La Sicilia è, a detta di molti, una delle Regioni del vino italiano che è cresciuta di più negli ultimi anni. Grazie a cantine pioniere da Donnafugata a Planeta, da Tasca d’Almerita a Cusumano, solo per citare le più affermate, che hanno fatto da apripista a tanti altri casi diventati di eccellenza, e anche grazie ad una sinergia con il “pubblico”, dall’Istituto Vite Vino (oggi Irvos) all’Assessorato alla Politiche Agricole della Regione, che hanno portato la Sicilia del vino ad affermare nel mondo i suoi grandi “classici”, come il Nero d’Avola, ma anche territori e vini emergenti, come quelli che nascono sull’Etna. E il 27 a 28 aprile, a Palermo, Sicilia en Primeur, con tutto il meglio della produzione dell’Isola, sarà il momento per fotografare lo stato dell’arte e “programmare” il futuro. Che passa, senz’altro, dalla nuova Doc Sicilia, che con la vendemmia 2012 ha visto il debutto delle prime bottiglie, e che con “un potenziale da 70 milioni di bottiglie, 25.000 ettari iscritti ad oggi, per 524.000 ettolitri di vino, farà arrivare la Regione a 3 milioni di ettolitri tra vini Dop e Igp, un record storico che certifica una volta di più la crescita qualitativa dell’enologia siciliana”, ha ricordato il presidente del Consorzio e di Assovini Sicilia Antonio Rallo. Ma che passa anche dalla prosecuzione di quei progetti che produttori e istituzioni hanno messo in campo già dal 2003, e che saranno al centro della relazione che sarà presentata dal professor Attilio Scienza. Che anticipa a WineNews: “dalle ricerche condotte dall’Università di Milano, Palermo e dal centro di ricerche di Marsala, in campo genetico, abbiamo trovato una sessantina di vecchie varietà che erano praticamente ignorate in Sicilia, fra la quali alcune molto interessanti dal punto di vista enologico (e alcune saranno degustate in anteprima proprio a Sicilia en Primeur, ndr), ma anche perché legate a vitigni toscani, calabresi e pugliesi, tutti imparentati con il Sangiovese. Ma stiamo anche studiando l’adattamento di questi cloni in diversi ambienti di coltivazione, e sta emergendo che l’interazione fra clone e territorio Sicilia può dare origine a vini molto diversi, come per il Nero d’Avola e il Catarratto. Ma la Sicilia si sta rivelando anche un grande laboratorio per l’utilizzo di nuovi portinnesti, fatti negli anni 80, con grandi risultati che fanno fronte a problemi come la grande mancanza di acqua o dalla presenza di sale”.
Focus - Lo studio del passato per costruire il futuro: il “caso” Sicilia raccontato dal professor Attilio Scienza
“La genetica, la cosiddetta “nuova scienza”, spiega a “Sicilia en primeur” il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano, ha avuto un ruolo determinante per la sopravvivenza della coltivazione della vite in Europa, quando a metà dell’800 la fillossera distrusse in pochi anni la viticoltura del Vecchio Continente. Solo la creazione di ibridi portinnesti resistenti all’afide si rivelò la soluzione vincente. La Sicilia a questo riguardo ha avuto un ruolo particolare con i lavori di miglioramento genetico di Paulsen e di Ruggeri, rispettivamente i costitutori del “1103 Paulsen” e del “140 Ruggeri”, due dei portinnesti attualmente più impiegati nel mondo. Tra i compiti del miglioramento genetico vi sono anche quelli della valorizzazione dei vitigni antichi e la selezione clonale della varietà più diffuse.
L’avvento della genomica - sottolinea Scienza - ha impresso un’accelerazione enorme alle conoscenze relative all’origine delle varietà ed ha offerto alla ricerca degli strumenti molto efficaci di diagnosi e di valutazione del potenziale qualitativo delle varietà e dei cloni consentendo di dimezzare i tempi di selezione. Dal 2003 l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Sicilia, ha sviluppato un ampio progetto di miglioramento genetico della piattaforma ampelografia dell’Isola con la collaborazione scientifica delle Università di Palermo e di Milano e del Cra - Patologia vegetale di Roma. Recentemente si è conclusa la prima fase di queste ricerche che hanno consentito di individuare una cinquantina di vecchie varietà delle quali non si conosceva neppure l’esistenza e di omologare i primi cloni delle varietà più importanti come il Nero d’Avola, il Frappato, l’Inzolia, solo per citarne alcuni. La pratica dell’innesto in campo praticata fino a pochi anni fa per costituire i nuovi vigneti, ha consentito il mantenimento di un’elevata variabilità intravarietale, ormai molto rara in altri vitigni europei, che ha evidenziato attraverso tecniche di selezione cosiddette deboli, delle tipologie varietali molto particolari per le caratteristiche fenotipiche (forma delle foglie e del grappolo) ma soprattutto per i costituenti fini della qualità (patrimonio polifenolico ed aromatico), che danno luogo a vini di grande personalità e distinzione. Di grande intereresse scientifico, continua, sono i risultati ottenuti dall’analisi del Dna dei numerosi vitigni antichi che mostrano la autoctonia del germoplasma siciliano, la sua originalità rispetto alle varietà più diffuse in Europa ed un legame molto antico con i vitigni dell’area calabrese e pugliese, attraverso un capostipite comune, il Sangiovese. I risultati di queste ricerche, coordinate dal Centro per l’Innovazione viti.enologica “E. Del Giudice” di Marsala, sono stati raccolti in un libro recentemente pubblicato dal titolo “Identità e ricchezza del vigneto Sicilia”.
La Sicilia, sottolinea Scienza, è la regione che più di qualsiasi altra in Italia ha investito in progetti di miglioramento genetico. Sono, infatti, in corso ricerche sull’adattamento di alcuni cloni di Nero d’Avola, di Frappato, di Catarratto in diversi ambienti dell’isola con la collaborazione di Assovini, sul valore agronomico di nuovi portinnesti in terreni difficili (siccitosi, calcare, salinità, ecc) anche nell’emergenza climatica, sulle caratteristiche di alcuni vitigni caucasici in condizioni di temperature elevate, sulle risposte qualitative di incroci resistenti alle malattie nell’ambiente siciliano. Le ricadute, conclude, non si evidenziano solo sugli aspetti viticoli ed enologici ma anche sulla comunicazione e sul marketing: il consumatore sceglie un vino sempre più se di quel vino ne conosce le origini, spesso lontane nel tempo e la storia che lo ha condotto a noi”.
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