tempo si è invertita la tendenza”. Lo ha detto Stefano Zamagni, presidente Accademia Pontificia per le Scienze sociali, al “Meeting Rimini 2022” nell’incontro su “La crisi alimentare globale: la persona al centro” sulla necessità di riportare al centro la persona umana per affrontare un problema complesso, dalla portata ogni giorno crescente, come l’insicurezza alimentare.
Per Zamagni, “una prima distinzione importante che occorre fare è quella tra insicurezza e dipendenza alimentare, troppo spesso confuse, ma che non vanno assieme, e questo distorce le politiche seppur in buona fede. La prima è la situazione di vita di chi non ha accesso al cibo per due ragioni, o perché il cibo non c’è a causa di una carestia e della siccità o perché le persone non hanno i soldi per comprare il cibo ma il cibo c’è, e questa oggi è quella dominante. E bisogna avere il coraggio etico, oltre che intellettuale, di dirlo, perché molto spesso facciamo credere che la gente muore di fame perché non c’è il cibo ed è una bugia. È un’“institutional failed”, un fallimento delle istituzioni perché evidentemente la ragione sta in qualcos’altro. Un esempio tipico è l’India, che ha una forte insicurezza alimentare, con 190 milioni di esseri umani che soffrono la fame, ma non ha dipendenza alimentare perché esporta grano e altri prodotti. Il problema è che i meccanismi istituzionali economici e finanziari operano in maniera perversa. Papa Giovanni Paolo II introdusse un’espressione che purtroppo è stata abbandonata: “strutture di Peccato”, ovvero quelle regole del gioco economico-finanziario o legale che impediscono alle persone di avere accesso a beni fondamentali tra i quali il più fondamentale è il cibo. La Fao ha censito 53 Paesi del mondo in cui c’è scarsità di cibo, e le politiche adatte per sconfiggere l’insicurezza alimentare sono qualitativamente diverse da quelle per contrastare la dipendenza alimentare. La guerra in Ucraina è un esempio di questo “super paradosso” - parola greca che significa “meraviglia” - perché il cibo c’è, nei container del porto di Odessa ora fortunatamente sbloccati, altrimenti si rischiava di doverli buttare via le granaglie anziché destinarle a sfamare le persone. Il quadro strategico della Fao 2022/2023 per la prima volta parla di sistema agroalimentare, mentre finora si tenevano distinti il sistema alimentare da quello agricolo, ed scientificamente sbagliato perché devono procedere di pari passo soprattutto a livello di politiche implementative. Infine, un tema che merita attenzione è quello dell’educazione alimentare, che non vuol dire solo insegnare a giovani e meno giovani i valori nutrizionali della Dieta Mediterranea e come dosarli, ma affrontare il problema dello spreco alimentare che è una vera piaga sociale. Noi in Europa siamo il Paese che spreca più cibo, e solo pensando al sistema della grande distribuzione alimentare l’anno scorso ne sono state buttate via 220 milioni di tonnellate. Tanti anni fa è nato il Banco Alimentare gettando “il sasso in piccionaia” sul fatto che il problema del cibo non si può risolvere solo affidandolo alla distribuzione commerciale, perché inevitabilmente ci sono sempre degli scarti tra domanda e offerta. Bisogna risolvere il problema di quel cibo che essendo scartato per di più inquina e invece potrebbe nutrire chi ha bisogno ed evitare che la sua distruzione produca Co2 e Cf4, i gas Teflon. Il ruolo dei soggetti del terzo settore è fondamentale, perché senza sussidiarietà l’ente pubblico non può risolvere questo problema, così come non possono farlo le imprese private. Devono cooperare, sapendo che la soluzione esiste. Segnalo un libro, da poco tradotto in italiano, “Sitopia. Come il cibo può salvare il mondo” della studiosa inglese Carolyn Steel, che vuol dire dal greco “il luogo del cibo” e il cui contenuto va nella direzione di ciò che ho detto, ovvero che il problema dello spreco alimentare non può essere risolto a livello di singolo Paese ma, nel caso nostro, dell’Unione Europea”.
