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Panorama

C’è del nuovo in cantina ... Questi vini sono arrivati sul mercato da poco, eppure c’è da scommettere che diventeranno classici... Scommettiamo su 25 etichette che, secondo Panorama, “saranno famose”. Proposte da tre categorie di produttori molto diversi, ma accomunati dalla tensione verso la ricerca e la novità: i calvinisti della vigna e della cantina, cioè i sostenitori convinti del biologico e/o del biodinamico; le novità dei produttori già affermati; infine gli emergenti o da poco emersi e quindi non ancora conosciuti dal grande pubblico. Le bottiglie che vedrete nelle pagine successive seguono questa divisione. La selezione è stata effettuata tra le proposte di Vinitaly, la kermesse, appena condusa, che con i suoi 156 mila visitatori (più 3 per cento rispetto al 2010) si conferma la massima vetrina mondiale per chi opera nel mondo del vino. Clima effervescente per l’aria di ripresa, soprattutto dell’esportazione, ma l’entusiasmo degli addetti ai lavori ha dovuto fare i conti con i picchi molto negativi degli anni precedenti. Per i produttori resta il serio problema di recuperare maggiori margini sui prezzi perché con la crisi la stragrande maggioranza delle aziende ha fatto pesanti sacrifici, riducendo anche al disotto del limite di guardia i margini di redditività. Tra le novità va segnalata una forte presenza di etichette del Sud (dove esiste una spinta più accentuata soprattutto da produttori giovani) che può sembrare penalizzante rispetto a zone come il Trentino, l’Alto Adige, il Friuli, che sono ormai viceversa delle garanzie di qualità davvero superiore, soprattutto per quanto riguarda i vini bianchi.
Il filo conduttore del palato indica soprattutto una voglia di vini freschi, di rossi con sapore di frutta, di bianchi, specie da vitigni del Sud, come il Fiano e la Falanghina, che passati per anni sotto silenzio rischiano adesso di essere inflazionati; di bollicine di Prosecco che spesso scontano il successo con una caduta della qualità imbarazzando i produttori più qualificati. Però, riconosciamolo, in Italia non si è mai bevuto bene come in questi anni.

I calvinisti della vigna. Quello dei cosiddetti vini naturali è un universo variegato, a cui si richiamano anzitutto quelli che usano fermentazioni con i lieviti autoctoni dell’uva, cioè non indotte con lieviti industriali specializzati; poi c’è la fronda biodinamica, che applica un coacervo di principi mutuati nientemeno che dal filosofo Rudolf Steiner la quale oltre a non usare fitofarmaci dinamizza il terreno con sostanze e ritmi presenti nei cicli naturali; infine c’è il gruppo che rifiuta i solfiti e in genere gli stabilizzatori del vino. Sembrava una piccola arca di Noè, carica di specie da sottrarre alla bufera del consumismo, invece sta diventando un vascello su cui tanti cercano di salire, senza spiegare bene a che titolo. E la confusione è alta. Basti dire che in parallelo al Vinitaly, oltre ai “naturali” che stanno anche dentro, ci sono due rassegne di calvinisti a oltranza: Vin Natur che propugna una filosofia di “trasparenza e naturalità”, rispettosa delle espressioni della terra, e Vini Veri, presenziata da molti biodinamici di fatto, anche se ne rifiutano la denominazione. A cosa affidarsi allora? Più che alle etichette che chiunque si può attaccare, la discriminante vera è il giudizio del palato, unito al suo rapporto con il prezzo, che pure conta. E poi l’integrità morale dei produttori: cosa che può non avere niente a che fare con la piacevolezza dei vini. Che spesso, sono più buoni da pensare che da bere.

Affermati ma ancora creativi. La molla a ideare prodotti nuovi in questo comparto parte da spunti diversi: dalla famiglia che storicamente produce i più famosi Dolcetto, presa dal ghiribizzo di cimentarsi col Barolo, a un barolista moderno come Parusso a cui l’etichetta non basta più e vuole diventare barolista spregiudicato; da Accornero, firma di punta della Barbera del Monferrato, che si è messo in testa di ridare nobiltà all’ormai umile Grignolino, fino a Noemi Maroni Cinzano, che si è innamorata del malbec, il vitigno che ha trovato il suo terreno d’elezione in Patagonia, e lo ha seguito fin là. Anche i grandi numeri del vino impegnano molte risorse nell’innovazione: acquistando vigneti, piantando varietà poco sfruttate, tentando nuove tipologie, sperimentando tecniche di vinificazione alternative. Gli Antinori hanno dedicato Le Mortelle, una proprietà in Maremma, a un progetto di sostenibilità piantando vitigni locali, costruendo una cantina interrata, lavorando in grande economia energetica. Un’azienda come Settesoli alza la qualità e innova nella fascia dei vini destinati alla grande distribuzione con un nuovo bianco. E poi cè chi sviluppa progetti complessi come Masciarelli, in Abruzzo, dove un vino appena nato rimanda a un castello a pochi chilometri dall’azienda, magnificamente restaurato e adibito a hotel de charme.

