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Razionalizzazione degli investimenti, crescita del fenomeno del merger & acquisition, arrivo di capitali dal mondo in un settore solido, anche in Italia, e nuove forme di governance: a WineNews l’analisi di Lorenzo Tersi (LT Wine & Food Advisory)

Italia
Lorenzo Tersi

Mai come negli ultimi mesi, in Italia, l’attività di compravendita di vigneti e cantine, è stata così frenetica. Segno di uno scenario produttivo, economico e generazionale che, probabilmente, sta cambiando sotto diversi aspetti. “C’è una riclassificazione degli spazi e della geografia dell’offerta dei territori vocati italiani - commenta a WineNews Lorenzo Tersi, esperto di merger & acquisition e fondatore della LT Wine & Food Advisory - sappiamo che i distretti più nobili, quelli più noti alle platee di investitori anche internazionali, come l’area del Brunello di Montalcino, le Langhe e l’area dell’Amarone della Valpolicella, per citare le prime tre, sono quelle che calamitano più investimenti internazionali. Ma ci sono tanti territori che si stanno muovendo e che, anche forti del successo sul mercato dei loro vini, stanno attirando attenzioni nuove: l’area del Lugana, come testimonia l’ultimo investimento di un gruppo strutturato e vocato all’internazionalizzazione come Santa Margherita, che ha investito anche in Sardegna, come di recente ha fatto il gruppo Terra Moretti.
Di certo, ci sarà un’estensione ed un allargamento naturale di questo fenomeno da parte di imprese ed investitori, per acquisire aziende strategiche. Pechè per competere nel mondo, non è più sufficiente essere protagonisti di un solo territorio, ma l’Italia verrà venduta come Paese, anche valorizzando piccoli territori, come racconta il caso Etna. E in generale, ci sono tante opportunità di crescita ancora. E direi che si può parlare anche di razionalizzazione degli investimenti”.

In ogni caso, tutto questo si riverbera sul valore patrimoniale e fondiario, anche per l’arrivo di investitori da altri settori, ma anche fondi investimento con enormi disponibilità finanziarie, che a volte, a detta di alcuni, portano i valori ben oltre il loro valore reale, con cifre che, nei casi estremi di Barolo o di Cartizze, per esempio, superano addirittura il milione di euro, e sfiorano i due.

“Non sono molto d’accordo, perchè - spiega Tersi - come “Italia” costiamo molto in alcune aree che hanno fissato certe condizioni di prezzo, ma nello stesso tempo costiamo ancora meno di una certa Francia, per esempio.
Per cui su certi territori, dove le aziende dimostrano performance interessanti anche dal punto di vista economico finanziario, ritengo che ci siano valori corretti. E poi dobbiamo fare una riflessione, tenendo conto del patrimonio che l’Italia del vino rappresenta: siamo in una iperglobalizzazione di interessi e di capitalia che circolano, pertanto sottovalutare questo patrimonio viticolo sarebbe un errore, dobbiamo credere in quello che facciamo. Si berrà sempre meno ma sempre più di qualità, non dobbiamo mai tradire il consumatore e continuare sul percorso della qualità e anche della promozione degli asset territoriali, con un grande marketing, sempre più territoriale, e a tutto campo, per la valorizzazione dei distretti. Ed i valori saliranno ancora, come succede in settori come l’arte, se il vino si intende come speciality e non come commodity”.

Di certo, quando si parla di certe cifre e quotazioni, spesso tirando in ballo soggetti come i fondi di investimento, può venire in mente anche che si tratti di speculazione.

“Io non la chiamerei speculazione, è una naturale fase di integrazione di capitali verso un mondo che ha dato segni di grande solidità anche in epoche di crisi, per cui è considerato quasi un bene rifugio, dove non ci sono oscillazioni particolari. Quindi per investitori che oggi vogliono allocare risorse in patrimoni di questo tipo, gli investimenti sono ben pensati.
È evidente, peraltro, che ci sono dei territori magici, ma anche altri che faticano. L’appeal di un territorio c’è nel momento in cui c’è una domanda specifica, e allora a quel punto gli investitori pongono attenzione primaria su quelle aziende che hanno già una storia, a territori che hanno avuto già soddisfazioni. Ricordiamo che la viticoltura italiana ed il suo successo sono recenti, siamo solo all’inizio di un fenomeno.

E questo percorso di accorpamenti e concentrazioni, è un percorso naturale. Ritengo che 62-63.000 imprese nel settore siano troppe in questo Paese, troppo frammentato, dobbiamo creare sinergie. Pensiamo anche che ci sono solo 2 aziende del vino italiano quotate in borsa, Italian Wine Brand e Masi, ma nei prossimi 2-3 anni vedremo una crescita amche in questo senso. Anche per la sempre maggiore attenzione di player internazionali, perfino dalla Cina. Come Yantai Changyu Pioneer Wine, una delle più importanti realtà cinesi, che dopo Francia e Spagna sta già guardando all’Italia per fare acquisti, come per esempio ha fatto da anni Constellation Brands con Ruffino. Perchè l’Italia è un grande Paese del vino, nel mirino dei grandi investitori”.

Secondo molti, nell’accelerazione del fenomeno dei passaggi di proprietà, incide anche il grande tema del passaggio generazionale. “È una leva che c’è, la questione si pone - conferma Tersi - e ci sono delle evidenze, come il fatto che sempre più famiglie per garantire un futuro all’azienda aprono a capitali esterni proprio nei passaggi generazionali, oppure si arriva alla cessione perchè le nuove generazioni non si occupano dell’azienda. Sicuramente nel fenomeno di cessioni e passaggi di mano è uno degli aspetti che incide di più, molte aziende dovranno cambiare pelle dal punto di vista della governance, e questo fa anche paura, come spaventa la competizione globale, ed è anche per questo che grandi gruppi stanno guardando a quelle aziende che sono appetibili, anche proprio per il passaggio generazionale in corso”.

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