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Non solo il padiglione “Cibus è Italia”, ma anche l’“Atlante geografico del food made in Italy nel mondo”. Ecco come Federalimentare si prepara all’Expo 2015 e a rispondere alla domanda mondiale in crescita del food made in Italy

La conferma di Europa e Stati Uniti, primo mercato extraeuropeo. Il dinamismo del Sudest asiatico che “traina” anche la Cina. Il mercato russo da recuperare, dopo la flessione (-6%) per l’embargo degli ultimi mesi. E la lotta a barriere non tariffarie e contraffazione, che ostacolano l’affermazione globale del nostro food and drink. È questa, in sintesi, l’importanza strategica dei sei mesi di Expo 2015 a Milano secondo Federalimentare, di fronte alla domanda mondiale in crescita dell’agroalimentare italiano. E nell’“Atlante geografico del food made in Italy nel mondo” presentato oggi da Federalimetare è possibile rintracciare la veridicità di questi trend: Taiwan + 25,4%; Corea del Sud + 20,2%; Israele + 15%; Croazia + 14,6%; Singapore + 14,6%; Polonia + 13,3%; Slovacchia + 13%; Brasile +12,8%; Olanda + 10,3%; Cina + 9,9%. Oltre a vino, dolci, latte e formaggi, pasta e ortaggi trasformati (passata di pomodoro in testa), esportiamo anche prosciutto, salumi e carni trasformate, caffè, riso, birra. Vecchi e nuovi classici del food made in Italy che vanno fatti conoscere e vanno spiegati ai consumatori di tutto il mondo.
La fotografia degli ultimi 12 mesi dell’export agroalimentare italiano delinea le sfide più importanti per un settore che ha condiviso con il Governo un piano strategico per portare entro il 2020 il valore delle esportazioni a quota 50 miliardi di euro. E l’Expo rappresenta un’occasione unica per presentare i nostri prodotti e il modello alimentare italiano a milioni di visitatori e a migliaia di operatori commerciali. All’Esposizione Universale, il padiglione di Federalimentare “Cibus è Italia” metterà in mostra la rassegna più completa delle filiere alimentari italiane, grazie a 500 aziende che racconteranno la tradizione del saper fare, le innovazioni tecnologiche, la sostenibilità ed il futuro della produzione alimentare italiana.
Oggi 1 miliardo e 200.000 persone nel mondo consumano prodotti agroalimentari italiani, soprattutto vino, dolci, formaggi, pasta e ortaggi trasformati. Sono consumatori europei e nord-americani in primis, ma anche giapponesi, canadesi, russi, australiani, cinesi, coreani, turchi e via dicendo. E se è vero che viene esportato solamente il 20,5% della produzione globale alimentare italiana (una percentuale inferiore a quella di altri Paesi europei), va anche sottolineato che l’export italiano è mediamente di qualità superiore e, conseguentemente, ha valore e prezzo maggiore. Per esempio, la percentuale di export della Germania è del 33% sul totale prodotto, ma il valore aggiunto delle loro merci raggiunge appena gli 11 miliardi di euro di valore contro i 24 miliardi dell’export italiano.
Per aumentare l’export italiano è necessario fare sistema, imprese e Governo, ridurre la polverizzazione ed il nanismo delle imprese, sviluppare piattaforme distributive all’estero e contrastare barriere non tariffarie pretestuose e la contraffazione, come ha spiegato Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, presentando il Padiglione e l’Atlante: “l’industria alimentare italiana è la più grande creatrice al mondo di valore aggiunto nella trasformazione dei prodotti alimentari. Le enormi potenzialità per l’export stanno tutte in questo semplice principio, sta a noi saperle cogliere. Non possiamo accontentarci del +3,5% dell’export registrato nel 2014 e neanche del +5/6% previsto per l’anno in corso. Dobbiamo essere più ambiziosi sfruttando il fatto che per la prima volta l’intero sistema Paese (reti diplomatiche, organizzazioni di supporto all’export, ministeri competenti etc) ha deciso di considerare l’aumento dell’export agroalimentare un obiettivo strategico da perseguire”.
La definizione di una alleanza virtuosa tra imprenditori, istituzioni e realtà fieristiche è stata sottolineata anche da Carlo Calenda, vice Ministro dello Sviluppo Economico, che, ha detto, “sono convinto che la creazione del padiglione “Cibus è Italia” a Expo2015 sia molto importante: l’Esposizione di Milano è infatti un evento che non solo sarà il foro di discussione delle strategie alimentari globali, ma che dovrà anche dare un ulteriore slancio all’export del nostro settore agri- food, il migliore del mondo per qualità e varietà dei prodotti. Questa grande area espositiva, predisposta da Federalimentare, darà ai visitatori la giusta prospettiva dell’industria alimentare italiana, del suo valore complessivo e delle sue specificità, così come dell’unicità del territorio nazionale e dell’enorme assortimento di eccellenze che viene dalla nostra tradizione. “Cibus è Italia” ben si affianca alle iniziative del Governo nel quadro del nuovo Piano straordinario Made in Italy”.

