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MADE IN ITALY

Sicurezza alimentare, origine delle materie prime, Nutriscore: gli atout del Forum Coldiretti

Al centro anche la preoccupazione per la risalita dei contagi che minaccia il Natale e la carne sintetica, bocciata dal 95% dei consumatori italiani
CARNE SINTETICA, Coldiretti, CONTAGI, ETICHETTA A SEMAFORO, FORUM ALIMENTAZIONE, FS, NUTRISCORE, ORIGINE IN ETICHETTA, PANDEMIA, Non Solo Vino
Il Forum Coldiretti

Il food made in Italy, che pure è il più sicuro al mondo sotto ogni punto di vista, come conferma l’incidenza di appena il 19% sulle 297 notifiche inviate all’Unione Europea nel 2020 relative agli allarmi alimentari, è ancora nel mirino dell’etichetta a colori che sta avanzando in Europa: dal Nutriscore francese a quella a semaforo inglese, non si salva nessuno, dall’olio extravergine d’oliva al Parmigiano Reggiano, dal Prosciutto di Parma al Gorgonzola fino al salame di Varzi, tutti bocciati senza appello. Si tratta di etichette a colori che si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia senza tenere conto delle porzioni escludendo paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali. Restando in tema di etichettatura, a difesa della spesa made in Italy, sul fronte interno, arriva invece l’obbligo di indicare dal primo gennaio 2022 la provenienza dell’ingrediente principale, dal latte alla passata di pomodoro, dai formaggi ai salumi fino a riso e pasta. Lista da cui manca la carne sintetica, bocciata senza appello dal 95% dei consumatori italiani, casomai la sua distribuzione dovesse venire ammessa anche in Italia. A preoccupare, invece, è il rinnovato allarme legato alla quarta ondata della pandemia di Covid-19, che mette in pericolo, con il possibile cambio di colore di molte Regioni, specie al Nord Italia, 5 miliardi di spesa in ristoranti e agriturismi per pranzi e cene nelle festività di fine anno. Ecco i temi al centro del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione n. 19, organizzato dalla Coldiretti, con la collaborazione dello Studio “The European House - Ambrosetti”, di scena a Roma (Villa Miani), con i maggiori esperti, opinionisti ed esponenti del mondo accademico, nonché rappresentanti istituzionali, responsabili delle forze sociali, economiche, finanziarie e politiche nazionali ed estere.

Come raccontano i dati dell’ultimo rapporto del Sistema di allerta rapido europeo, che registra gli allarmi per rischi alimentari verificati a causa di residui chimici, micotossine, metalli pesanti, inquinanti microbiologici, diossine o additivi e coloranti nell’Unione Europea nel 2020, in Italia è scattato quasi un allarme alimentare al giorno con ben 297 notifiche inviate all’Unione Europea durante il 2020, delle quali solo 56 (19%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale, mentre 160 provenivano da altri Stati dell’Unione Europea (54%) e 81 da Paesi extracomunitari (27%).

Dai semi di sesamo dell’India di moda per le insalatone salutiste alla carne di pollo low cost dalla Polonia, dalla frutta e verdura turca al pepe nero brasiliano salgono sul podio della “black list” dei prodotti alimentari più pericolosi per la salute rilevati nella Ue, nella quale rientrano anche le arachidi da Usa e Argentina, i pistacchi turchi ed iraniani e le ostriche francesi, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Rassf. In generale in testa alla classifica dei Paesi dai quali giungono i cibi più contaminati ci sono l’India, responsabile del 12% degli allarmi alimentari scattati in Europa, la Turchia con il 10% e la Polonia (10%) ma preoccupazioni - spiega la Coldiretti - arrivano anche dalla Francia (6%), dall’Olanda (6%) e dalla Cina (6%).

