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NATALE 2009 - CIA: “CONSUMI ALIMENTARI COME 2008, SPESI 3,2 MILIARDI DI EURO” … IPSOS NANDO PAGNONCELLI: “IN TEMPI DI CRISI, LE SCELTE NELLA SPESA ALIMENTARE DEGLI ITALIANI SONO ALL’INSEGNA I OCULATEZZA, SENZA RINUNCIA A QUALITÀ A TAVOLA”

Italia
Un classico cesto di Natale

Non crolleranno i consumi alimentari a Natale: gli acquisti saranno in linea con quelli del 2008 (+0,3% in quantità) e la spesa complessiva si attesterà in 3,2 miliardi di euro, grazie anche alla caduta dei prezzi degli ultimi dodici mesi sui campi. La stima è della Cia-Confederazione Italiana Agricoltori, sulla base di un’indagine su un campione rappresentativo delle famiglie sul territorio nazionale e dell’andamento della compravendita nei passaggi della filiera agroalimentare e dei dati del commercio estero. A tavola, secondo la Cia, sia per il cenone della vigilia che per il pranzo di Natale, vincerà la tradizione del prodotto “made in Italy”, con un’attenzione crescente al portafoglio; pochi dunque i cibi di fascia alta, rari salmone, ostriche, caviale e frutta esotica.

Sono buone le performance attese dai vini, soprattutto i rossi: 80 milioni di bottiglie da stappare, di cui il 94% italiane, con una crescita del 1,5% sul 2008. Bene anche gli acquisti degli spumanti (+2%), dei dolci (+1,2%) e della frutta - fresca e secca - insieme alle verdure (+1,3%); in risalita anche i consumi di pane +0,8% e pasta +0,7%; in leggero ribasso invece carni e insaccati (-0,4%) e formaggi (-0,5%), comparti che stanno comunque dando segni di risveglio dopo la caduta degli ultimi mesi. Quanto ai canali di distribuzione più frequentati durante le prossime feste, secondo la Cia, saranno supermercati (56%), negozi tradizionali (24%), mercatini locali (18%), internet (2%).


Focus - Ipsos Nando Pagnoncelli: tempi di oculatezza, senza rinuncia della qualità nei consumi degli alimentari

In tempi di crisi, le scelte di acquisto nella spesa alimentare degli italiani sono “all’insegna dell’oculatezza, senza rinuncia alla qualità a tavola. E, sorprendentemente, senza rinuncia ai marchi noti in commercio”. E’ emerso, in una ricerca, illustrata dal presidente di Ipsos Nando Pagnoncelli, nell’incontro promosso dall’Unione Nazionale Consumatori.

Nonostante sia diffusa la percezione che la crisi duri ancora altri 3-5 anni, ha detto Pagnoncelli, “emergono primi indicatori di fiducia, primaverili più che autunnali, legati sia a fattori psicologici, sia al fatto che per tanti lavoratori dipendenti la crisi in corso è a zero inflazione”.

La ricerca sulla spesa alimentare tra sicurezza, qualità e convenienza è stata effettuata, col contributo di Nestlé, con mille interviste telefoniche nel periodo 1-13 ottobre 2009. Premesso che “la spesa alimentare non è in discussione, vi rinuncerebbe per ristrettezze solo il 2%”, tre italiani su quattro si fanno tentare - secondo lo studio - dalle promozioni, perlopiù nella grande distribuzione organizzata (73%) e fanno acquisti fuori “lista della spesa” (76%), strumento raccomandato dal presidente di Inran Carlo Cannella. Il no logo sembra non avere forte appeal tra i consumatori italiani che, nel 64% dei casi, esprimono forte legame con le marche note. Sempre rimanendo attenti allo scontrino finale: il 72% dichiara di prediligere la convenienza dei formati famiglia, la metà (54%) fa il pellegrinaggio tra un punto vendita e l’altro per confrontare la convenienza dei prodotti, mentre il 34% risparmia scegliendo il prodotto più economico.

Italiani che si dichiarano salutisti o quanto meno vicini ai valori del mangiar sano e benessere, mettendo il consumo di frutta e verdura come abitudine alimentare “abituale” (64%), a cui si aggiungono il 27% dei consumatori che la scelgono “spesso” (27%) per un totale del 91%. Dovendo far rinunce, i primi ad essere eliminati sarebbero i salumi (48%), il caffé/thé(36%), il vino/olio (34%); da ultimo il pesce (17%). Tuttavia, il 6% dichiara di consumare cibi freschi dopo la scadenza, e il 4% quelli confezionati dopo la scadenza.

Sulle etichette che vengono guardate dall’80% del campione, gli italiani controllano 3 delle info obbligatorie e cioè la data di scadenza (62%), gli ingredienti (45%) e il luogo di provenienza e origine (30%), sorprendentemente in prevalenza su latticini e uova mentre da ultimo su verdura/frutta fresca confezionata dal punto vendita. L’attenzione risulta elevata, ha commentato Pagnoncelli, ma con qualche problema di comprensione.

Resta invece “scarsa” le conoscenze delle sigle di qualità (Dop - Igp - Stg), su cui “prevalgono sempre risposte errate sulle scorrette”, con la Stg (Specialità tradizionale garantita) ignota al 44% dei consumatori.

Per scovare il vero made in Italy, secondo gli intervistati da Ipsos, “non basta solo il marchio (60%)” quando sono considerati “requisito essenziale” il fatto che le materie prime siano italiane (91%), sia prodotto in Italia (85%) e confezionato in una zona tipica di produzione (73%).

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