Focus - L’“Atlante geografico del food made in Italy nel mondo” a cura di Federalimentare
Negli ultimi dieci anni le esportazioni dell’industria agroalimentare sono cresciute a velocità doppia rispetto al totale dell’export italiano, raggiungendo nel 2014 la soglia dei 34 miliardi di euro. Ma se oggi 1 industria su 2 delle 54.000 imprese agroindustriali italiane produce anche per i mercati esteri, l’Italia resta ancora indietro rispetto ai competitors europei, Germania in testa. L’obiettivo: rimuovere gli ostacoli e raggiungere i 50 miliardi di euro entro la fine del decennio. Federalimentare fotografa così la diffusione delle eccellenze agroalimentari italiane nel mondo.
Nel mondo c’è voglia di made in Italy. Ogni anno 1,2 miliardi di persone comprano un prodotto agroalimentare italiano e di questi ben 750 milioni sono consumatori fidelizzati. Nel 2014 la soglia dell’export agroalimentare italiano ha raggiunto i 34,3 miliardi di euro, con un tasso espansivo del +2,7% rispetto all’anno precedente. Ma quali sono i principali paesi di destinazione dei prodotti agroalimentari italiani? E quali sono i mercati in cui la domanda di Made in Italy si dimostra più dinamica? Quali sono i prodotti italiani più conosciuti ed esportati e quali gli ostacoli che frenano un’ulteriore diffusione del food & beverage italiani nel mondo? L’“Atlante Geografico del Food Made in Italy” a cura di Federalimentare fotografa la diffusione dell’export agroalimentare nel mondo, i mercati più importanti e quelli che nell’ultimo anno hanno registrato le performance più rilevanti. E illustra le sfide strategiche che attendono le imprese italiane per raggiungere l’ambiziosa soglia di 50 miliardi di export entro la fine del decennio.

Dall’Atlante di Federalimentare: 2004-2014, dieci anni di export alimentare italiano
L’export alimentare viaggia a velocità doppia rispetto al Paese. Nel periodo compreso tra il 2004 e il 2014, l’industria alimentare ha visto aumentare il valore del suo export del 83,8%. praticamente il doppio rispetto al totale dell’export italiano, che nello stesso periodo è aumentato del 46,1%. Il peso delle esportazioni sul fatturato dell’industria alimentare italiana è passato negli ultimi dieci anni dal 14% al 20,5%, e se nel 2004 esportavano all’estero 2 industrie su 10, oggi un’industria su due delle 54.000 produce anche per i mercati esteri.
Ma se la fotografia degli ultimi dieci anni certifica una tendenza positiva e una maggiore capacità di penetrazione dell’industria agroalimentare italiana nei principali mercati esteri, il nostro paese risulta ancora indietro rispetto ai principali competitors europei. Se, infatti, in Germania il peso dell’export agroalimentare ha raggiunto un terzo del totale (33%), l’Italia è ferma al 20%, preceduta anche da Francia (26%) e Spagna (22%). Tuttavia, malgrado la propensione all’export dell’industria italiana sia inferiore a quella tedesca, l’Italia, anche grazie ad un più alto posizionamento di prezzo dei nostri prodotti, produce più valore aggiunto: 24 miliardi contro gli 11 della Germania. Tale indice, che include la somma delle remunerazioni che vanno ai lavoratori (salari e stipendi), agli imprenditori (utili), ai prestatori di capitale (interessi bancari e finanziari), nonché allo Stato (imposte dirette), fa capire quanto un settore sia importante e strategico per l’economia del Paese.

Dove esportiamo: Germania e Francia in testa. Ma gli Usa preparano il sorpasso
Anche nel 2014 il primo paese destinatario dell’export agroalimentare italiano si è confermato la Germania malgrado una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente (+0,1%). Da sola essa assorbe il 16,1% del totale dell’export italiano. Seguono la Francia (11,6% e +2,9% rispetto al 2013) e gli Stati Uniti, primo mercato extraeuropeo dove le esportazioni sono cresciute nell’ultimo anno del +6,4%, raggiungendo una quota del 10,9% sul totale. Balzo in avanti anche del Regno Unito, dove grazie al +7,6% dell’ultimo anno raggiunge il 9,5% sul totale. Cresce del +3,1% anche l’export in Svizzera, che si ritaglia una quota del 3,9%. In totale questi cinque paesi assorbono una fetta pari al 52,0% dell’export alimentare italiano, mentre i paesi dell’Ue insieme valgono il 62,2%. È fondamentale, inoltre, recuperare il mercato russo che, a causa delle sanzioni e degli embarghi sui cibi europei, ha registrato nell’ultimo anno una flessione del -6%, arretrando il valore dell’export italiano, che nel 2013 aveva raggiunto i 527,8 milioni di euro, con un brillante +24,2% sull’anno precedente.