Un’emergenza quindi che non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo ma che, per effetto della globalizzazione degli scambi e della competizione al ribasso sui prezzi, si estende anche a quelli più ricchi. I pericoli maggiori - continua la Coldiretti - sono venuti dai semi di sesamo dell’India, molto di moda nelle insalate salutistiche, a causa della presenza di ossido di etilene, e dalla carne di pollo polacca con la salmonella, ma sul podio del rischio c’è anche la frutta e verdura importata dalla Turchia per la presenza di residui di pesticidi. Nella black list alimentare - precisa la Coldiretti - ci sono poi il pepe nero brasiliano a rischio salmonella, i fichi secchi dalla Turchia per l’elevato contenuto in aflatossine cancerogene come pure le arachidi da Usa e Argentina, i pistacchi turchi ed iraniani mentre le ostriche francesi sono state individuate contaminazioni da norovirus responsabili di gastroenteriti.

Non si tratta peraltro di quantità trascurabili con l’Italia che ha importato 7 milioni di euro di semi di sesamo dall’India nel 2020 per un totale di quasi 5 milioni di chili mentre dalla Polonia sono arrivati ben 14 milioni di chili di carne di pollo per un importo di oltre 20 milioni di euro e l’importazione di frutta e verdura dalla Turchia ha raggiunto addirittura 416 milioni di euro, secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat.

Non sorprende dunque che l’87% degli italiani voglia il divieto di ingresso nei mercati nazionali dei prodotti provenienti da paesi privi di regole sociali, di sicurezza e sanitarie analoghe a quelle italiane e della Ue, secondo l’analisi Coldiretti/Censis. Secondo la stragrande maggioranza dei cittadini è inutile imporre alle imprese italiane leggi sempre più severe se poi si consente ad imprese spregiudicate o a interi settori produttivi di altri paesi senza legislazioni analoghe di invadere il mercato italiano con prezzi stracciati, magari sfruttando il ricorso a lavoro semi schiavistico o minorile o, anche, a produzioni senza rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale.

“Occorre garantire che le importazioni di prodotti da Paesi Terzi rispettino gli stessi standard sociali, sanitari e ambientali delle produzioni italiane ed europee” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’importanza che l’Ue assicuri il principio di reciprocità nei rapporti commerciali.

Al contempo, come accennato, sono tantissimi i prodotti di qualità del made in Italy a tavola bocciati senza appello dall’etichetta a colori che sta avanzando in Europa, dal Nutriscore francese a quella a semaforo inglese. Etichette a colori che - sottolinea la Coldiretti - si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia senza tenere conto delle porzioni escludendo paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. L’equilibrio nutrizionale non ricercato nel singolo prodotto ma nell’equilibrio tra i diversi cibi consumati nella dieta giornaliera e per questo non sono accettabili etichette semplicistiche che allarmano o scoraggiano il consumo di uno specifico prodotto.

L’etichetta nutrizionale a colori boccia ingiustamente - denuncia la Coldiretti - quasi l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop/Igp) che la stessa Ue dovrebbe invece tutelare e valorizzare soprattutto nel tempo del Covid. Si tratta di prodotti, soprattutto formaggi e salumi, che sono il frutto del lavoro di generazioni la cui ricetta non può essere cambiata.

Un modello che potrebbe essere adottato anche in India, mentre in Sudamerica rischia di fare scuola il bollino nero cileno che - prosegue Coldiretti - sconsiglia di fatto l’acquisto di prodotti proprio come il Parmigiano, il Gorgonzola, il prosciutto e, addirittura, gli gnocchi, e a cui potrebbe guardare il Brasile mentre l’Australia ha già adottato un sistema a stelle (Health star rating) che come il nutriscore sui basa sulla presenza di determinate sostanze in 100 grammi di prodotto.

Una anomalia che sta facendo allargare il fronte dei Paesi contrari nella Ue con perplessità che stanno crescendo in Spagna, dove il Senato con una mozione della Commissione Salute e consumo ha chiesto al Governo di bloccare l’adozione del Nutriscore, che provocherebbe “incertezza negli operatori del settore agroalimentare e confusione nel consumatore” soprattutto per l’opposizione dei produttori di olio di oliva, e in Francia, dove sotto la pressione di produttori di formaggio il Ministro dell’Agricoltura ha dichiarato che “è necessaria una revisione della metodologia su cui si basa il sistema, perché determina classificazioni che non sono necessariamente conformi alle abitudini alimentari”.

