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Nel 2030 l’89% della superficie vitata italiana sarà soggetta a siccità. Nel 2100 avremo condizioni africane, e la vite si sposterà in altura, e più a Nord. Se non si interviene, anche con la genetica. Così Mercalli, Scienza e Alleanza Cooperative

Torino “bollente”come Karachi in Pakistan. A questo verosimilmente porterà il riscaldamento globale entro il 2100, con la previsione di un aumento della temperatura media in tutta Europa fino a cinque gradi, e l’Italia del vino a fare i conti con uno scenario per lo più africano. Il vigneto Italia, come le coltivazioni in tutto il pianeta, rischia dunque stravolgimenti. Al punto che è possibile stimare per la viticoltura mondiale un aumento di circa 800 metri di quota e di 650 km di latitudine verso nord , una “corsa verso l’alto”, per trovare il clima di cento anni fa. Sono queste le stime del presidente della Società Meteorologica Italiana Luca Mercalli, al centro del convegno “Vigneti sostenibili per climi sostenibili”, di scena a Roma, promosso dall’Alleanza delle Cooperative. Secondo Mercalli, la superficie vitivinicola italiana soggetta a siccità rappresenta attualmente il 68%, nel 2030 sarà l’89%, e nel 2050 il 99%.
“Se non facciamo nulla, mettendo in atto tutti insieme comportamenti responsabili che riducano l’emissione di Co2 nell’atmosfera - sottolinea Mercalli - nel 2100 i vigneti passeranno a condizioni africane”.
In questo contesto - si è sottolineato nel convegno dove erano presenti anche i rappresentati delle cooperative spagnole e francesi a portare il loro “grido di dolore” sulla perdita di raccolta registrata nella scorsa campagna vendemmiale per gli effetti del clima pazzo - la ricerca scientifica e in particolare la ricerca genetica può rappresentare la schiave di salvezza per la viticoltura.
Una possibile risposta, soprattutto se si pensa alla sopravvivenza della viticultura nell’area Mediterranea, e nelle Regioni italiane a rischio più a Sud, come Sicilia, Calabria, Sardegna, e Puglia, può arrivare dalla ricerca genetica, come ribadito a WineNews dal professor Attilio Scienza dell’Università di Milano.
 “È il nostro obiettivo, siamo impegnati a trovare altri portinnesti nuovi e stiamo analizzando la sequenza genetica di 150.000 semi che abbiamo raccolto in alcuni Stati americani - Arizona, Texas e Nuovo Messico - da viti selvatiche che vivono in ambienti desertici. Queste piante hanno evoluto da milioni di anni una serie di rimedi alla mancanza di acqua. Noi prendiamo quelle piante, le coltiviamo da noi, vediamo perché sono resistenti alla siccità e poi utilizziamo queste piante o con incroci tradizionali o con genoma editing o con la cisgenetica, cioè cerchiamo di utilizzare tecniche molto più rapide per introdurre i geni di queste specie nei nostri portinnesti per trasformarle in piante ancora più resistenti. Il nostro obiettivo è certamente quello di fare una viticoltura senza irrigazione”.

Sul fatto che il vino del futuro debba passare attraverso la biotecnologia è convinto anche Michele Morgante, professore dell’Università di Udine, struttura capofila, assieme all’Università di Milano, nei progetti di miglioramento genetico dei vitigni. Sono dieci i vitigni resistenti ottenuti dall’Università di Udine in collaborazione con l’Istituto di Genetica Applicata e messi in coltivazione dai Vivai Cooperativi Rauscedo. Tre Regioni li hanno già ammessi alla coltivazione iscrivendoli nel Registro nazionale delle varietà autorizzate alla coltivazione. Sulla diffusione dei vitigni resistenti in Italia “c’è tuttavia ancora una forte opposizione di natura culturale, ma anche concorrenziale e normativa - sottolinea Scienza - perché il Sud non ha nessuno di questi vitigni resistenti e fa opposizione. Nei portinnesti è tutto più facile, non ci sono regole e norme che ne impediscono la diffusione, anzi sono facilmente introdotti nell’agricoltura”.
Già si producono un milione di barbatelle con i quattro nuovi portinnesti della serie M ottenuti dall’Università degli studi di Milano con la collaborazione della società Winegraft che raduna alcune grandi cantine italiane (Ferrari, Zonin1821, Bertani Domains, Albino Armani, Banfi, Castellare di Castellina, Cantina Due Palme, Claudio Quarta vignaiolo e Cantine Settesoli).
Che il riscaldamento globale stai provocando effetti importanti sull’agricoltura e in particolare sul comparto del vino lo dimostrano i dati vendemmiali dello scorso anno, con il forte calo produttivo fatto registrare dall’Italia, pari al 20% in meno del 2016, proprio a causa di alcuni effetti climatici dannosi come le gelate di aprile e la grande siccità verificatasi a partire da maggio. L’andamento meteo dei primi mesi dell’anno lascia tuttavia sperare in una vendemmia migliore per il 2018.
 “La prudenza è d’obbligo - osserva Ruenza Santandrea, coordinatrice settore vino Alleanza delle Cooperative Agroalimentari - ma fortunatamente a partire dalla fine di febbraio si sono registrate le condizioni meteorologiche più consone a un normale ciclo di sviluppo della vite, con l’abbassamento delle temperature che ha impedito alla vite di risvegliarsi anticipatamente. Auspichiamo una vendemmia di quantità superiore allo scorso anno, ma inferiore in ogni caso al raccolto 2016 per effetto di una parziale riduzione della fertilità media indotta dal colpo di calore subito in estate”. Santandrea auspica inoltre che sul tema della sostenibilità aziendale le aziende “facciano tutte le loro parte. Bisogna proseguire spediti sulla strada della sostenibilità in vigna, partendo dalla prevenzione, nella lavorazione del terreno, o dalle pratiche agricole per ottenere grappoli meno attaccabili dalle malattie. La sostenibilità va quindi declinata in termini di risparmio idrico ed energetico e attuando buone pratiche di lavorazione”.
Mentre la ricerca genetica continua il suo percorso, e l’Italia in questo - è stato rimarcato nel convegno - ha un passo superiore ai suoi principali competitor europei, il professor Scienza invita ad apprezzare la tecnologia satellitare in vigna, “che è già una soluzione a portata di mano per migliorare la produttività in quanto consente modelli di previsione e di arrivare con tempestività sui problemi che possono presentarsi”. In ogni caso, la strada dell’innovazione in agricoltura deve passare per una “Santa Alleanza” tra consumatore, industria e Università. E soprattutto bisogna far capire agli italiani che non bisogna aver paura della genetica. “Magari raccontando meglio la genetica e i suoi protagonisti, bisogna portarla nelle case - osserva Scienza - Guardi cosa ha fatto in America l’azione di Google e di altre società di informatica sul fatto di dare un servizio per la conoscenza delle origini di ogni persona. Se lei manda un tampone con la sua saliva in un laboratorio del circuito Google, le arriva dopo poco il pedigree dei suoi nonni e bisnonni, e l’americano ora non ha più paura della genetica!”.
Cristina Latessa

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