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CONSUMI

“Rapporto Coop” 2025: gli italiani tornano a riempire i carrelli della spesa e avanza il salutismo

Nel primo semestre, vendite in gdo a +3,8% a valore e +2% a volume, e cala il fuoricasa. Si compra di più cibo in offerta ed a marca del distributore

In un momento di convulsi cambiamenti muta ancora, ma resta privilegiato, il rapporto degli italiani con il cibo, che, nei consumi quotidiani, sembra vivere un’eterna rinascita. Nei primi 6 mesi 2025, infatti, se la spesa reale per la ristorazione fuori casa cala di un -2,2% e un italiano su 3 vi rinuncerà ulteriormente nei mesi a venire, contestualmente, si registra una ripresa importante nei carrelli della spesa, con le vendite nella grande distribuzione che crescono del +3,8% a valore e del +2% a volume su base annua. Parola del “Rapporto Coop 2025-Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” curato dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop), tra i leader della gdo italiana - con un giro d’affari 2024 di 16,6 miliardi di euro (+1,2% sul 2023), di cui oltre 14,9 miliardi di euro sviluppati solo dalla parte retail (+1%), e derivante dal wine & food per una quota intorno al 90% del totale - presentato oggi a Milano (con l’anteprima digitale, parte integrante del portale di ricerca e analisi sulla vita quotidiana in Italia italiani.coop).
Come conferma il Rapporto 2025 - realizzato con la collaborazione scientifica di Nomisma, NielsenIQ e i contributi originali di Circana, Gs1-Osservatorio Immagino, Cso Servizi, GfK e Mediobanca Ufficio Studi, e con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale (Gpt, Gemini e Midjourney) - il ripensamento profondo del proprio sistema valoriale e delle scelte quotidiane si ritrova riflesso da sempre nel modo in cui gli italiani si rappresentano a tavola: coloro che si identificano con un’identità alimentare ancorata esclusivamente alla tradizione scendono dal 34% del 2022 al 22%, mentre cresce la percentuale di chi autodefinisce il proprio stile associandolo esclusivamente a abitudini alimentari innovative (dal 23% al 31%) o mixa tradizione e innovazione (dal 30% al 38%). Una miscellanea di comportamenti a tavola per un cibo che, oltre a divenire palestra di sperimentazione, ritorna ad essere soprattutto cibo domestico e cibo cucinato.
A fare da traino frutta e verdura e altri comparti del fresco: gli italiani sembrano non poter rinunciare più ad un cibo salutare e 7 su 10 dichiarano di leggere abitualmente le etichette nutrizionali dei prodotti che acquistano. I carrelli si riempiono così di frutta esotica, latte fermentato, pane, yogurt, olio, meno zucchero, meno sale, meno carboidrati e sono i cibi ultraprocessati a perdere appeal. Più compaiono additivi in etichetta e più diminuiscono le vendite. In questo trend accelera anche il biologico con una crescita delle vendite a valore molto importante anche nel Sud d’Italia. E sono 8,4 milioni gli italiani che nei prossimi mesi aumenteranno questi acquisti. La svolta salutista, inoltre, non può non comprendere anche il no-alcol che avanza, soprattutto tra i giovani: 15,4 milioni di italiani preferiscono una bevanda analcolica anche quando possono scegliere.
