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SEMINARIO MARKETING A SAN MICHELE ALL’ADIGE - DISTINTIVITÀ DEL BRAND, DISCIPLINA DEI PREZZI, MASSE CRITICHE SUFFICIENTI PER AVER FORZA IN DISTRIBUZIONE E INNOVAZIONI NEL MARKETING: LE LINEE GUIDE PER IL DOMANI DEL VINO ITALIANO PER CANTINE & ESPERTI

Italia
Il nuovo marketing del vino stando a cantine e esperti

Distintività del brand, disciplina dei prezzi contro le turbolenze di mercato, e masse critiche minime sufficienti per avere forza nella distribuzione italiana e straniera, oltre a innovazioni nel modo di fare marketing: sono le linee guide per il domani del vino italiano, stando almeno al Seminario internazionale di Marketing del Vino, di scena, ieri e oggi, all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige.

“La distintività del marchio è fondamentale in un mercato affollato da migliaia e miglia di competitor mondiali - spiega Ettore Nicoletto, ad della griffe Santa Margherita - così come lo è rinfrescare continuamente il brand con nuovi valori a seconda dei cambiamenti, anche demografici, del target di riferimento. Non meno importante è la disciplina sui prezzi, che, in molti casi, è venuta a mancare nel terribile 2009, dove si è distrutto valore abbassando i listini, anche se oggi si sta recuperando”. Indispensabile, però, posta la qualità come requisito base, avere anche delle “masse critiche minime sufficienti per avere forza commerciale e trattare con la grande distribuzione organizzata, che ormai distribuisce la maggior parte del vino nel mondo”, aggiunge Claudio Rizzoli, ad del Gruppo Mezzacorona. Concorde anche Giovanni Geddes da Filicaja, ad di Marchesi de Frescobaldi “che, per la prima volt,a si prepara ad una campagna di media advertising, con il proprio corporate brand e non con un prodotto”, ma secondo il quale è possibile creare grande valore aggiunto anche con piccoli numeri, se si punta sul vero lusso, come testimonia, tra le altre, l’esperienza di Tenuta dell’Ornellaia, che, con Ornellaia e Masseto, è da sempre ai vertici di valore delle bottiglie italiane nel mondo.

Ma il brand del vino è qualcosa di complesso: c’è il marchio aziendale, il vitigno, il territorio, la denominazione. Cosa pesa di più? Detto che dipende da mercato a mercato (in Usa, per esempio, il vitigno è fondamentale, ha sottolineato Richard Halstead di Wine Intelligence), “la denominazione definisce una categoria di origine e metodologia di produzione importante - ha puntualizzato Guido Pianaroli, ad di della griffe spumantistica Ferrari - dove però il peso e l’azione del brand aziendale è determinante e imprescindibile”.

Come muoversi allora, in futuro? Importante guardare alle nuove frontiere del marketing, come il neuro marketing, illustrato dal professor Alberto Mattiacci, che indaga sui comportamenti del cervello nei comportamenti di acquisto, ma anche pensare non solo ad un “prodotto buono a un prodotto anche “giusto” per il mercato, ha aggiunto e Massimiliano Bruni della Bocconi di Milano. E poi fondamentale, per l’Italia, in cui i gruppi più grandi hanno volumi di bottiglie che sono poca cosa in confronto ai grandi colossi mondiali come l’americana Gallo, per esempio, muoversi insieme e trovare un cappello comune a tutti. E qui un’idea su cui ragionare la propone ancora Nicoletto: “l’immagine del vino italiano nel mondo è legata soprattutto alla piacevolezza e alla facilità di abbinamento al cibo. Ragionare su qualcosa come “vino italiano, vino da cibo”, concetto da sviluppare e approfondire meglio, potrebbe davvero essere un buon punto di partenza per trovare un denominatore comuni a grandi e piccoli, nicchie di lusso e masse critiche per presentarsi all’estero senza svilire le proprie caratteristiche”.

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