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Panorama

Vino. L’effetto serra finisce in bottiglia ... Ambiente e alimentazione. I cambiamenti climatici stanno modificando le caratteristiche dei vitigni: per gradazione alcolica, sostanze antiossidanti, quantità di zuccheri... Lo raccontano a Panorama i produttori dei principali vini italiani. Che rivelano anche le strategie per mantenere costante la qualità... Se volete conoscere il carattere degli abitanti di una località italiana assaggiatene il vino. La diversità dei vitigni riflette i profumi, i colori, il terreno, le tradizioni. Prendete il Sangiovese: è alla base di vini raffinati, ma anche spigolosi e capricciosi come il dialetto toscano. O un Nero d’Avola, che riassume alcuni tratti del carattere siciliano: calore, generosità e una certa intensità fascinosa. Per non parlare del Nebbiolo, concentrato saporito del contadino piemontese timido e duro. L’Italia è un punto di riferimento della viticoltura mondiale perché possiede vini originali e mai banali. Mentre in altri paesi, come la California, i procedimenti industriali rendono il vino simile in ogni zona e stagione, da noi il legame tra vitigno e territorio è molto stretto.

C’è per un fatto nuovo. Sommelier, scienziati e proprietari di vigneti si stanno rendendo conto che questo mosaico sta cambiando aspetto: il riscaldamento globale sta influenzando tutte le principali caratteristiche dei vini. In parte è facile rendersene conto: estati lunghe e calde e temperature lievemente più miti in primavera determinano una germogliatura precoce e una maturazione anticipata dell’uva. Ma ci sono effetti meno evidenti, come quelli descritti da Domenico Bosco, responsabile dell’ufficio vitivinicolo Coldiretti: “La maggiore fotosintesi aumenta il contenuto di zuccheri nelle uve e i vini divengono più alcolici”. I lieviti (responsabili della trasformazione del mosto in vino) hanno infatti più zuccheri a disposizione da metabolizzare in alcol, con produzione di anidride carbonica e molti composti secondari. “Ormai non solo 13 gradi per un buon vino sono la norma, ma è frequente trovarne anche di naturali a 13,5-14-15 gradi” aggiunge Bosco. Un fatto salutato con favore dai paesi del Nord Europa come Francia e Germania, ora quasi non più costretti ad aggiungere saccarosio per incrementare la gradazione di un vino naturale. Bosco informa che la Spagna, i cui vini stanno divenendo troppo alcolici nel sud, sarebbe propensa a una regolamentazione per ridurre il contenuto dell’alcol, con l’appoggio della Francia.

L’Italia avanza invece qualche dubbio: teme che le aziende possano dotarsi di tecnologie per manipolare in altri modi il vino, per esempio nella deacetificazione; tra l’altro, un provvedimento del genere non avvantaggerebbe tanto il nostro paese bensì la Spagna, che hanno gradazione troppo elevata, e la Francia che ne ha una in qualche caso troppo bassa. D’altra parte l’Italia potrebbe usare le nuove tecnologie per vendere di più in Medio Oriente, restio a importare vino, producendo una bevanda a 4 gradi di percentuale alcolica: una sorta di vino light tollerato nel mondo musulmano. Tra gli effetti del riscaldamento globale ci sono anche quelli causati da periodi lunghi di siccità. In questo caso, afferma Simone Orlandini, del dipartimento di Scienze agronomiche all’Università di Firenze, negli acini vi è meno contenuto di acqua e la concentrazione di zucchero aumenta. “Non solo, il contenuto di tannini, sostanze polifenoliche fondamentali per il colore e lo stato evolutivo del vino, può variare”.

Per capire basta ascoltare quanto racconta Silvia Altare, coordinatrice alla produzione di Barolo vigneto Arborina, un barolo Docg rosso rubino con riflessi granata: “Dal 1948, anno in cui abbiamo iniziato a imbottigliare, non avevamo mai visto un’estate calda e siccitosa come nel 2003”. Un’annata che ha fatto tribolare tutti gli enologi interpellati da Panorama. “In questi casi scegliere il momento giusto per vendemmiare non è facile. L’uva è matura come grado zuccherino ma sbilanciata nella produzione di polifenoli. Il rischio è che il vino risulti fruttato, evoluto, con grado alcolico alto ma secco come gusto, dal punto di vista tanninico; e un po’ astringente sul palato”.
Per evitare le conseguenze di temperature troppo alte e lunghi periodi di sole intenso, gli agricoltori ne sanno una più del diavolo. “In una vigna, di norma, i filari sono disposti in direzione nord-sud per avere un’esposizione al sole il più prolungata possibile sulle foglie. In tal modo sono da una parte esposte a ovest e dall’altra a est” ricorda Orlandini. In certi casi, si decide altrimenti. “Se il grappolo sta troppo al sole, si degrada. Per proteggerlo si possono orientare i filari da est a ovest. Così le foglie si orientano verso sud e assumono una posizione tale da coprire interamente i grappoli esposti a nord”. Gli agricoltori possono ottenere un simile risultato anche intervenendo sulla chioma, scegliendo il periodo opportuno per una sfoltitura ben dosata.