Perfetto controaltare di questi comportamenti è il fatto che il cibo ha acquisito nella percezione corrente e maggioritaria una funzione di alleato della salute da perseguire ad ogni costo: la longevità si conquista a tavola, certo, ma non si disdegna nemmeno l’utilizzo di farmaci ad hoc. Il 16% degli italiani ha già utilizzato o sarebbero interessati a provare farmaci per il diabete che hanno anche un impatto diretto sul metabolismo e dunque tengono il peso sotto controllo. Ogni grammo conta e il controllo peso che quasi 1 italiano su 4 fa almeno una volta a settimana può spiegare il vero e proprio boom di vendite delle bilance sia per la persona che per gli alimenti: le prime registrano un aumento esponenziale nei primi 6 mesi 2025 pari a oltre il +55% (ne sono state vendute più di 432.000 in più), le seconde si attestano su un +5,5%. Il mantra del perdere peso spiega anche l’altra grande passione degli italiani, ovvero la dieta iperproteica che già coinvolge il 17% della popolazione, con le vendite dei sostitutivi vegetali della carne che nell’ultimo anno crescono del +20,9% (10 volte di più delle carni stesse), seguite da uova (+7,8%) e legumi (+5,0%).
Seppure l’inflazione alimentare sia meno alta nel nostro Paese che nel resto d’Europa (nei primi 7 mesi 2025 la crescita è stata del +3,1% su base annua e del +29,1% sul 2019, a fronte di una media Ue rispettivamente del +3,3% e del +38,5%), le persistenti difficoltà reddituali degli italiani fanno sì che resti alta anche a tavola la ricerca del risparmio e di soluzioni di maggiore convenienza: nel 2024 la spesa complessiva delle famiglie italiane è cresciuta del +0,5% rispetto a 5 anni fa, ma oltre la metà è assorbita dalle spese obbligate (abitazione, utenze domestiche, trasporti e cibo) e non si discostano da queste voci le intenzioni di acquisto per i prossimi 12-18 mesi, con il risparmio che persiste come driver primario per il 42% degli italiani. Questa ricerca sembra rivolgersi, però, in minor misura all’utilizzo del discount che nel primo semestre 2025 registra una crescita a volume del +1,8%, ma piuttosto agli scaffali dei supermercati che mettono a segno un +2,7% dove gli italiani prediligono i prodotti in promozione e quelli a marchio del distributore, con il prodotto a marchio Coop che incide per oltre il 40% delle vendite e il cui fatturato 2024 ha toccato 3,5 miliardi di euro. Infatti, il 40% degli italiani inizierà o aumenterà l’acquisto di prodotti alimentari in offerta/promozione (mentre solo il 5% smetterà o diminuirà); il 18% acquisterà più prodotti a marca del distributore, più del doppio rispetto a quelli che aumenteranno l’acquisto di marchi industriali (9%).
“Il quadro complesso e magmatico del “Rapporto Coop” ci invita a un’opportuna riflessione e al tempo stesso ci impone di non perdere di vista la rotta che nell’ultimo anno abbiamo intrapreso - spiega Maura Latini, presidente Coop Italia - il compito primario della cooperazione di consumatori è stare a fianco delle famiglie, tutelare il loro potere d’acquisto, unire alla convenienza la qualità e la sicurezza di ciò che mettiamo sui nostri scaffali. Da qui la risposta alla richiesta di risparmio che arriva anche nelle evidenze del Rapporto con la nostra nuova strategia promozionale che non significa però considerare il cibo una commodity. Il cibo per Coop è “Bene” e non semplice merce. Gli italiani ritratti dal Rapporto sono persone consapevoli, leggono le etichette, vogliono esercitare con le loro azioni una difesa dell’ambiente e lottano contro il cambiamento climatico. Sono idealisti tanto quanto pragmatici. Credo che siano per queste componenti molto in linea con la nostra policy: una forte e diffusa marca Coop che oramai copre segmenti sia consueti che innovativi con prezzi accessibili per tutti, un’importante presenza di Marche Leader e una politica per i prodotti locali specifica nei territori, ampia per ciascuna nostra cooperativa. E proprio grazie alla nostra offerta che non arretra di un passo rispetto ai valori che storicamente la caratterizzano, siamo fiduciosi, benché viviamo in tempi difficili e oscuri, di poter continuare a essere un punto di riferimento fondamentale non solo in ambito economico, ma come soggetto sociale e collettivo”.
