Lo zafferano arrivò in Italia per la prima volta a Navelli, a L’Aquila, nel XII secolo, introdotto, secondo le ricostruzioni, da un monaco domenicano che in Spagna si innamorò della spezia - che si ottiene dagli stigmi del fiore del Crocus - e che portò nel suo territorio alcuni bulbi della pianta. L’altopiano aquilano, sui 700 e 1.000 metri di altitudine, si rivelò l’habitat ideale per la coltivazione, grazie al clima secco e ventilato ed ai terreni calcarei, e tra il Cinquecento ed il Seicento lo zafferano divenne una delle principali risorse economiche del territorio - molto richiesto dai commercianti veneziani, milanesi e fiorentini - fino a che la peste, le guerre e l’accrescersi delle gabelle imposte dai monarchi spagnoli fecero crollare la produzione. Tra alti e bassi, la coltivazione si azzerò quasi completamente, fino all’intuizione, nel dopoguerra, di Silvio Salvatore Sarra, “padre nobile” dello zafferano, che riunì alcuni produttori locali in una cooperativa, riscoprendo tecniche tradizionali di coltivazione e lavorazione manuale. E nel 2005 lo “Zafferano dell’Aquila” ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta (Dop), riconoscendo ufficialmente il legame con l’altopiano di Navelli e l’eccellenza del prodotto, che, oggi, rappresenta non solo una spezia di altissimo pregio, ma anche un simbolo identitario e culturale per l’intera area aquilana.
“La certificazione è stata un volano di sviluppo per l’intero territorio e un attrattore turistico, presidio di un prodotto unico al mondo”, spiega Massimiliano D’Innocenzo, presidente del Consorzio dello Zafferano dell’Aquila Dop. Sono 90 i produttori locali che ancora oggi collaborano con le principali cooperative del territorio per una produzione annua che si aggira sui 30-40 chili in 13 comuni dell’aquilano. “Siamo gli unici ad avere la rotazione annuale dei campi - sottolinea D’Innocenzo, che è a sua volta a capo anche della Cooperativa “Oro rosso” e socio della “Altopiano di Navelli” - chi aderisce alle coop deve sottoporsi a costanti controlli. Perciò è importante applicare un disciplinare che tuteli la qualità e una modalità tradizionale di coltivazione che è quella che si praticava già nel Duecento. Così come è altrettanto importante guardare avanti e trasmettere alle nuove generazioni questa passione e questo mestiere”.
Conosciuto anche come “oro rosso”, sia per il valore dal punto di vista della filiera economica locale sia perché di un colore rosso vivace e ben evidenziato in una tonalità porpora, lo Zafferano dell’Aquila Dop è solo una delle tante dimostrazioni di come una certificazione alimentare diventi anche lo strumento di rinascita di un territorio (qui un approfondimento circa il turismo Dop): venduto principalmente in Francia, Svizzera, Usa, Emirati Arabi e Giappone in filamenti o in polvere, i fiori dello zafferano si raccolgono tra ottobre e novembre e ne occorrono ben 250.000 per ottenere 1 kg di prodotto.
Tra gli appuntamenti per le celebrazioni dei 20 anni dal riconoscimento, il 5 settembre sull’Altopiano di Navelli il seminario “Zafferano dell’Aquila Dop: vent’anni di storia, cultura e identità”, il 9 settembre e il 12 settembre a San Pio delle Camere e Barisciano show cooking di chef di caratura nazionale, e il 19 settembre a L’Aquila in Consiglio Regionale d’Abruzzo il convegno “Oro rosso d’Abruzzo: eccellenza Dop tra tradizione e futuro”.
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