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Mentre l’Europa si prepara alla vendemmia, in Australia è già tempo di bilanci: i primi dati della “Winemakers Federation of Australia” raccontano di guadagni quasi azzerati per i viticoltori, mentre l’export continua a volare

Mentre i filari del Vecchio Continente si preparano alla prossima vendemmia, in Australia, dopo la raccolta di febbraio, è tempo di bilanci, ed i primi dati della “Winemakers Federation of Australia”, analizzati da “Wine Searcher” (www.wine-searcher.com), sono tutt’altro che positivi. Nonostante una qualità media, nel complesso, buona, le difficoltà di una raccolta quantitativamente inferiore alla media (1,67 milioni di tonnellate, contro le 1,70 degli ultimi 8 anni) e particolarmente difficile da portare in fondo, ha praticamente annullato i guadagni sull’85% dell’uva raccolta. Un problema che riguarda soprattutto le regioni interne, come Riverland, Mildura, Swan Hill e Griffith, mentre in Tasmania, Barossa Valley e Margaret River, le cose sono andate meglio, garantendo ai viticoltori una certa redditività.
Se agli agricoltori le cose non sono andate troppo bene, nonostante l’aumento dei costi delle uve (+5% sul 2014), diversa è la risposta dell’industria vinicola, che si mostra rialzista, specie grazie all’export, che rappresenta il 60% delle vendite di vino australiano, spinto dal calo del dollaro australiano e dagli accordi di libero scambio siglati con i big dell’Asia, dove le spedizioni vanno sempre meglio.
Il rapporto della “Winemakers Federation of Australia”, inoltre, mostra come la varietà più popolare sia ancora lo Shiraz, con 391.649 tonnellate prodotte in Australia nel 2015, seguito dallo Chardonnay, a 376.339 tonnellate, mentre il Cabernet Sauvignon è il secondo vitigno a bacca rossa con 209.588 tonnellate prodotte. Altro dato interessante, quello che racconta come l’85% delle uve raccolte ogni anno vengano lavorate dalle prime 20 aziende del Paese, guidate, ovviamente, dal colosso Treasury Wine Estates.

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