Oggi si parla, infatti, a tutti gli effetti di “diplomazia alimentare”. “Io spero che tanti giovani si possano appassionare alla carriera diplomatica, perché mai come in questo momento storico tutto quello che ci riguarda è politica estera, da quando si accende la luce a casa, per quello che costa e per i motivi da cui questo dipende, a quando si compra al supermercato per l’impatto della guerra in Ucraina sui costi dei prodotti alimentari - ha detto il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio - per questo in un Paese sviluppato come l’Italia, settima potenza mondiale, oggi abbiamo famiglie in sofferenza, ma nei Paesi in via di sviluppo tutto questo rischia di produrre nuove guerre, terrorismo e colpi di Stato. Nella diplomazia e nei diplomatici di tutto il mondo dobbiamo riporre grandissime speranze nei prossimi mesi, perché saranno loro insieme alla leadership politica dei Paesi, ad affrontare negoziati come quello che ha avuto esito positivo tra Ucraina e Russia sotto l’egida della Turchia per permettere l’esportazione del grano dai porti ucraini, evitando nuove guerre in Medio Oriente e Nord Africa. Ma il tema della sicurezza alimentare non riguarda solo ciò che è avvenuto dopo la guerra in Ucraina. Nel G20 presieduto dall’Italia a Matera nel 2021 abbiamo approvato con le 20 economie più potenti del mondo, che rappresentano l’86% dell’economia mondiale, la “Carta di Matera” sulla sicurezza alimentare, quando già la pandemia aveva fatto aumentare l’insicurezza alimentare di decine di milioni di persone. L’Italia insieme al Terzo Settore, alle Ong della cooperazione, al mondo imprenditoriale e agricolo e alle organizzazioni internazionali sta continuando a lavorare nella consapevolezza che la diplomazia alimentare non vuol dire solo difendere le persone dall’insicurezza alimentare dal punto di vista della carenza di cibo, ma anche opponendosi al “Nutriscore” in Ue con il “NutrInform Battery” in difesa del made in Italy”.
Fattori come cambiamenti climatici, pandemia e conflitti sono le cause identificate anche dalla Fao dell’aggravarsi dell’insicurezza alimentare nel mondo. “Il G20 di Matera - ha sottolineato Maurizio Martina, vicedirettore generale Fao - si collocava a valle della seconda ondata pandemica a conferma dell’importanza che l’Italia dà alla sicurezza alimentare. Non si può avere passione per l’uomo se non si discute di come l’uomo vive tutti i giorni e degli elementi minimi fondamentali che ha per farlo. E il cibo è l’essenza di una buona vita. Questo è fondamentale per affrontare la sfida combinata delle “3 c”, il clima, il Covid e i conflitti che fanno della questione alimentare la chiave cruciale per capire il destino delle comunità umane. C’è stato un tempo in cui si pensava che la fame nel mondo fosse diminuita, e invece negli ultimi anni è aumentata, la pandemia ne ha drammatizzato i numeri e la guerra aumenta i divari tra i Paesi e ripropone una mappa tra il Nord e il Sud del mondo che con la globalizzazione poteva sembrare superata, ma crescono anche le disuguaglianze alimentari dentro i Paesi. Noi cerchiamo con fatica di tessere la tela di un lavoro cooperativo tra Paesi per affrontare i nodi irrisolti dello sviluppo rurale e della ricostruzione di equilibri di equità dentro i sistemi agricoli alimentari e tra i loro attori. Troppo spesso i produttori non hanno la dignità e le condizioni di sopravvivenza che meriterebbero di avere e con il Covid le grandi aziende agroalimentari del pianeta hanno avuto il massimo dei profitti. È una gigantesca contraddizione e noi cerchiamo di lavorare a progetti operativi che partono dal basso lavorando con i Governi per aiutare in particolare i piccoli e medi agricoltori che ovunque costituiscono l’ossatura fondamentale dell’agroalimentare producendo il 70% di quello che mangiamo. Poi certo che ci devono essere anche le grandi imprese e qui il lavoro delle politiche pubbliche è fondamentale. Non possiamo affrontare la transizione climatica che è un fatto è non più neppure una transizione ma un dato strutturale anche a casa nostra nel cuore del Mediterraneo. E c’è bisogno di Ministri degli Esteri che capiscano che di questi temi non possono occuparsi solo gli addetti ai lavori dell’agroalimentare e che il multilateralismo è una sfida tosta ma che praticarlo è una via di pace. Il nostro Paese ha sempre detto che una delle conseguenze più drammatiche della guerra ha a che vedere con la vita e la morte di milioni di persone a km di distanza dall’Ucraina a causa dell’insicurezza alimentare. Quando abbiamo insieme al Ministero abbiamo declinato il concetto di diplomazia alimentare pensavamo al ruolo che l’Italia poteva svolgere da protagonista, e mi auguro che questo lavoro non si interrompa perché siamo solo all’inizio di una stagione complicatissima”.
