“Produrre di più con meno” è diventato il mantra dell’agricoltura contemporanea, imponendosi come uno storytelling semplice, attraente e rassicurante. Ma è davvero così? Dietro le promesse di un’agricoltura iperproduttiva e a basso impatto si cela una verità più articolata, che deve tener conto della complessità reale dei sistemi agricoli. Una riflessione critica firmata dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’economia agraria) - insieme alla Michigan State University - solleva interrogativi sulla narrazione dominante, rivelandone i potenziali rischi per il futuro del cibo e dell’ambiente. Il contributo, intitolato “The risk of the producing more with less narrative” (“Il rischio della narrazione del produrre di più con meno”), è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Nature Food”.
L’analisi mette in guardia dai rischi insiti in una rappresentazione divenuta ormai dominante, ma troppo semplicistica, che può oscurare la complessità delle sfide che il settore agricolo deve affrontare per diventare realmente sostenibile. In particolare, l’articolo evidenzia tre criticità. La prima è la semplificazione eccessiva: ridurre la complessità dei sistemi agricoli - come la salute del suolo, la gestione delle risorse idriche o l’adattamento ai cambiamenti climatici - a soluzioni tecnologiche immediate rischia di trascurare la necessità di profondi cambiamenti strutturali in termini sia di governance e uso delle risorse, sia comportamentali a lungo termine.
Il secondo rischio è favorire processi a breve termine: in alcuni casi, da parte dei decisori, si privilegiano spesso esiti immediati per la ricerca del consenso popolare, a scapito di strategie a lungo termine, che sono invece cruciali per la resilienza agricola e la ricerca di base. Anche nella comunità scientifica, la formula del “produrre di più con meno” è spesso adottata come principio guida per definire obiettivi e giustificare progetti, con il rischio di ridurre la ricerca a una corsa all’efficienza, isolata da considerazioni più ampie di sostenibilità. Infine, il terzo rischio è quello di alimentare aspettative irrealistiche: l’enfasi su presunti “salti rivoluzionari” può alimentare aspettative distorte, quando in realtà si tratta di progressi incrementali, generando disillusione e confusione tra decisori politici, agricoltori e opinione pubblica.
A fronte di ciò, nell’articolo viene proposto un ripensamento delle priorità di ricerca, suggerendo un approccio integrato che combini l’uso di tecnologie avanzate - come il “genome editing” e la “de novo domesticatio” - con investimenti in pratiche agroecologiche e soluzioni digitali. Serve, dunque, un cambio di passo, un nuovo equilibrio tra innovazione tecnologica, approcci agroecologici e visione sistemica, per costruire davvero sistemi agroalimentari resilienti, equi e sostenibili.
Lo studio, infine, sottolinea quanto sia fondamentale, per i decisori politici, allineare incentivi economici e normative con obiettivi di sostenibilità a lungo termine, promuovendo al contempo una cooperazione efficace tra settore pubblico e privato. Un punto particolarmente critico riguarda l’incertezza normativa sull’editing genomico a livello europeo, che rischia di rallentare l’adozione di strumenti scientifici innovativi, indispensabili per affrontare le sfide strutturali dell’agricoltura. Senza un quadro regolatorio chiaro e stabile, l’innovazione rischia di rimanere confinata in laboratorio, senza tradursi in soluzioni concrete per i sistemi agroalimentari.
“La nostra analisi mette in luce come l'agricoltura moderna si trovi di fronte alla duplice sfida di aumentare la produttività e contemporaneamente minimizzare l'impatto ambientale - dichiara Pasquale De Vita, dirigente di ricerca Crea Cerealicoltura e Colture Industriali, autore dell’articolo insieme a Bruno Basso della Michigan State University - la narrazione del “produrre di più con meno”, sebbene accattivante, rischia di distogliere l'attenzione dalle complessità e dai compromessi fisiologici insiti nello sviluppo delle colture. Senza sforzi sistemici e una comunicazione trasparente, questa espressione rischia di rimanere un semplice slogan, piuttosto che una realtà trasformativa per l’agricoltura globale”.
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