
“Il Parco dell’Arcipelago Toscano vieta per il 2025 la presenza di alveari sull’isola di Giannutri, sostenendo che le api domestiche minaccerebbero gli impollinatori selvatici. Una decisione che colpisce l’attività di selezione genetica dell’ape ligustica portata avanti con successo da anni sull’isola, e che si basa su un lavoro scientifico e su una tesi di laurea ritenuti scientificamente deboli da numerosi esperti. Nel frattempo, però, il Parco continua ad autorizzare ogni estate, da giugno a settembre, l’irrorazione dell’isola con Flytrin 6.14, un pesticida contenente permetrina e tetrametrina, sostanze molto tossiche per gli insetti, pericolose per gli ecosistemi acquatici e sospettate di provocare il cancro”. Arriva la replica degli apicoltori della Toscana, in merito allo stop all’apicoltura sull’isola di Giannutri, attraverso una lettera firmata da Stefano Gallorini, presidente Toscana Miele, Duccio Pradella, presidente Arpat (Associazione Regionale Produttori Apistici Toscani) ed Enrico Gualdani, presidente Aapt (Associazione Apicoltori Province Toscane). Come è noto l’Università di Firenze e l’Università di Pisa avevano condotto una ricerca in sinergia sulla competizione tra api da miele e api selvatiche. E in conseguenza della quale, il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano aveva deciso di non confermare le autorizzazioni per condurre l’apicoltura sull’isola di Giannutri sollevando le proteste degli apicoltori della Toscana, come raccontato, nei giorni scorsi, da WineNews.
Nella lettera di Toscana Miele, Arpat e Aapt, viene evidenziato che “il Crea - Consiglio per la Ricerca in Agricoltura - ha invitato il Parco a rivedere la decisione, evidenziando che lo studio non considera l’impatto degli insetticidi sulle popolazioni selvatiche. Anche il professor Claudio Porrini dell’Università di Bologna critica la metodologia adottata e parla di “errore concettuale” nell’esperimento. L’isola di Giannutri rappresenta un sito unico in Italia per la selezione genetica in purezza dell’ape italiana, grazie all’assenza di altre colonie e all’isolamento geografico. Un’esperienza considerata modello da decine di apicoltori e dal mondo scientifico. Bandire le api in nome della biodiversità, mentre si continuano a spruzzare pesticidi neurotossici, appare come un paradosso ambientale e istituzionale. L’apicoltura è riconosciuta dalla legge come attività di interesse nazionale: merita ascolto, tutela e rispetto”.
Gallorini, Pradella e Gualdani hanno ricordato che “in seguito ad una ricerca delle Università di Pisa e Firenze e ad una redazione di una tesi di laurea, il Parco decide di non autorizzare per il 2025 e gli anni successivi il trasferimento di 18 alveari perché accusati di rappresentare una minaccia per gli impollinatori selvatici dell’isola”, aggiungendo che “lo studio a cui la tesi fa capo, ritiene di aver osservato due fenomeni: una modifica del comportamento di foraggiamento degli insetti selvatici target (anthophora dispar e bombus terrestris) in presenza delle api ed un calo significativo del numero degli individui osservati nei 4 anni di durata dello studio. I due fenomeni vengono messi arbitrariamente in relazione, concludendo che il declino documentato è verosimilmente da imputare alla competizione per le risorse trofiche con le api allevate. Conclusioni tratte senza tenere in alcun conto gli inevitabili effetti che l’habitat dell’isola subisce a causa dei trattamenti insetticidi o dell’impoverimento dell’ambiente in generale provocato dai cambiamenti climatici”. Gallorini, Pradella e Gualdani fanno riferimento ai “limiti della ricerca”, affermando che “diversi ricercatori nazionali hanno sollevato circostanziate obiezioni nei confronti della decisione presa dal Parco ed evidenziato carenze sostanziali nello studio, sotto il profilo concettuale, metodologico e delle conclusioni. Il Crea, autorevole ente di ricerca pubblico specializzato anche in apicoltura, in una lettera indirizzata al Parco, lo invita a rivedere la decisione di bandire le api”. Inoltre “in merito ai trattamenti per il contenimento e la disinfestazione delle zanzare”, viene citato proprio un passaggio della lettera del Crea in cui viene affermato che “sebbene i trattamenti non siano effettuati nel periodo degli studi, queste molecole possono agire direttamente e indirettamente sulle due specie: i bombi, essendo insetti sociali, formano colonie che durano tutta la stagione, e i piretroidi possono causare gravi danni alle colonie già sviluppate, avvelenando le bottinatrici, e alle colonie future, avvelenando le future regine. Nelle antofore invece, possono essere avvelenati gli stadi giovanili, che saranno gli adulti nell’anno successivo, quando queste sostanze penetrano nel terreno, in cui sono presenti i nidi”.