L’Italia - precisa la Coldiretti - si sta muovendo con intelligenza per rafforzare ulteriormente una coalizione a supporto di un sistema armonizzato, che sia diverso dal Nutriscore e che vada a rivedere alcuni dei principi e idee alla base del sistema francese, supportata anche formalmente al momento da Repubblica Ceca, Romania, Cipro, Grecia e Ungheria. “Ora la battaglia si sposta in Europa - sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini - per evitare un grave danno per il sistema agroalimentare italiano proprio in un momento in cui potrebbe essere l’elemento di traino di un piano strategico di internazionalizzazione per far crescere la presenza del made in Italy sui mercati stranieri”.

Dal Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, arriva anche l’annuncio del Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli, che ha firmato i provvedimenti che salvano la spesa made in Italy con l’obbligo di indicare in etichetta dal primo gennaio 2022 la provenienza dell’ingrediente principale. La firma dei decreti garantisce trasparenza sulla reale origine su prodotti base della dieta degli italiani, che rappresentano circa tre quarti della spesa ma resta ancora anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini senza dimenticare la carne o il pesce venduti nei ristoranti.

Il provvedimento risponde alle richieste di quell’80% di italiani che, secondo il rapporto Coldiretti/Censis, verifica gli ingredienti di cui si compongono gli alimenti da acquistare, scorrendone quella sorta di carta d’identità istantanea che è l’etichetta. Poiché nel quotidiano l’alimentazione è uno dei motori del benessere soggettivo, gli italiani sono sempre a caccia delle informazioni che rendono possibile per un determinato prodotto alimentare la tracciabilità, intesa come la trasparenza su provenienze e connotati dei processi produttivi e distributivi.

“L’Italia, che è leader europeo nella qualità, ha infatti il dovere di fare da apripista nelle politiche alimentari dell’Ue - commenta Prandini - poiché in un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della tracciabilità con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti, venendo incontro alle richieste dei consumatori italiani ed europei”. Non a caso sono ben 1,1 milioni le firme raccolte nell’ambito dell’iniziativa dei cittadini dell’Unione Europea “Eat original! unmask your food” promossa dalla Coldiretti, da Campagna Amica e da altre organizzazioni europee, da Solidarnosc a Fnsea, per l’estensione dell’obbligo di etichettatura con l’indicazione dell’origine su tutti gli alimenti.

L’etichetta nutrizionale a colori boccia peraltro ingiustamente – denuncia la Coldiretti - quasi l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop/Igp) che la stessa Ue dovrebbe invece tutelare e valorizzare soprattutto nel tempo del Covid. Si tratta di prodotti, soprattutto formaggi e salumi, che sono il frutto del lavoro di generazioni la cui ricetta non può essere cambiata.

Un modello che potrebbe essere adottato anche in India, mentre in Sudamerica rischia di fare scuola il bollino nero cileno che - prosegue Coldiretti - sconsiglia di fatto l’acquisto di prodotti proprio come il Parmigiano, il Gorgonzola, il prosciutto e, addirittura, gli gnocchi, e a cui potrebbe guardare il Brasile mentre l’Australia ha già adottato un sistema a stelle (Health star rating) che come il nutriscore sui basa sulla presenza di determinate sostanze in 100 grammi di prodotto.

Una anomalia che sta facendo allargare il fronte dei Paesi contrari nella Ue con perplessità che stanno crescendo in Spagna dove il Senato con una mozione della commissione salute e consumo ha chiesto al Governo di bloccare l’adozione del Nutriscore, che provocherebbe “incertezza negli operatori del settore agroalimentare e confusione nel consumatore” soprattutto per l’opposizione dei produttori di olio di oliva e in Francia dove sotto la pressione di produttori di formaggio il ministro dell’Agricoltura ha dichiarato che “è necessaria una revisione della metodologia su cui si basa il sistema, perché determina classificazioni che non sono necessariamente conformi alle abitudini alimentari”.

