Se l’Impero Romano economicamente ruotava esclusivamente intorno al settore primario, pensate l’importanza che la vite poteva avere all’epoca, quando il vino era uno dei prodotti più preziosi, destinato quasi unicamente ai patrizi: ecco, proprio nel periodo di maggior splendore dell’Impero, nel I secolo dopo Cristo, intorno alla ricca Pompei si distendevano ettari coltivati a vite a perdita d’occhio.
Proprio qui, pochi giorni fa, vicino alla tomba del ricco liberto Trimalcione (tra i protagonisti del Satyricon di Petronio) è stato ritrovato quello che si può probabilmente definire come il vigneto meglio conservato di età romana. A portarlo alla luce una campagna di scavo condotta dall’Istituto archeologico di Berlino, e finanziata dal “Deutsche Forschungsgemeinschaft”, l’equivalente tedesco del nostro Cnr. Gli scavi hanno interessato un terreno demaniale che si trova a soli 350 metri dalla villa romana di Numerius Popidius Narcissus Maior ed a 50 metri dalla cosiddetta villa della “cartucciera”, e tutto lascerebbe pensare che quel terreno coltivato a vite di 12 metri per quattro appartenesse a una di queste due “fattorie” dell’antichità.
Il colpo d’occhio che offre l’antico è di grande suggestione: si vedono ancora i solchi prodotti dalla zappa di chissà quale schiavo, i fori in cui erano piantati i pali che servivano a sorreggere i filari e le tracce lasciate dalle radici delle piante: “si può dire - racconta a “Il Sole 24 Ore” il direttore dei lavori, Florian Seiler - che, insieme con quelli rinvenuti sempre nell’area vesuviana tra gli anni Cinquanta e Settanta, quello trovato ora sia il vitigno meglio conservato dell’antichità”. Rispetto alle scoperte degli anni Cinquanta e Settanta, però, c’è un vantaggio: gli strumenti di ricerca si sono raffinati: “quindi - conclude l’archeologo tedesco - abbiamo chance ancora maggiori di comprendere come funzionasse l’agricoltura nel primo secolo dopo Cristo”.
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