Un report della banca d’affari americana Morgan Stanley ha lanciato, nei giorni scorsi, l’allarme, inatteso, sulla carenza di vino nel mondo, che porterà, nei prossimi anni, ad una produzione inadeguata alle richieste che vengono dal mondo. Eppure, qualche giorno prima, un altro rapporto, questa volta dell’Oiv, fotografava un panorama ben diverso, in cui a mancare, semmai, sono i consumatori. “Morgan Stanley - spiega a WineNews, dal Simei di scena a Milano fino al 16 novembre, Federico Castellucci, direttore generale dell’Oiv - ha fatto un lavoro che pecca di superficialità: ha preso i dati del 2012 senza rendersi conto che ad ottobre 2013, ormai, l’emisfero sud del mondo aveva già le cantine piene di vino pronto ad andare sul mercato, e che Paesi importanti come Argentina, Sudafrica, Nuova Zelanda, Cile ed Australia abbiano avuto ottime vendemmie era un fatto noto, per non parlare dell’Europa, che produrrà, quest’anno tra 281 ed i 283 milioni di ettolitri di vino (+7-9% sul 2012). Ma ciò che è più interessante è che, pur avendo 300.000 ettari vitati in meno del 2006, il livello produttivo è lo stesso di quell’anno, e questo vuol dire che il programma di ristrutturazione dei vigneti finanziato dall’Unione Europea è entrato perfettamente a regime, e gli effetti sono particolarmente evidenti in Paesi come Romani ed Ungheria. Di tutta questa produzione, però, 35 milioni di ettolitri finiscono nella produzione di vermouth, aceti e brandy, per questo ci sono discrasie tra produzione e consumo, anche se i problemi sono altri, e arrivano dalla freddezza di Paesi fondamentali, come Italia, Spagna e Francia. Difficoltà alle quali non basta rispondere con le performance dell’export, perché se è vero che la Cina continua a crescere, è altrettanto vero che continuerà a produrre sempre più vino, avendo quindi minore necessità di importarlo dagli altri. Per ora, aspettiamo i primi dati sul mercato dei vini sfusi, che è sempre un buon termometro per anticipare le tendenze”.
Ed è proprio sullo sfuso che si concentrano gli sforzi dell’Oiv in materia normativa, perché “considerare, come fa il regolamento Ue attuale, vino sfuso tutto quel vino commercializzato in contenitori sopra i due litri di capacità, ormai, è impreciso. Specie - spiega Castellucci - con l’avvento del bag in box, crediamo che fino a 10-20 litri il prodotto venga considerato non sfuso, anche per seguire meglio qual è il consumo reale nei Paesi Scandinavi, negli Usa, in Gran Bretagna, perché ad oggi è difficilissimo fare statistiche precise, visto che Paesi come Germania ed Olanda, in maniera assolutamente legale, importano vino sfuso ed esportano bag in box ai loro vicini”. In un panorama del genere, in cui comunque i consumi mondiali sono destinati a salire, quindi, il programma di estirpazione europeo a cui sono ricorsi tutti i Paesi produttori, può apparire, col senno di poi, un po’ affrettato, “ed in effetti - continua Federico Castellucci - l’Unione Europea ha finanziato l’estirpazione di 175.000 ettari, mentre nel solo triennio 2009-2011 abbiamo estirpato 270.000 ettari, pari a tre volte la superficie vitata della Germania, troppi. Forse, era meglio seguire un’altra strada: quella dell’abolizione dello zuccheraggio a favore dell’utilizzo del mosto concentrato, visto che la tecnologia ce lo permette. Così, avremmo potuto salvaguardare molti vigneti, avendoli sempre a disposizione per un futuro come quello che si va delineando, anche se nulla è perduto: i territori ci sono, così come la sensibilità dell’Europa a livello di autorizzazioni, salvaguardando ovviamente il sistema delle denominazioni. E non dimentichiamoci che l’economia del vino mondiale gira ancora intorno all’Europa, dove si fa ancora il 67% del mercato globale.
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