L’Italia si sta muovendo con intelligenza per rafforzare ulteriormente una coalizione a supporto di un sistema armonizzato, che sia diverso dal Nutriscore e che vada a rivedere alcuni dei principi e idee alla base del sistema francese, supportata anche formalmente al momento da Repubblica Ceca, Romania, Cipro, Grecia e Ungheria. “Ora la battaglia si sposta in Europa - sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini - per evitare un grave danno per il sistema agroalimentare italiano proprio in un momento in cui potrebbe essere l’elemento di traino di un piano strategico di internazionalizzazione per far crescere la presenza del made in Italy sui mercati stranieri”.

Difficile, invece, indicare la provenienza della carne sintetica, pronta ad invadere le tavole di tutta Europa, ma su cui il giudizio dei consumatori italiani è a dir poco lapidario: il 95% di loro non la mangerebbe mai, una bocciatura quasi plebiscitaria per la bistecca fatta in laboratorio da cellule staminali prelevate dal muscolo di un bovino, rompendo il legame con la naturalità del cibo. Interrogati sui motivi principali per i quali bocciare la bistecca fatta in laboratorio gli italiani - spiegano Coldiretti/Ixé - mettono in cima il fatto di non fidarsi delle cose non naturali (68%), mentre al secondo posto ci sono i consistenti dubbi sul fatto che sia sicura per la salute (60%). Rilevante anche la considerazione che la carne artificiale non avrà lo stesso sapore di quella vera (42%), ma c’è anche chi teme per il suo impatto sulla natura (18%), e chi fa notare, soprattutto tra i vegetariani e i vegani, che si tratta comunque di prodotti ottenuti dagli animali, peraltro con sistemi particolarmente cruenti.

Il dato testimonia, secondo Coldiretti/Ixé, il fallimento delle aggressive campagne di marketing che negli ultimi tempi hanno cercato di demonizzare la carne vera per promuovere quella sintetica esaltandone presunte proprietà ambientali attraverso l’utilizzo astuto di nomi che rimandano alla naturalità come carne “pulita” o “coltivata”, ma nascondendo i colossali interessi commerciali e speculativi ad esso legati. Non a caso il 96% degli italiani continua a mangiare carne, secondo il rapporto Coldiretti/Ixé, con una frequenza media di consumo di 2,7 volte a settimana e la convinzione che la giusta quantità di carne, bianca e rossa, sia una componente fondamentale della buona dieta. In testa alle caratteristiche che il consumatore considera prima di acquistare c’è il fatto se la carne proviene da un allevamento italiano, seguita dalla presenza di un’etichetta con informazioni dettagliate e se arriva da un’azienda del proprio territorio. Prezzo e convenienza si piazzano solo al quarto posto, subito davanti ai marchi ad indicazione di origine.

“La carne italiana nasce da un sistema di allevamento che per sicurezza e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne attraverso le fattorie e i mercati di Campagna Amica”, commenta il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “scegliere carne made in italy significa anche sostenere un sistema fatto di animali, di prati per il foraggio e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni, anche in aree difficili”.

Un altro elemento di preoccupazione arriva dall’avanzare dei contagi e il possibile cambio di colore di diverse Regioni, specie al Nord, che mettono a rischio 5 miliardi di euro di spesa in ristoranti e agriturismi per pranzi e cene nelle festività di fine anno, che solo nuove misure per evitare le chiusure, allo studio di Regioni e Governo, possono evitare. “Un rischio che va a tutti i costi scongiurato - denuncia il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - per non mettere in crisi una filiera che dà lavoro a ben 4 milioni di occupati in 740.000 aziende agricole e 70.000 industrie alimentari”.

Le chiusure andrebbero, infatti, a frenare la ripresa della ristorazione - sottolinea la Coldiretti - già tra i settori più danneggiati dalla pandemia con i consumi alimentari degli italiani fuori casa che nel 2020 sono scesi al minimo da almeno un decennio con un crack senza precedenti per bar, ristoranti, trattorie e agriturismi che hanno dimezzato il fatturato (-48%) per una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro. Ma la situazione si ripercuote a cascata sull’intero sistema agroalimentare con oltre un milione di chili di vino e cibi invenduti nell’anno della pandemia. La drastica riduzione dell’attività - aggiunge la Coldiretti - pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.