Giovani ed emergenti. Sono il côté più coraggioso e combattivo del vino. E devono esserlo perché se da un lato testimoniano il fatto che nonostante le difficoltà anche piccole aziende di qualità riescono a trovare spazio e visibilità tra gli addetti ai lavori, dall’altro si trovano all’interno di un mercato molto affollato e frammentato, caratterizzato da piccoli appezzarnenti di vigna e da conduzione di stampo familiare, senza le spalle larghe dei grossi gruppi che possono permettersi di abbassare i prezzi soffrendo meno. Per gli appassionati ci sono siti, blog, guide di qualità come la Guida alle piccole cantine della Campania di Luciano Pignataro, ma la fragilità che rende precario il futuro dei piccoli e creativi resta la difficoltà a farsi conoscere e quindi a crescere. E forse, anche se il peggio sembra alle spalle, chi ha progetti li tiene nel cassetto. Stefano Cordero di Montezemolo, docente di finanza strategica del master per aziende vitivinicole dell’università di Firenze, commentando il rapporto sul vino della Mediobanca, indica una via d’uscita nelle nuove società cooperative, anche se questo significherebbe rinunciare al vino come espressione personale di esordienti di qualità, nuove generazioni, nuovi esperimenti. Produzioni quasi sempre limitate, seguite dagli appassionati e dagli addetti ai lavori, non ancora scoperte dal pubblico più vasto, ma che certo si affermeranno quando avranno l’opportunità di essere assaggiate.

I biologicamente corretti

Occhipinti (Sicilia)

Siccagno.
Il Nero d’Avola biologico di riferimento, creato dalla giovane Arianna Occhipinti, si distingue fra le troppe e inflazionate etichette di questo vitigno diventato di moda. Nessun intervento chimico, lieviti indigeni, nessuna filtrazione.

I Vigneri (Sicilia)

Etna Rosso.
Salvo Foti è un purista dei vini estremi dell’Etna. Un rosso di punta da uve nerello mascalese: elegante con tannini fini, opposto ad altri siciliani, molto caldi e alcolici.

Cantine Lonardo (Campania)

Grecomusc’.
Novità assoluta, questo bianco nasce da un vitigno recuperato da un’équipe del professore-produttore Giancarlo Moschetti nella zona di Taurasi.

Cefalicchio (Puglia)

Jalal.
Piccola e atipica produzione di un vitigno aromatico nel contesto pugliese. Da un’azienda biodinamica da quasi vent’anni.

Elena Fucci (Basilicata)

Titolo.
Da una ragazzina che testardamente ha studiato enologia, un Aglianico del Vulture: moderno, pieno, ma non massiccio.

Picchioni (Lombardia)

Profilo.
Un “brut nature” metodo classico, ricco e di grande rigore, fuori dal coro dell’Oltrepò Pavese.

Ricci (Piemonte)

Giallo di Costa.
Giallo intenso, quasi salato per via del vento che dal mare arriva ai Colli Tortonesi. Condotto in rigorosa pratica biodinamica.

I figli d’arte

Cantine Settesoli (Sicilia)

Grillo.
Una corazzata della Sicilia vitivinicola presenta un Grillo da grandi numeri, ma ineccepibile: profumo floreale e sapore di frutti tropicali, ideale con il pesce. Disponibile da maggio.

San Patrignano (Emilia)

Ora.
Nuovo Sangiovese di Romagna nato da vigneti di collina esposti a mare, che beneficiano di una temperatura costante, con un piccolo effetto Bolgheri.

Rivera (Puglia)

Scariazzo.
Un Fiano, oggi di gran moda e spesso inflazionato, interpretato da un’azienda
storica della Murgia. Un bouquet intenso adatto alla cucina di mare.

Parusso (Piemonte)

Barolo 2007 Speciale.
Questa etichetta è una provocazione nei confronti dei sostenitori a oltranza del Barolo vecchio stile: è ricco e complesso, pur essendo già bevibile.

Argiano (Patagonia)
Bodega Noemia 2007. Uva del Cahors che soffriva il freddo, il malbec ha trovato clima ideale in Patagonia, seducendo una donna italiana del vino. Caldo, rotondo, esotico.

Baron di Pauli (Alto Adige)

Enosi 2010.
Famiglia storica, tornata all’imbottigliamento diretto. Attesta l’eccellenza degli altoatesini. Riesling, Sauvignon e Pinot bianco con un bouquet seducente.