I vertici di Toscana Miele, Arpat e Aapt sostengono che “mancano poi del tutto nello studio le relazioni multifattoriali tra declino degli impollinatori selvatici e variabili esterne che determinano un impoverimento dell’habitat naturale come ad esempio, utilizzo di larvicidi ed adulticidi chimici contro le zanzare, antropizzazione e carenza di risorse nutritive per effetto dei cambiamenti climatici in atto”, e riportano anche l’osservazione del professor Porrini del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (Distal) dell’Università di Bologna che sostiene come “purtroppo la sperimentazione condotta a Giannutri è stata impostata con il presupposto iniziale che le api mellifere fossero l’unico fattore a determinare un eventuale calo delle popolazioni selvatiche di pronubi”.
Toscana Miele, Arpat e Aapt ribadiscono il valore dell’apicoltura citando la Legge nazionale 313/2004 che riconosce l’apicoltura come attività di interesse nazionale, una legge che, spiegano ancora le tre associazioni, “tra le azioni di disciplina e tutela previste, impegna gli enti pubblici ad “agevolare la dislocazione degli alveari nei fondi di loro proprietà o ad altro titolo detenuti” (art. 7). La presenza delle api è in grado di garantire l’impollinazione anche in quelle aree in cui gli effetti combinati di pesticidi, impoverimento degli habitat e cambiamenti climatici mettono in forte pericolo la sopravvivenza dei pronubi selvatici. Nell’ultimo ventennio, tutte le scelte della politica unionale, nazionale e regionale in materia di apicoltura ed ambiente (tra cui la Regione Toscana) hanno messo al centro dei provvedimenti il ruolo e l’importanza del servizio agrostistemico, per habitat e biodiversità, delle api allevate anche in combinazione con l’attività degli altri impollinatori selvatici. Gli apicoltori, rifiutandosi di guardare impotenti le loro api scomparire, hanno tra i primi denunciato a gran voce gli effetti nefasti dell’uso scellerato dei pesticidi e sostenuto, anche finanziariamente, la battaglia che ha portato al bando dei più pericolosi killer chimici delle api e degli insetti in generale. Un impegno non solo a salvaguardia del proprio patrimonio, ma a difesa dell’ambiente, della biodiversità e della salute pubblica. Trasformare con una scelta amministrativa le api mellifere da paladine dell’ambiente a eco-terroriste, per lo più sulla base di una ricerca parziale e molto superficiale, è atto irresponsabile e pericoloso per le conseguenze che potrebbe avere su un settore strategico per il mantenimento degli equilibri ecosistemici e delle produzioni agricole”.
Stefano Gallorini (Toscana Miele), Duccio Pradella (Arpat), Enrico Gualdani (Aapt), dicono che “lo scopo della presenza delle api su Giannutri, le cui macroscopiche difficoltà logistiche potrebbero benissimo consentire di definire “agricoltura eroica” l’attività apistica lì svolta, non è quella di produrre miele: il complesso meccanismo riproduttivo delle api regine (che si fecondano in volo con maschi provenienti anche da svariati km di distanza), l’assenza di altre colonie di api e la distanza dalla terraferma ne fanno uno dei rari luoghi in Italia nei quali è possibile ottenere accoppiamenti controllati, strumento indispensabile per la realizzazione di programmi di salvaguardia e selezione”. Viene, infine, ricordato quanto detto dal professor Giulio Pagnacco, già ordinario di Miglioramento Genetico degli Animali Domestici all’Università degli Studi di Milano e attualmente Associato al Cnr, Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria di Milano, ovvero che “l’esperienza maturata nell’ultimo decennio dall’Azienda La Pollinosa rappresenta uno dei pochi esempi in Italia di efficiente e razionale conduzione apistica con controllo genetico della via materna e paterna grazie all’utilizzo dell’isola di Giannutri come stazione di fecondazione in purezza di vergini della nostra varietà Ligustica di Apis mellifera”.
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