In Sardegna, poco meno di tremila anni fa, si produceva il vino più antico d’Europa: lo ha raccontato Gian Luigi Bacchetta, professore universitario di Botanica Sistemica e direttore dell’Orto Botanico di Cagliari, nell’edizione n.9 del “Porto Cervo Wine & Food Festival”.
“I nostri studi nulla avevano a che fare con gli aspetti archeologici, erano sulla vite selvatica e i vitigni coltivati, nei loro aspetti botanici. Poi ci siamo imbattuti nei primi reperti archeologici”, ha proseguito nel corso del terzo giorno dell’evento wine & food più famoso e glamour dell’isola: “a partire da quelli del Monte Meana”, dove il professore e il suo team, tra il 2006 e il 2009, hanno individuato tracce di vite selvatica di epoca prenuragica, ovvero 4.500 anni fa. Ma la prova che quest’uva non fosse spontanea, ma che venisse effettivamente coltivata, è giunta nel 2013, quando “grazie al fortuito ritrovamento di Sa Osa, le popolazioni nuragiche stavano procedendo autonomamente a una domesticazione della vite”: i tre pozzi individuati nell’area, risalenti al 13esimo secolo a.C., erano infatti pieni di sementi di vite domestica, “le cui analisi ci hanno permesso di verificare che i vitigni più prossimi a quelli attualmente coltivati corrispondono a uve bianche, particolarmente Malvasia Rosa e di Vernaccia oristanese”.
Il quadro, quindi, procedeva a delinearsi, ma mancava il fattore chiave: fattore che aspettava Bacchetta e il suo team a Monastir, nel sud della Sardegna. “Oltre a raccogliere l’uva e a domesticarla, le popolazioni nuragiche, nel 1.900 a.C., erano anche in grado di vinificarla, e questo ce l’ha confermato la scoperta, non nostra, del torchio per la vinificazione sito a Monastir, nel monte Zara”. Una scoperta che “risale agli anni ‘80, originariamente”, puntualizza Bacchetta. “Per la costruzione di una strada, come è successo a Sa Osa, fu fortuitamente trovata una fucina con dentro il torchio: poi, con le analisi condotte dal punto di vista fitochimico e della tecnologia degli alimenti con il professor Caboni, è stato possibile verificare che effettivamente c’è presenza di acido tartarico”. La prova regina, “perché identifica la vinificazione”, ha sottolineato Bacchetta, “e siamo anche riusciti a recuperare i materiali nelle zone più prossime al torchio, che erano state catalogati e conservati, e che ci hanno ulteriormente confermato la presenza di uva e di materiali di acido tartarico”. Di conseguenza, quello di Monastir “è il torchio per vinificazione più antico fino ad oggi rinvenuto nel Mediterraneo occidentale, e quindi anche in Europa, proprio perché il ritrovamento precedentemente considerato più antico si riferisce alla Francia meridionale, nella Provenza, dove fu ritrovato un torchio riferibile al 4-5 secolo a.C.”. Si tratta, ha concluso quindi il professore, “di retrodatare la capacità vinificatoria delle popolazioni del Mediterraneo occidentale di almeno quattro o cinque secoli”.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025