Pecchenino (Piemonte)

Barolo Le Coste 2007.
New entry nel mondo del Barolo da parte di storici “dolcettisti” con un vino piuttosto fresco, con tannini morbidi, già pronto da bere.

Contrà Soarda (Veneto)

Vigna Sitan 2009.
Un’azienda storica, ora modernissima. Ottimo lavoro sul vitigno vespaiolo legato alla cucina locale nell’enotavola Pulierin, di proprietà.

Masciarelli (Abruzzo)
Castello di Semivicoli Rosso 2009. Un blend di uve atipico per la zona realizzato da Marina Cvetic in ricordo del marito Gianni Masciarelli. Rosso rubino, speziato, fascinoso.

I piccoli e coraggiosi

A Casa (Campania)

Vigna di Noè 2007.
Un rosso fuoriclasse da quella che è la più antica vigna di Aglianico in Irpinia, del 1830, creato da Enzo Ercolino, abile interprete di campani.

Derbusco Cives (Lombardia)

Franciacorta Brut 2005.
Azienda piccola e brillante, tra le ultime nate in Franciacorta. Dorato,
luminoso, perlage fine. Molto Champagne.

Cantina della Volta (Emilia)

Lambrusco di Modena Spumante 2009.
Vivo, fragrante: è l’ultima creazione di Christian Bellei, paladino della nobiltà del Lambrusco.

Nanni Copè (Campania)

Sabbie di Sopra il Bosco.
Un rosso da vigne su terreni sabbiosi in una zona fresca e ventosa, vicino a Caserta. Elegante, prima che potente.

Poderi Capecci (Marche)

Ciprea.
Minerale e fruttato. Un Pecorino moderno, il vitigno autoctono marchigiano, che promette di esprimere nel tempo le sue doti migliori.

Cantine Cipressi (Molise)

Tintilia 2008.
Vitigno autoctono coltivato oltre i 400 metri di altitudine, interpretato da queste cantine, esprime inattesi aromi di pepe e spezie. Con carni rosse.

Favaro-Le Chiusure (Piemonte)

Erbaluce di Caluso 2008.
Dà un contributo notevole a una nuova conoscenza dell’Erbaluce, trascurato, ingiustamente, giocando con note agrumate.

Cantina della Pieve (Toscana)

Biancamara 2010.
Ottenuto da Chardonnay, Fiano e Vermentino, conferma la potenzialità della giovane azienda maremmana.

Le Vigne di Alice (Veneto)

.G.
Uno spumante classico nel cuore del Prosecco. Una scommessa delle donne della famiglia Cosmo, proprietaria della Bellenda di Vittorio Veneto.

Come capire se si è seduti in un locale di-vino.

Per distinguere la qualità in una carta dei vini, anche senza sottoporsi a onerosi corsi da professionisti. Ecco le regole che fanno la qualità:

1 La carta è pulita, bella, facile da leggere.

2 Non contiene errori di ortografia.

3 Accanto al nome del vino riporta quello del produttore o della cantina. E l’annata.

4 È “user friendly”, facilita cioè la scelta corretta a chi non è un addetto ai lavori.

5 È omogenea con il tipo di locale. A ristorante importante cantina importante, a trattoria semplice cantina semplice. Eccezione: locali modesti con etichette strepitose perché il proprietario è un cultore del vino.

6 È armonica con la lista dei cibi. Pochi rossi e ben calibrati per un ristorante di pesce, molti se è di carne.

7 Se la carta è molto voluminosa, ne esiste anche una in versione più snella, facile da consultare.

8 La scelta delle etichette dimostra una ricerca approfondita e originale dei vini della regione in cui si trova il ristorante o del tipo di cucina.

9 Il ricarico sui vini è corretto e diminuisce man mano che cresce il prezzo-valore della bottiglia. Per regolarsi basta calcolare l’aumento effettuato sul costo di un vino conosciuto. Un prezzo soltanto raddoppiato è da considerarsi invogliante.

10 La carta ha una sezione specificamente dedicata alle mezze bottiglie.

11 Offre una scelta di almeno 10 vini al bicchiere, alcuni importanti.

12 I bicchieri sono appropriati, la loro pulizia impeccabile, l’interno non ha il minimo odore.

13 Il sommelier non cerca di spingere le etichette più costose.

14 Il personale sa presentare la bottiglia e sa mescere. Guai alla goccia che cade sulla tovaglia.

15 La bottiglia è alla giusta temperatura e chi serve sorveglia che si mantenga tale. Freschi ma non freddi i bianchi, tra i 12 e i 14 gradi; i rossi trai 16 e i 19, non di più.
16 Il cameriere chiede sempre chi al tavolo desidera assaggiare e approvare il vino.

17 Non è mai necessario chiamare chi serve per il rabbocco.

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