“Il “Rapporto Coop” ci presenta, tra molte altre evidenze, l’immagine di un Paese fortemente caratterizzato da una polarizzazione sociale, che non è una novità, ma continua a essere un dato di fatto con cui chi, come noi, opera sul mercato deve inevitabilmente fare i conti - ammette Domenico Brisigotti, dg Coop Italia - la debolezza della domanda è un fatto reale e sembra destinata a intensificarsi, con un comportamento di acquisto sempre più orientato alla ricerca di risparmio nella spesa quotidiana. Per affrontare questo scenario, riteniamo di dover continuare e rafforzare il piano avviato quest’anno, che si concentra da un lato sulla convenienza della nostra marca privata disponibile in ogni segmento dell’offerta e dall’altro su un sistema di promozioni e comunicazione volto a valorizzare la generale proposta di tutela del potere d’acquisto delle famiglie da parte di Coop. D’altra parte, questa scelta ci sta dando ottimi risultati e intendiamo rafforzarla. La risposta dei consumatori è positiva: le vendite di Coop crescono più del mercato (un +0,8% sulla media del retail) ed è migliorato anche il giudizio che i consumatori, oltre che i nostri soci, hanno della nostra offerta e del nostro posizionamento. Conferme che ci spronano a migliorare su questa strada: sia sul fronte dell’offerta al consumatore sia sul fronte della relazione con il mondo dei nostri fornitori”.
“Le cooperative di consumatori stanno affrontando con estrema serietà e consapevolezza i problemi tuttora presenti nel nostro Paese, dalla fragilità sociale che colpisce fasce di popolazione meno abbienti all’insoddisfazione per un’offerta di lavoro che anche nel “Rapporto Coop” viene stigmatizzata da un numero consistente di italiani. Come Coop affrontiamo queste emergenze con una strategia di efficientamento che sta prendendo forza nelle nostre cooperative e nei consorzi nazionali e che ci permetterà di liberare ulteriori risorse a vantaggio dei soci e consumatori - conclude Ernesto Dalle Rive, presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) - guardiamo con attenzione alle modifiche in corso dei comportamenti di acquisto e come datori di lavoro (le cooperative di consumatori hanno in Italia quasi 60.000 occupati) siamo disponibili a ragionare sulle modalità e sulla qualità della nostra offerta occupazionale che già vede a favore dei nostri dipendenti importanti misure previste dalle politiche di welfare e che si pone l’obiettivo di conciliare sempre di più tempi di vita e tempi di lavoro. Se su questi temi si dovesse sviluppare un confronto tra la grande distribuzione tutta e il Governo non ci sottrarremmo e porremmo in quella sede la necessità di una riflessione sulle attuali modalità di erogazione del servizio nelle giornate festive e domenicali. Inoltre, auspichiamo da parte del Governo interventi strutturali che possano mitigare le difficoltà in essere. La riduzione del cuneo fiscale per il ceto medio e politiche di sostegno e contrasto alla povertà ci vedono favorevoli e disponibili anche ad essere soggetti propositivi in un eventuale tavolo di discussione collegiale su temi di filiera che essendo tali non possono essere unilaterali, ma devono essere affrontati con tutte le organizzazioni coinvolte”.
Per stare al passo con queste evoluzioni, la grande distribuzione italiana dovrà affrontare (e vincere), insomma, la sfida del futuro che, secondo le opinioni dei manager food & beverage sondati - dalle survey “Today, Tomorrow” e “The New World Outlook” condotte nella seconda parte di agosto 2025, la prima su un campione di 1.000 italiani rappresentativo della popolazione 18-65 anni, la seconda ad un panel della community di italiani.coop e 900 opinion leaders e market maker, tra cui 600 ruoli apicali (amministratori delegati e direttori, imprenditori, liberi professionisti e consulenti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese - passa in larga parte dall’innovazione di prodotto e di processo (lo dice il 53%), ma include anche adeguate politiche per il personale (36%), apertura a partnership strategiche e contempla inevitabilmente l’Ai a cui viene attribuito un 20% di potenziale di produttività nell’arco dei prossimi 10 anni. Una sfida che è solo agli inizi.