Per Ettore Prandini, presidente Coldiretti, “non possiamo non sottolineare il trend costante che purtroppo vede i nuclei familiari non dall’altra parte del mondo, ma nel nostro Paese, essere in difficoltà, dove quest’anno avremo 2,6 milioni di persone che faranno fatica ad avere diritto all’accesso al cibo. Non possiamo sprecare il 17% del cibo perché non arriva sulla tavola e si ferma prima perché abbiamo ancora delle inefficienze nella filiera della catena del freddo, e se vogliamo dare una risposta a Paesi come l’Africa è evitare che questo succeda. Un’associazione internazionale come quella dei “Farmers markets” che abbiamo istituito crea la condizione per un rapporto diretto con il cittadino-consumatore che può dare immediata risposta nell’avere il cibo a disposizione, valorizzando le economie di territorio. I mercati dei contadini rappresentano oggi nel nostro Paese un valore complessivo in termini di prodotto commercializzato superiore ai 6 miliardi di euro e un numero aggregato di imprese che sono più di 12.000, ma soprattutto la sfida di creare le condizioni perché questo in cui l’Italia è un’eccellenza assoluta possa essere mutuato nel resto dei Paesi. Ma siamo così convinti che le persone siano al centro delle scelte economiche globali, di fronte al tentativo di sabotare il cibo tradizionale perché venga sostituito da quello fatto in laboratorio da 2-3 multinazionali che operano in tutto il mondo, concentrando tutta la ricchezza e togliendo la possibilità alle famiglie di avere accesso al cibo? Dovremmo invece creare un “cordone sanitario” nei confronti di quei tentativi che mettono a rischio la salute dei cittadini, primo tra tutti quello di arrivare ad avere una dieta globalizzata che sia uguale in tutti i Paesi del mondo e che abbia il suo perno nel “cibo sintetico”, cancellando la storia, la tradizione e la cultura di intere popolazioni. Non lo possiamo permettere perché non solo difendiamo l’interesse economico dei nostri agricoltori e dei nostri imprenditori, ma perché vorrebbe dire creare le condizioni per le quali in pochissime persone potranno decidere il destino delle parti nei Paesi, creando tensioni sociali oggi collegate allo scontro bellico. Che, invece, ci dovrebbe aver insegnato che il cibo è prioritario. Così come oggi c’è chi dice che il cambiamento climatico non è un problema: l’agricoltura italiana ha avuto danni legati alla siccità superiori a 6 miliardi, ma non si possono risolvere solo stanziando risorse perché non è possibile ripararli, ma abbiamo bisogno di una programmazione, di interventi strutturali, di investire in ricerca per creare nuovi bacini di accumulo dell’acqua piovana e nelle energie rinnovabili, senza precludersi nessuna possibilità come le nuove generazioni del nucleare. Guardiamo a quello che è avvenuto in termini di rischio sul sistema cerealicolo per la guerra in Ucraina. L’Europa alla fine era il Continente che rischiava meno visto che noi importiamo solo il 4% di grano, a fronte dell’oltre 70% del Nord Africa. La Cina nonostante consumi il 20% di cereali, in questi anni si è accaparrata il 60% della disponibilità del mondo. È questo che deve essere bloccato, perché non possiamo giocare con la fame e col futuro di tanti agricoltori che diversamente rischiano di abbandonare la loro attività. Oggi in Italia abbiamo 1 azienda agricola su 10 destinata a chiudere e 1 su 3 in fortissima difficoltà economica. La nostra priorità sul Pnrr come mondo agricolo è di non sprecare nemmeno un centesimo per pianificare quelli che saranno i bisogni futuri, mettendo al centro il ruolo dell’uomo e delle famiglie, di cui siamo un modello. Per chiunque vincere le elezioni i primi provvedimenti non dovranno essere quelli di cancellare le leggi del Governo che li ha preceduti, ma di andare avanti con continuità perché l’Italia possa rappresentare in Europa un modello di sostenibilità partendo dalle filiere agroalimentari”, ha concluso intervenendo con Stefano Gatti, inviato Speciale Sicurezza Alimentarem del Ministero degli Affari Esteri, e con Bernhard Scholz, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Ets.
Nello scenario attuale, “la guerra in Ucraina - ha aggiunto Di Maio - è già una guerra mondiale non dal punto di vista militare ma energetico, delle materie prime e dell’alimentazione. È una guerra che ha colpito gli approvvigionamenti di grano minacciando la stabilità di tanti Paesi più fragili come quelli del Medio Oriente e dell’Africa. Noi da una parte dobbiamo sostenere gli ucraini, e dall’altra parte dobbiamo fermare questa dinamica inflattiva che colpisce con la perdita di potere d’acquisto e in altri casi di genere alimentari, raggiungendo un accordo di pace. E come riusciamo a fermare l’inflazione sui genere alimentari? Anche col tetto massimo al prezzo del gas. Siamo un Paese e un Continente esportatore di materia trasformata e i prezzi dei prodotti che salgono colpiscono anche i beni di prima necessità dei Paesi in via di sviluppo. E anche le materie prime passano da un lavoro di diplomazia e quindi più forte è il corpo diplomatico nel mondo meno ci sarà bisogno di eserciti”.
