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VISIONI DI TERRITORIO

Sostenibilità, accoglienza, export e Sangiovese: i quattro “punti cardinali” del Montecucco

Oltre il 90% della produzione è bio, il 100% delle cantine fa enoturismo. E si pensa all’allargamento della Denominazione per far “salire” i vigneti

La sostenibilità come stella polare, l’accoglienza in cantina come pratica universale, la propensione all’export come strada maestra sui mercati, il Sangiovese come pilastro della base ampelografica della denominazione. E con l’ipotesi di allargare il territorio alle aree montane, per far salire, in prospettiva, l’altitudine dei vigneti. È il profilo tracciato dal Consorzio Tutela Vini Montecucco, “custode” di una denominazione che confina con Montalcino e la Maremma, e che guarda al Mar Tirreno e al Monte Amiata. E che ha sondato lo stato dell’arte di diverse aziende distribuite tra i sei Comuni di Cinigiano, Castel del Piano, Seggiano, Civitella Paganico, Campagnatico e Roccalbegna, che, da sole, coprono una superficie vitata totale attorno ai 300 ettari, di cui circa 276 potenzialmente rivendicabili a Montecucco Doc (tra Rosso e Vermentino), mentre sono 197,42 gli ettari potenzialmente atti alla produzione di Montecucco Docg. “I risultati raccolti sono in grado di fornire un quadro generale estremamente fedele dello stato di salute e dei trend della denominazione considerato che il campione preso in esame rappresenta rispettivamente il 76% e il 79% della produzione totale di Doc e Docg Montecucco, tra aziende socie e non, ed include le più grandi imprese dell’areale detentrici della maggior parte delle quote di produzione e imbottigliato e, quindi, di vendite e presenza nei mercati”, spiega il Consorzio guidato da Giovan Battista Basile. Dai risultati, il focus della denominazione resta la sostenibilità: la quota di produzione certificata bio tra le aziende campione si attesta al 95% per la Doc e al 91,5% per la Docg. “Percentuali altissime che testimoniano i passi avanti fatti dal sondaggio del 2021, dal quale alcune aziende risultavano ancora in conversione, nonché la volontà della denominazione di continuare a sostenere il proprio Dna green e ad essere sinonimo di pratiche agronomiche innovative e in armonia con la natura, a tutela di un territorio integro e naturalmente vocato alla coltivazione e alla tutela della biodiversità”.
La base ampelografica dell’areale resta ancora al Sangiovese, che copre il 61% dei vigneti del campione, mente l’11% è Vermentino, e la restante percentuale da vitigni internazionali - principalmente Merlot che detiene il 7% - e vitigni autoctoni da qualche anno tornati alla ribalta come il Ciliegiolo con il 5%. Non a caso la tipologia della denominazione che al momento riscontra maggiore successo, spiega il Consorzio, è il Montecucco Rosso, che prevede un minimo di 60% di Sangiovese accompagnato da altri vitigni a bacca rossa, mentre il Montecucco Docg ha registrato un lieve calo anche alla luce dell’avversità delle ultime tre annate e alle scelte obbligate o strategiche a cui le stesse hanno costretto a volte i produttori. “Un dato che però incontra favorevolmente le nuove tendenze del mercato: grazie al breve invecchiamento, spesso anche solo in acciaio, e ai buoni livelli di acidità, il Montecucco Rosso gode, infatti, di una connotazione fresca e giovane che ben si sposa con le esigenze della nuova generazione di consumatori, alla ricerca di una bevuta sempre più facile e non impegnativa non solo per il palato, ma anche per il portafoglio”.
Guardando al mercato, l’Italia assorbe circa il 35% dei consumi, soprattutto il Centro e Nord, dove sono presenti rispettivamente il 95% e il 63% delle aziende socie e dove viene sollecitato un maggior presidio da parte del Consorzio, in particolare nelle Regioni “target” Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto. All’estero, i primi quattro Paesi a trainare l’export in termini di volumi, e dove le aziende vorranno continuare ad investire in promozione, risultano Svizzera (30%), Germania (12%), Usa (8,5%) e Benelux (8%), mentre si registra un interesse sempre crescente verso il prodotto da parte di Est Europa, Centro America e Asia orientale e sudorientale. Parlando di prossimo futuro, i primi tre Paesi di interesse verso cui le aziende vorrebbero incrementare le esportazioni sono Canada, Regno Unito e Giappone.
L’ospitalità è un altro tema importante per la denominazione che l’indagine ha voluto approfondire. Qui i dati evidenziano che il 100% delle aziende è attrezzato per accogliere i visitatori.
Le formule di enoturismo spaziano dalle visite in cantina e/o in vigna alle degustazioni e ai tour del territorio, e più o meno la metà delle aziende dispone di strutture ricettive in grado di offrire ai visitatori la possibilità di pernottamento (83,3%) e/o ristorazione (75%). Un’ulteriore conferma, dunque, dell’ormai trentennale investimento della denominazione in un enoturismo di qualità volto a promuovere l’originalità di questo “volto selvaggio” della Toscana, facendo leva sulla natura autentica e sui paesaggi incontaminati dell’areale, oltre che su storia, cultura ed enogastronomia.
“Da rimarcare, infine, la proposta, venuta fuori dalla survey e già in fase di discussione nel Consorzio, alla luce soprattutto delle condizioni legate al cambiamento climatico, di un’eventuale estensione del territorio di produzione all’intera area amministrativa dei Comuni di montagna, con l’obiettivo di aumentare l’altitudine dei terreni della denominazione”.

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