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MONTALCINO HA RICORDATO L’AVVOCATO GIOVANNI COLOMBINI, UNO DEI PROTAGONISTI DELLA STORIA DEL BRUNELLO

Italia
L'avvocato Giovanni Colombini in gioventù davanti all'ingresso della Fattoria dei Barbi

“Giovanni Colombini, ovvero un uomo che ha lasciato il segno nella storia del vino italiano, contribuendo in maniera essenziale alla diffusione ed alla conoscenza del Brunello, una delle perle dell’enologia d’Italia”. E’ a questo personaggio che Montalcino ha dedicato un’importante giornata di studio: “se infatti l’epopea di questo vino, che ha raggiunto una fama meritatissima, ormai su scala mondiale, ha iniziato con l’audace invenzione a metà Ottocento di Ferruccio Biondi Santi, è sicuramente grazie all’avvocato Giovanni Colombini - ha spiegato lo storico Roberto Barzanti - che il Brunello è famoso, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo”. Ma Barzanti ha voluto anche ricordare l’uomo per “la sua sensibilità di protagonista: per questo ripensandola se ne comprende attaccamento alla tradizione e gusto per la modernità, disincantata ironia e spirito di iniziativa, tenacia e sconfinato amatore civico”.

Ma, sicuramente, il ricordo di cosa “Giovanni Colombini/contadino, vignaiolo, cantiniere/allevatore di porci, salumiere/avvocato” (questo era, in rigido ordine, l’elenco dei titoli che snocciolava sul suo biglietto da visita) ha rappresentato per Montalcino lo si può capire soprattutto dalle parole, che seguono, della figlia Francesca, la “signora del Brunello”, imprenditrice energica ed intelligente, che con il padre ha avuto la fortuna e l’onore di condividere la passione per la terra, per Montalcino e per il Brunello (oggi le aziende di famiglia sono gestite, per sua scelta, dai suoi figli, Stefano e Donatella, ndr).
“I magri poderucci sparsi sulle irsute e sassose colline dell’agro montalcinese - racconta a WineNews Francesca Colombini Cinelli - vivevano stagioni desolate. Nel 1956, una gravissima gelata distrusse gran parte del patrimonio olivicolo. Il vino era buonissimo, ma era poco perché con la guerra e con la filossera si erano perduti molti vigneti. Le sementi cerealicole da sempre in collina non davano raccolti interessanti e la situazione non era migliorata dall’affievolirsi della presenza dei contadini a seguito del superamento della mezzadria e dalla pressoché inesistente meccanizzazione. La redditività del bosco, capitolo non secondario dell’economia del Comune, veniva meno. La fuga dalle campagne sembrava una condanna irreversibile e anche le banche si mantenevano su una posizione piuttosto guardinga, per non dire altro. Ci voleva tanto coraggio per rimboccarsi le maniche e guardare al futuro. Giovanni Colombini affrontò, e non fu il solo, quella congiuntura drammatica quale occasione di rinascita di nuovi mezzi e di nuovi estiti. Egli prediligeva un’attitudine cordialmente patriarcale e la prima sede di discussione degli animosi progetti fu - non poteva essere altrimenti - la famiglia. Il piano, detto in una parola, consisteva nel passare da un’azienda a conduzione diretta che puntasse a sfornare prodotti di alta qualità già pronti per essere offerti ai potenziali acquirenti. In uno slogan: “dalla fattoria alla tavola del cliente”.

“Egli da amabile gentiluomo di campagna come ci teneva ad essere - racconta ancora la “signora del Brunello” - concretizzò i pianti con rapidità. Fu costituito il nuovo centro aziendale nella villa dei Podernovi e si propose di seguire passa passo l’attuazione di progetti molto ambiziosi. Si sentiva un po’ un Cavour ed un po’ un Calamandrei. Amava la Toscana rustica e sobria, alla Carducci. Non si perse d’animo. Il mercato del Brunello fuori dalla sua zona di produzione era piuttosto gracile. Ora si trattava di verificare se si potesse puntare sul vino, su quel vino dai morbidi colori di velluto, per costruire un sistama economico coincidente con l’estensione di un Comune. Quando fu presentato il Brunello dei Barbi, nella bottega del Quartiere Travaglio alla “Sagra del Tordo” 1962 il successo fu immediato e clamoroso. Per la commercializzazione ci si affidò ad un primo agente per la Toscana. Nel 1963 Giuliana Colombini ne portò una bottiglia a Marco Trimani, celebre vinattiere romano. E Trimani, colpitissimo, chiese: “Dove lo trovo?”.

Qui finisce, il racconto di Francesca Colombini Cinelli, ed inizia il nostro: da allora, la domanda di Brunello si è moltiplicata; il Consorzio, che vide la luce nel 1967, potenziò enormemente la capacità di penetrazione, favorì la crescita di molti produttori sulle prime incerti e timorosi. E, da quegli anni, i riconoscimenti ormai non si contano. Il resto è storia dei nostri giorni.

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