Focus - L’Italia e gli italiani visti da Coop
Se è vero che negli ultimi anni abbiamo attraversato momenti di grandi perturbazioni e una costante volubilità, secondo la fotografia scattata dal “Rapporto Coop” 2025, è altrettanto certo che mai come oggi il mondo (e il nostro quotidiano) si è fatto ancora più convulso e mutevole, sicuramente più pericoloso. Il conflitto è diventato la modalità prioritaria di risoluzione delle controversie internazionali, aumentano le guerre e la spesa militare (2,7 trilioni di dollari nel 2024, il 17% in più sul 2022) si chiudono le frontiere e cambiano i rapporti di forza tra le potenze. Uno scenario che non sembra peraltro arretrare, tanto che il 78% degli opinion leaders del Rapporto prevede un aumento dei conflitti militari nei prossimi 3/5 anni e il 18% teme l’inizio di un conflitto su scala globale. La stessa logica del conflitto dalla geopolitica si estende alle relazioni commerciali che con il “Liberation Day” sembrano segnare il declino della globalizzazione (la metà delle imprese esportatrici prevede un calo dei flussi commerciali nel 2025) e dei suoi effetti propulsivi sulla crescita mondiale. Malgrado le ambizioni di supremazia dell’amministrazione Trump, in discussione appare soprattutto la leadership degli Usa, a partire dal softpower culturale e dalla centralità negli scambi internazionali (negli ultimi 25 anni il numero di Paesi che commercializzano più con la Cina che con gli Stati Uniti è salito da 30 a 145), la stessa forza del dollaro si riduce nelle riserve monetarie internazionali e il debito pubblico americano oramai non è dissimile da quello italiano. Cresce, invece, la forza economica e culturale delle potenze asiatiche e del Sud del mondo che oggi, per la prima volta, si pongono in netta contrapposizione all’Occidente (nel 2025 la Cina viaggia su un tasso di crescita annuo del Pil intorno al +5%, l’India supera il +6% a fronte di un ben più modesto +1,9% degli Usa e +1% dell’Ue).
In questa inedita contesa per la leadership del mondo post-americano, gioca un ruolo cruciale la tecnologia, in particolare oggi per il controllo dello spazio e il dominio dell’Ai che è la grande scommessa dei prossimi anni. Benché persistano ancora sìdubbi e timori, per molti è considerata un moltiplicatore del progresso economico e sociale (gli incrementi del Pil annuale potrebbero arrivare a sfiorare un +20%-30%) con una vera rivoluzione degli assetti economici e dei modelli di vita e di lavoro. Peraltro, se l’Intelligenza Artificiale ha sinora riguardato i business digitali e i prodotti dematerializzati, il prossimo avvento dei robot umanoidi potrà portare gli stessi effetti rivoluzionari nell’economia reale, dal manifatturiero ai servizi alla persona, a partire dal retail. E anche qui, non a caso, la Cina occupa un posto in prima linea sia come numero di brevetti (5.688 quelli depositati a fronte dei 1.483 degli Usa) che per l’economicità delle proposte: un umanoide con funzionalità avanzate per uso domestico e servizi personali costerà in previsione da qui a due anni meno di 15.000 dollari. Un mercato low cost in inevitabile espansione.
