“I vitigni antichi italiani sono patrimonio del territorio e quindi devono essere i Comuni a garantirne la sopravvivenza”: lo ha affermato Attilio Scienza, famoso docente di viticoltura all’Università di Milano, a Gorizia, al Forum su “I vini autoctoni: moda momentanea o investimento per il futuro?”, organizzato da Ruralia, il Salone delle specialità agroalimentari dop e igp. Già nel 2001, lo stesso Scienza, sempre a Gorizia, lanciò il primo allarme in difesa dei vitigni autoctoni italiani, molti dei quali ormai in via di estinzione: così Gorizia in due anni è diventata una sorta di capitale dei vitigni autoctoni italiani. E non è un caso che questa iniziativa sia partita dal Friuli Venezia Giulia che - come ha ricordato il presidente dell’Ente regionale per la promozione e lo sviluppo dell’agricoltura, Augusto Pinat - "è la regione dove si producono l’88% delle barbatelle destinate ai vigneti italiani e il 33% per quelli di tutto il mondo".
“In Italia - ha sottolineato Scienza - vi sono circa 1.500 vitigni ma solo 350 sono catalogati e possono quindi essere coltivati. La realtà attuale, comunque, ci dice che nel nostro Paese sono coltivate 174 varietà, altre 330 sono materiale da collezione e 166 sono definiti vitigni relitti, cioè ad altissimo rischio di estinzione. Il che significa che per molte varietà che erano presenti nei secoli scorsi in Italia non ci sarà nulla da fare”. L'Italia si può considerare il più grande giacimento di germoplasma viticolo che però rischia di scomparire se non ci si muove in fretta. Ed è per questa ragione che il professor Scienza ha voluto presentare a Gorizia un progetto per il salvataggio e la valorizzazione dei vitigni antichi italiani: “si tratta di un progetto che vede coinvolte oggi, oltre al Dipartimento di produzioni vegetali dell’Università di Milano, le Città del Vino, Slow Food, Pro Vite e l'Ente Fiere di Gorizia.
“Ma i principali protagonisti del progetto - ha spiegato Scienza - saranno i viticoltori. A quelli che vorranno entrare a far parte del progetto, infatti, sarà affidato un vitigno antico per coltivarlo e quindi permetterne la sopravvivenza e la diffusione. Il primo passo di questo progetto è il censimento dei vitigni antichi presenti nel nostro Paese. Per questa ragione abbiamo ritenuto che fossero proprio i sindaci dei Comuni i più importanti soggetti per attivare questo progetto a livello locale. E’ necessaria, infatti, una capillare presenza nel territorio nazionale è il Comune è indubbiamente l’ente che ci dà maggiori garanzie in questo senso”. Ma per Scienza il Comune non rappresenta solo un fattore logistico. “Il vitigno autoctono - ha detto Scienza - può diventare un eccezionale veicolo di promozione di un territorio e per questo ritengo che i Comuni abbiano tutto l’interesse per salvaguardarli e valorizzarli”.
Il progetto di Scienza ha incontrato numerosi consensi anche se molti non hanno nascosto le difficoltà: “inutile negare - ha detto Luigi Folonari della Tenimenti Ruffino - che la maggioranza dei vini prodotti da vitigni autoctoni quando escono dalle loro zone di origine incontrano molti problemi di mercato. Come è inutile nascondere che tuttoggi i vitigni internazionali sono quelli che sostengono i produttori italiani e che consentono loro di fare anche investimenti sugli autoctoni”. E tra i produttori italiani che più di altri hanno investito nei vitigni autoctoni c’è sicuramente Gianni Zonin. “Dei 1.800 ettari di vigneto delle 11 tenute della famiglia Zonin - ha evidenziato Carlo De Biasi, responsabile tecnico per il settore viticolo della Zonin - l’80% è rappresentato da vitigni autoctoni, dalla Barbera alla Garganega, dal Primitivo di Manduria al Nero d’Avola, tanto per citarne alcuni”.
“Ma la scelta dell’azienda - ha spiegato De Biasi - è sempre stata quella di coniugare l’approfondimento tecnico delle varietà autoctone, anche quelle cosiddette minori, con l’analisi delle loro potenzialità di mercato. L’obiettivo, infatti, è quello di produrre sì vini autoctoni ma che possano incontrare anche il favore dei consumatori. E sarebbe sbagliato negare che non tutti i vitigni autoctoni hanno queste potenzialità”. Altro entusiasta dei vitigni autoctoni italiani è Marco Felluga, uno dei grandi produttori del Collio, secondo il quale, però “è fondamentale che essi siano profondamente legati al territorio d’origine”. “Non è possibile - ha detto Felluga - che la legge consenta l’iscrizione nelle liste varietali dei vitigni autorizzati o raccomandati dei vitigni autoctoni in qualsiasi area del nostro Paese. Noi, a questo proposito, abbiamo sconsigliato recentemente proprio un noto produttore dell’Emilia-Romagna di produrre del Picolit nella sua azienda. In questo modo faremmo del male anche all’immagine di questo vino e si disperderebbe il suo valore aggiunto”.
Si può affermare - alla fine del convegno - che oggi per i produttori italiani i vitigni autoctoni iniziano ad essere visti come un vero investimento per il futuro ma saranno ancora le scelte economiche a gestire questo processo e meno quelle di cuore. Ma questo non può essere visto negativamente se si considera che oggi e, forse ancor più nel futuro, l’originalità garantita dai nostri vini autoctoni potrebbe diventare un prezioso valore aggiunto della vitivinicoltura del nostro Paese.
L'opinione - Luigi Veronelli: "Salvaguardare i vitigni autoctoni"
"Finalmente si torna a parlare di vitigni autoctoni: un autentico patrimonio per l'Italia, che ne conta oltre 500, ma che sta anche assistendo alla loro lenta ma progressiva scomparsa, per colpa di tutti quei produttori che li hanno coltivati male in passato perché rendevano poco all' industria".
Lo ha spiegato a WineNews, il giornalista Luigi Veronelli. "Sono certo che se collaboreremo tutti, Comuni compresi, alla salvaguardia dei vitigni autoctoni - ha detto ancora Veronelli - assisteremo presto ad una riscoperta straordinaria di questa ricchezza. A condurre da tempo una vera e propria crociata a difesa dei vitigni autoctoni è sicuramente il professor Attilio Scienza, secondo il quale emarginazione e introduzione di nuovi vitigni, per lo più internazionali nel nome di un mercato mondiale, e prestiti viticoli sono state le tappe che hanno portato alla scomparsa dei vitigni autoctoni. Il problema, comunque, è legato soprattutto a fattori culturali: sono scomparsi il senso di identità contadina e di attaccamento alle campagne. Per riappropriarcene avremo bisogno anche della collaborazione dei Comuni, che dovranno aiutarci a fare il censimento delle varietà di vitigni autoctoni presenti in Italia".
"L' idea deve essere trasformata - ha quindi concordato Veronelli con il professor Scienza - in un progetto di salvataggio e valorizzazione dei vitigni antichi italiani, con l'adesione delle tante organizzazioni del mondo del vino".
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