Gianfranco Lombardo, agronomo aziendale di Tasca d’Almerita, nella contea di Sclafani in Sicilia, produce il Rosso del conte, un Doc rosso rubino e bouquet intenso, con Nero d’Avola e una selezione di altre uve: “Riusciamo a rimediare ai periodi siccitosi in vari modi. Intanto sappiamo quali varietà di uva si comporteranno meglio. Poi diamo importanza alla gestione del suolo (per ridurne l’evaporazione), a quella della chioma, alle tecniche colturali e interveniamo con l’irrigazione di soccorso. Detto ciò, sono le abilità tecniche a preservare la qualità: fermentazione a temperatura controllata e ossigenazione hanno un effetto su bouquet ed equilibrio del vino”.

Piero Palmucci, proprietario della fattoria toscana di Poggio disotto, produttore di un Brunello di Montalcino Docg dal “bouquet intenso e corpo pieno e tannico” (come tiene a sottolineare), assicura di avere fatto un buon vino anche nel 2003: “Era terribile per le viti perché la temperatura non mutava nell’arco delle 24 ore. Per abbiamo tolto l’uva al momento giusto, con una selezione accuratissima”. E ai confini d’Italia che aria tira? A Capriva del Friuli si estende la tenuta di Russiz superiore, proprietà della famiglia di Marco Felluga, che produce vari vini (Collio bianco Col Disôre, Collio bianco Molamatta, Sauvignon, Pinot grigio e bianco). “Conoscere i vitigni, le loro caratteristiche e necessità, è fondamentale per affrontare cambiamenti climatici su scala globale” conferma Roberto Felluga. “Prendiamo il Sauvignon: in annate calde lo copriamo con una gestione diversa della potatura verde da luglio in poi; il grappolo del Pinot grigio lo facciamo invece abituare a luce e calore perché sappiamo che non perde le caratteristiche aromatiche”. Per alcuni, i cambiamenti climatici sono stati quasi una manna, così affermano. Dice Peter Pliger, agronomo dell’azienda Kuenhof, in VaI d’Isarco, Alto Adige: “Qui siamo nelle ultime propaggini della viticoltura italiana. Una volta si diceva che questi vini non erano importanti perché più acidi e freschi, meno alcolici. Ora tutto è cambiato. Non solo produciamo vini con vitigni Silvaner, Riesling, Veldner, Traminer aromatico, ma corriamo quasi il rischio, per così dire, di avere troppo alcol. Il riscaldamento globale? A noi ci va divinamente”.

Accanto a queste tecniche agricole esistono veri e propri programmi di ricerca che mirano a migliorare i vitigni, cioè le varietà genetiche, rendendole resistenti al caldo. E’ pensabile che in futuro saranno i vitigni siciliani a dare il maggiore contributo, segnando forse un’altra tappa alla storia tutta italiana della Vitis vinifera, dopo quella, ai primi del 900, quando l’insetto fillossera distrusse le viti danneggiandone le radici. Da quel momento, la Vitis vinifera viene innestata sulla vite americana: è come se i nostri vitigni vivessero su radici non proprie. Nell’ultimo ventennio il quantitativo d’uva nelle vendemmie italiane non sembra avere particolare variazioni climatiche. Secondo quanto anticipato da Bosco, l’anno 2008 sarà probabilmente quello del sorpasso dell’Italia sulla Francia, dove vi sarebbe una flessione del 5 per cento rispetto alla produzione dell'anno prima. La nostra sarebbe in aumento dell’8% (oltre 46 milioni di ettolitri di produzione), cioè potremo imbottigliare i milione di ettolitri in più. A fare la parte del leone, quattro regioni: Sicilia, Puglia, Emilia-Romagna e Veneto. L’interrogativo è quanto si riuscirà a esportare. I dati più recenti dicono che sui mercati stranieri le cose non vanno male: negli Stati Uniti abbiamo conquistato il primato con una quota del 30% di tutto il vino di importazione; le vendite di Prosecco sono raddoppiate negli ultimi 15 anni, e in Usa e Svizzera hanno superato quelle di Champagne.

Ma c’è preoccupazione. Nel primo semestre 2008, dopo una crescita interrotta di anni, le bottiglie esportate negli Stati Uniti hanno segnato un calo del “La verità sul vino” di 3,5%. Anche lo scenario più lontano nel tempo pone qualche dubbio, a causa della minore domanda da parte di altri paesi: il riscaldamento globale per metterà sempre più di coltivare in Germania e Gran Bretagna, dove vengono acquistati terreni per impiantare vigneti. Inoltre, secondo Marco Bindi, docente al dipartimento di scienze agronomiche dell’Università di Firenze, se l’incidenza di alcune infezioni fungine (come quella chiamate oidiche) potrà diminuire per la riduzione delle piogge e dell’umidità dell’aria, il numero di insetti come la tignoletta dell’uva porrebbe invece aumentare grazie a un suo sviluppo più veloce.

Così, dovremo contare ancora di più sull’esperienza, che probabilmente non ha eguali, sulla possibilità di impiantare vigneti a quote pi alte e sulla capacità di agronomi e vivaisti di rilanciare nuove varietà resistenti alle mutate condizioni climatiche. Insomma, più sacrificio, ingegno e sapienza. Le cose, del resto, che hanno sempre fatto del vino la parte più “intellettuale” del pasto. Non per niente Franois Rabelais, nel suo capolavoro “Gargantua e Pantagruel”, scriveva che “il vino ha il potere di riempire l’anima di ogni verità. di ogni sapere, di tutta la filosofia”.

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