In questa nuova età del caos, l’Europa gioca di rimessa. A dispetto del suo indubbio peso economico (genera un quarto del Pil globale) e della sua tenuta sui diritti fondamentali rispetto alle pericolose tentazioni antidemocratiche di tanti altri Paesi, l’Ue resta ostaggio della sua governance incompiuta. Paradossalmente proprio quando la strisciante disillusione nei confronti delle istituzioni europee (la fiducia dei cittadini nell’Ue passa dal 31% del 2012 al ben più solido 52% di oggi) non genera più approcci nazionalisti e la grande parte degli opinion leaders intervistati nella survey sostiene la necessità di un approccio finalmente federale: lo sviluppo di una difesa comune ad esempio (è favorevole l’86% del campione), l’unificazione del sistema fiscale (78%) e l’emissione di titoli di debito pubblico europeo (75%). Mentre l’Italia, a dispetto di una stabilità politica e sociale che oggi la caratterizza positivamente nel confronto europeo, purtroppo dal punto di vista economico sembra aver definitivamente esaurito l’abbrivio della crescita record del periodo post pandemico. Così, le stime dei previsori macroeconomici individuano per il biennio 2025-2026 una crescita su base annua del Pil di mezzo punto percentuale, mentre le previsioni degli opinion leaders intervistati sono ancora più pessimistiche (+0,1% nel 2026). L’economia italiana torna al male antico di una produttività declinante. A fronte di un’occupazione in crescita (sono 840.000 i nuovi occupati), fa difetto all’Italia la produttività per ora lavorata che è prevista in decrescita fino al -1,4% in maniera opposta sul resto d’Europa. Segno evidente dell’assenza nell’economia nazionale dei settori ad alto valore aggiunto e di conseguenza di un lavoro poco qualificato e meno pagato. Nei settori di impiego dei nuovi lavoratori troviamo, infatti, in maggioranza costruzioni, commercio, alberghi e ristoranti e fa impressione per converso il dato del titolo di studio: il numero di occupati con licenza media è sceso di oltre 647.000 unità, a fronte di un aumento di 687.000 diplomati e 800.000 laureati. È proprio la mancata crescita della produttività a non far ripartire l’ascensore sociale, oramai fermo da anni. Basti pensare che il 10% della popolazione italiana detiene il 58% della ricchezza del Paese (peggio di noi solo i tedeschi) e a fruttare sono più le rendite (da finanza e da immobili) che il lavoro, soprattutto se è lavoro autonomo. Il sistema Italia recupera il livello complessivo dei redditi delle famiglie solo in virtù del forte aumento del totale delle ore lavorate (2,3 miliardi in più di ore lavorate nel corso degli ultimi 5 anni).
Di conseguenza, la preoccupazione è il nuovo mood degli italiani. Abbandonata l’imperturbabile serenità e la fiducia caparbia che avevano ostentato negli anni difficili della pandemia e del post-Covid, gli italiani sembrano aver intuito i molti rischi dello scenario e vedono allungarsi un’ombra sul loro domani. Rispetto al 2022 cresce il timore (dal 20% al 39%), prende quota l’inquietudine (dal 24% al 37%) e l’allerta (dal 16% al 25%), mentre si riducono repentinamente serenità (dal 34% al 24%) e fiducia (dal 27% al 24%). Nel mindset degli italiani certo restano le difficoltà quotidiane e la voglia di maggiori redditi, ma nell’immaginario collettivo è soprattutto la guerra a segnare la più ampia discontinuità (una buona metà dei nostri connazionali ha iniziato a accettare la possibilità di un conflitto armato) e non stupisce che tra i diversi obiettivi di sostenibilità si affermino prioritariamente istanze di pace e diritti civili (64% degli intervistati) e quelle relative ad una maggiore attenzione e cura delle persone attraverso il contrasto alla fame e alla povertà e alle differenze e violenze di genere (lo chiede il 55%) anche sopravanzando la garanzia per tutti di un lavoro dignitoso e della riduzione delle disuguaglianze (62%) e gli stessi temi ambientali e del cambiamento climatico. Peraltro, in