Gli operatori della Fao in Ucraina, ha spiegato Martina, “hanno aiutato gli agricoltori a sminare il terreno, aiutato nelle semine e abbiamo dato loro contributi economici, supportati nella cooperazione anche dall’Italia. Ma abbiamo anche attivato gli impianti per trasformare cereali e farina, perché non andassero sprecati. E se svuotiamo i magazzini pieni da mesi di cereali raccolti, si corre il rischio di non riuscire a immagazzinare quelli che arrivano, garantendo stoccaggi transitori. Fuori dall’Ucraina il riflesso di tutto questo si ha nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente, cui si aggiunge il fatto che Russia, Bielorussia e Ucraina sono anche importanti produttori di fertilizzanti e la loro riduzione ha diminuito le produzioni aumentando i prezzi e mettendo in ulteriore difficoltà i Paesi più fragili. Rischiamo una duplice sfida, abbiamo un problema di accesso al cibo per i prezzi alti e l’inflazione alimentare che in alcuni di questi Paesi è letteralmente esplosa, come in Libano dove è al +200 %, mentre in Italia siamo al +8%. Dai G20 e G7 si spera che dalle parole si passi realmente ai fatti nel finanziare programmi straordinari di intervento che altrimenti rischiano di rimanere sulla carta”.
Per Zamagni, la guerra in Ucraina “non è mondiale, ma globale, la prima nella storia dell’umanità, perché i suoi effetti ricadono non solo sui Paesi belligeranti, ma anche su quelli innocenti a partire dall’accesso alimentare. Si possono fare tre cose: per primo bisogna chiedere di dare vita all’interno delle Nazioni Unite ad un “Food system stability board”, un’agenzia internazionale che si occupi della stabilità del sistema alimentare e dei prezzi agricoli, allo stesso modo in cui nel 2009 in seguito alla crisi finanziaria è stato creato il “Financial stability board”; secondo, le riserve strategiche, e terzo preoccuparsi di garantire i flussi commerciali. Per fare questo un singolo Paese non basta, ma l’Unione Europea sì. In sede delle Nazioni Unite il provvedimento da fare è chiedere l’abrogazione della legislazione riguardante il “land grabbing”, che è la vergogna delle vergogne. Il primo Paese che pratica l’accaparramento delle terre è la Cina, il secondo sono gli Stati Uniti e via via altri, mentre noi italiani non lo facciamo. Gli altri Paesi con le loro multinazionali vanno in Africa o in America Latina per fare contratti “legali” con i Governi locali della durata di 90 anni con i quali, in cambio di un pagamento quasi ridicolo, ottengono il permesso di sfruttare i terreni con le proprie tecnologie e il proprio personale, con il risultato che gli africani che lavoravano fino a quel momento le loro terre vengono espulsi e vanno a finire nelle grandi città e dalle grandi città perdono la via dell’emigrazione. È una forma di “neo-colonialismo” di fronte alla quale il Papa, che quando si supera una certa soglia subito, per fortuna, interviene, uscirà tra breve con un documento su questo. Ma c’è anche il “water grabbing”, e c’è chi sostiene che nel prossimo futuro la carenza d’acqua sarà causa di guerre come per il petrolio e il gas. L’1% delle aziende agricole a livello mondiale controlla il 70% della terra coltivabile, che vuol dire che nelle colture c’è una concentrazione mono-oligopolistica che non trova pari negli altri settori dell’economia. L’agricoltura, storicamente indicata come settore economico dove c’è concorrenza perché la proprietà è divisa tra tanti, oggi è il più monopolizzato e questa è una situazione insostenibile perché l’accesso alla proprietà delle terre è praticamente impossibile. Bisogna fare intervenire la finanza che deve smetterla di fare speculazione. Il Governo italiano ha approvato la norma che impedisce le doppie gare al massimo ribasso in agricoltura, ma deve promuoverla perché è un fiore all’occhiello. La Cop26 di Glasgow nella cui agenda il tema di cui parliamo non era neppure indicato, come se la sostenibilità ambientale potesse essere separata dalla sostenibilità alimentare, e dovremmo inviare la richiesta perché nella nuova agenda della Cop27 che si svolgerà alla fine di quest’anno in Egitto venga inserita la questione alimentare. Sarebbe un grande segnale. Uno dei punti di forza di “Laudato si’” che è il libro più letto da tutti, credenti e non credenti, di una fede o di un’altra, perché è il primo documento ufficiale ad aver sviluppato la tesi che questione ambientale e questione sociale, nella quale c’è l’alimentazione, sono come due facce della stessa medaglia e non possono essere portate avanti in maniera disgiunta”.
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