Paesi emergenti: la top 10 dei nuovi mercati per il made in Italy
Rispetto al 2013 sono i paesi emergenti e con le economie più dinamiche, soprattutto quelli orientali e dell’Est Europa, a produrre tassi di crescita maggiori delle esportazioni di prodotti made in Italy. A guidare la top ten dei Paesi che nell’ultimo anno hanno dimostrato maggior dinamismo c’è Taiwan, che registra un +25,0% di prodotti alimentari italiani in entrata. Seguono la Corea del Sud (+20,2%), Israele (+15,0%), Croazia (+14,6%), Singapore (+14,6%), Polonia (+13,3%) e Slovacchia (+13,0%). Tassi di diffusione a doppia cifra anche in Brasile (+12,8%) e Olanda (+10,3%). Ma il dato più significativo degli ultimi 12 mesi riguarda la Cina, il cui gradimento del made in Italy alimentare ritorna a sfiorare la doppia cifra (+9,9%).

Che cosa esportiamo: vino, dolci, formaggi, pasta e ortaggi trasformati sono le “star”
L’80% dell’export italiano è rappresentato da marchi industriali di prestigio e da prodotti a denominazione protetta (Dop, Igp, ecc.). Tra le eccellenze del made in Italy il comparto enologico, che rispetto al 2013 ha visto un incremento delle esportazioni pari al +1,1%, si conferma al primo posto per volumi, con una fetta pari al 20,3% del totale e un valore di 5.523 miliardi di euro. Al secondo posto il dolciario, che, anche a fronte del +5,7% registrato nell’ultimo anno, raggiunge un valore di 3.345 milioni di euro, pari al 12,3%.
Trend positivo anche per latte e formaggi (+4,4% rispetto al 2013), che insieme rappresentano il 9,2% di tutti i prodotti esportati, con una quota pari a 2.488 miliardi di euro. Segno più anche per la pasta, altra grande star del Made in Italy sempre più richiesta all’estero (+4,2% rispetto al 2013), che rappresenta l’8,3% dell’export alimentare, per un valore pari a 2.261 miliardi di euro. Di poco inferiore (2.088 miliardi di euro) la quota riservata agli ortaggi trasformati, passata di pomodoro in testa, che pesa il 7,7% del totale export, registrando un incremento del +3,7% nell’ultimo anno.
Tra gli altri prodotti, l’aumento più consistente in termini di valori esportati registrati nell’ultimo anno spetta ai mangimi (+23,0%) e alla birra (+15,8%). Bene anche il pesce (+8,7%), il riso (+8,1%), il caffè (+7,6%), prosciutto, salumi e carni trasformate (+3,5%).

Contraffazione, barriere non tariffarie, canali distributivi: ecco le sfide da vincere
L’impatto della contraffazione e dell’Italian Sounding, cioè l’imitazione di un prodotto, di una denominazione o di un marchio attraverso il richiamo alla sua presunta italianità che non trova fondamento nel prodotto stesso, è pari a 60 miliardi di euro, circa la metà del fatturato totale del prodotto dall’industria alimentare italiana (132 miliardi di euro) e praticamente il doppio rispetto ai 34,3 miliardi di export.
Il fenomeno dell’Italian Sounding è cresciuto del +180% negli ultimi dieci anni. Contraffazione e Italian Sounding sono diffusi ovunque nel mondo, a cominciare dall’Europa, ma il picco è nel Nord America, dove il fenomeno ha un impatto per 27 miliardi di euro. In Usa, dove si registrano percentuali sconcertanti (sono imitazioni il 97% dei sughi per pasta, il 94% delle conserve sott’olio e sotto aceto, il 76% dei pomodori in scatola, il 15% dei formaggi), solo 1 prodotto alimentare su 8 di quelli venduti come Made in italy è realmente italiano. Ma non sono da sottovalutare anche le conseguenze nella Ue, dove contraffazione e imitazioni registrano un giro d’affari pari a 22 miliardi di euro. Sono molti i fattori che contribuiscono a frenare il made in Italy nel mondo.
Tra quelli esogeni, il più rilevante dopo l’italian sounding consiste nella presenza di barriere non tariffarie “pretestuose” in tanti mercati di sbocco che ci ostacolano, rispetto ai nostri competitor, nei nuovi mercati di più alto valore strategico. Ma pesano anche alcuni aspetti strutturali: dalla dimensione di molte imprese (troppo piccole per potersi permettere sforzi e investimenti per raggiungere mercati più lontani) all’assenza di piattaforme distributive italiane all’estero. Solo recentemente il sistema Paese ha intensificato un’azione di sostegno e difesa dell’agroalimentare, potenziando le sue reti diplomatiche e centralizzando la regia di organismi e risorse.
Info: www.cibusexpo2015.it

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