un generale greenlash istituzionale e imprenditoriale (per il 60% dei manager europei la burocrazia ambientale è uno dei principali ostacoli alla competitività), resta invece alta l’attenzione degli italiani su questo tema: il 73% lo considera un’emergenza causata da attività umane e si dichiara disposto a fare la sua parte con comportamenti idonei (mezzi di trasporto alternativi, limiti all’uso del riscaldamento domestico, riduzione del consumo di carne rossa). Questo repentino cambiamento nello stato d’animo degli italiani sembra preconizzare un più profondo cambiamento nel loro sistema valoriale e, nell’immediato, un ripensamento dei loro stili di vita. Gli italiani si autorappresentano guidati da valori di onestà (50%), rispetto (46%) e invece ormai molto meno interessati alla ricchezza (10%), successo sociale e carriera (ex-equo al 7%), forse anche perché oramai ritenuti indisponibili. Dopo anni di spinta laicista riemerge, dunque, anche l’importanza della religione nel nostro Paese più che nel resto d’Europa (superiamo anche la cattolicissima Spagna) e più in generale il ricorso a percorsi di spiritualità: ammette di averli intrapresi o di avere intenzione di farlo il 45% degli italiani, soprattutto uomini e under 35. L’immaginario collettivo si nutre anche di riferimenti nostalgici ai decenni precedenti, mentre impazzano i remake televisivi e cinematografici, crescono esponenzialmente le vendite di vinili e il vintage come icona. Il 54% della Generazione Z dichiara che potendo scegliere avrebbe preferito nascere all’epoca dei propri genitori. Un tuffo nel passato che consola, tanto che 7 italiani su 10 pensano che un tempo il mondo fosse un posto migliore.
Grazie al loro maggiore impegno sul lavoro, gli italiani si scoprono nel 2025 sì meno vulnerabili (quelli che hanno vissuto situazioni di disagio durature su aspetti essenziali della vita di tutti i giorni sono diminuiti di 1 milione sul 2024), ma si mantengono vigili e in precario equilibrio di fronte agli imprevisti, ma anche alla quotidianità. Se è vero, infatti, che nel 2024 la spesa complessiva delle famiglie italiane è cresciuta del +0,5% rispetto a cinque anni fa, oltre la metà è assorbita dalle spese obbligate (abitazione, utenze domestiche, trasporti e cibo) e non si discostano da queste voci le intenzioni di acquisto per i prossimi 12-18 mesi. Il risparmio persiste come driver primario per il 42% degli italiani, ma a essere messa in discussione è l’essenza stessa della società dei consumi, pare oramai arrivato il tempo del deconsumismo. Al posto del piacere del possesso, l’Italia di oggi scopre il vero valore nelle esperienze di vita, acquista solo le cose indispensabili, ama il second hand e ripara gli oggetti piuttosto che sostituirli. E anche quando torna a spendere in acquisti tecnologici (16,5 miliardi di euro negli ultimi 12 mesi, +1,2% su base annua) lo fa privilegiando l’utilità alla gratificazione. Tra i top ten delle vendite spiccano gli apparecchi per la cura dentale e una miriade di elettrodomestici piccoli o grandi che siano (dalle friggitrici alle macchine da caffè all’aspirapolvere). All’opposto si riducono gli acquisti di prodotti dell’elettronica di consumo (gli acquisti annui di smartphone si riducono di 2 milioni di unità sul 2022). In modo simile gli italiani interpretano l’utilizzo che già stanno facendo dell’Ai che ha invaso la dimensione privata (per il 49%) piuttosto che il contesto lavorativo (23%). Più confidenti oggi che in passato, sembrano preferirla ai social media nell’utilizzo del loro tempo quotidiano e, guardando al futuro, la immaginano come una valida alleata nella quotidianità: il 45% utilizzerebbe un’Ai evoluta e robotica per compiere le pulizie di casa, il 25% gli affiderebbe l’assistenza degli anziani, il 24% la guida di un veicolo e la preparazione dei pasti. A metà, insomma, tra l’amica del cuore, un maggiordomo o una badante.

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