Una minaccia anche per le 5.333 specialità tradizionali salvate dagli agricoltori per sostenere la rinascita del Paese che - ricorda Coldiretti - senza un mercato di sbocco assicurato da ristoranti e agriturismi ma anche dall’indotto turistico, con la vendita dei souvenir, rischiano di sparire per sempre. Si stima che 330.000 tonnellate di carne bovina, 270.000 tonnellate di pesce e frutti di mare e circa 220 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell’anno della pandemia sulle tavole dei locali costretti ad un logorante stop and go senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili.

Focus - Fs italiane e Coldiretti, iniziative congiunte per rafforzare la filiera agroalimentare e per la salvaguardia del suolo

Rafforzare il ruolo della ferrovia come infrastruttura logistica strumentale e funzionale allo sviluppo sostenibile della filiera agroalimentare, programmi innovativi sull’uso di sostanze ecologiche da bioeconomia circolare lungo i binari, rigenerazione del patrimonio immobiliare per mercati contadini di Campagna Amica, utilizzo di terreni prossimi alle ferrovie e alle strade per impianti di produzione di energie rinnovabili al posto di terreni agricoli. Sono alcuni degli obiettivi previsti dall’accordo presentato da Coldiretti e Gruppo FS Italiane al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, sottoscritto dal presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, e da Luigi Ferraris, Ad del Gruppo FS Italiane, che prevede una serie di progetti a tutto campo, nell’ottica di un modello di sviluppo collaborativo e sostenibile.

Tra le ipotesi allo studio c’è quella di ospitare negli edifici dismessi o nelle piccole e medie stazioni farmers market ma anche fiere ed eventi e quella di verificare anche con altri partner, della possibilità di utilizzare spazi o terreni oggi al servizio delle infrastrutture di trasporto per la produzione di energia green e fotovoltaica, evitando così di sottrarre risorse utili al settore agricolo nazionale. Un’ulteriore tema è la definizione di programmi innovativi sull’utilizzo di sostanze da chimica verde nei terreni di reciproca competenza, come le aree prossime ai binari. L’obiettivo è di mantenere efficienti i 17.000 chilometri della rete ferroviaria in modo ecologico e sicuro attraverso lo studio e il test di prodotti totalmente green, biodegradabili nel suolo che non generino residui nel terreno o nelle piante trattate.

Coldiretti e Fs confermano così il loro reciproco impegno per la tutela del suolo, per la sostenibilità integrale del modello di sviluppo in linea con gli Obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e con le strategie europee “Green Deal” e “Farm to Fork”. Ancora nella direzione della tutela dei terreni agricoli e della capacità produttiva dell’agricoltura italiana, la cui strategicità è stata resa ancora più evidente dalla pandemia, va anche l’idea di usare aree strumentali alle infrastrutture ferroviarie e stradali per la produzione di energie rinnovabili come il fotovoltaico, quale alternativa all’uso dei campi coltivati.

L’intesa prevede inoltre lo studio di possibili soluzioni logistiche integrate per le filiere agro alimentari, soprattutto verso la Germania, di soluzioni infrastrutturali al servizio della logistica agroalimentare nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, e possibili accordi di fornitura di prodotti agroalimentari per le aziende.

“L’accordo di oggi è un esempio della collaborazione che il Gruppo Fs Italiane sta implementando con vari stakeholder che sono protagonisti, insieme a noi, nel percorso verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile del Gruppo per il nostro Paese”, commenta Luigi Ferraris, Ad del Gruppo Fs. “Rafforzare le attività per la filiera agroalimentare e condividere con Coldiretti una visione più ecologica dell’uso del suolo, delle aree attigue a ferrovie e strade dimostra come si possa andare verso un nuovo modello economico più responsabile ed inclusivo”.

“Non un solo ettaro di terra fertile deve essere sottratto all’agricoltura in un momento di grandi tensioni provocate dalla pandemia”, ha aggiunto il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, sottolineando “la necessità di conciliare la produzione energetica rinnovabile con il rispetto del territorio, del paesaggio e del fabbisogno alimentare della popolazione”. L’agricoltura italiana è la più green d’Europa, e ha la responsabilità di cogliere tutte le opportunità che vengono dall’innovazione made in Italy per ridurre al minimo l’impatto ambientale.

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