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“THINK LOCALLY, SELL GLOBALLY”, IN UNO SLOGAN LA FILOSOFIA AZIENDALE DELLA MARCHESI DI BAROLO, UNA DELLE PIU’ IMPORTANTI GRIFFE DELLE LANGHE, OGGI SALDAMENTE CONDOTTA DA ERNESTO E ANNA ABBONA… LA BOTTIGLIA DI BAROLO 1920 IN DONO AL PRESIDENTE CIAMPI

Non sempre l’innovazione passa necessariamente dalla proposta di ricette nuove. Nel caso del vino pare proprio che questa banale considerazione sia decisamente la formula vincente. Specialmente per prodotti storici e di elezione come il Barolo. “La nostra filosofia produttiva - spiega Ernesto Abbona, a capo della Marchesi di Barolo - persegue costantemente l’originalità dei prodotti che proponiamo. E questa peculiarità è garantita dal valore dei nostri vitigni di antica coltivazione e dalle tradizioni secolari, in vigna come in cantina, che le Langhe sono riuscite a conservare anche grazie al giusto grado di apporto tecnologico”. Stretto legame con il territorio (e quindi rigoroso “think locally”), quanto apertura alle sollecitazioni del mercato del vino sempre più globalizzato (“sell globally”) guidano dunque le politiche di approccio al mercato della Marchesi di Barolo, “il nostro sforzo commerciale - continua Abbona - non è solo quello di far conoscere e far apprezzare i nostri prodotti anche in quei Peaesi che stanno solo ora scoprendo il vino, ma anche di tornare dove già ci conoscono per ribadire la coerenza e l’originalità dei vini a marchio Marchesi di Barolo”.
Marchesi di Barolo, con sede a Barolo, è uno dei marchi storici di Langa e vede la sua nata di nascita nel lontano 1861. Oggi l’azienda è saldamente guidata da Ernesto e Anna Abbona e conta su 37 ettari vitati (30 dei quali coltivati a Nebbiolo da Barolo), più 80 non di proprietà, ma controllati direttamente dallo staff tecnico aziendale, che da anni acquista le uve da questi produttori. Di recente, sono stati acquistati nel terroir del Barolo 6 ettari a vigneto che si vanno ad aggiungere a quelli già di proprietà e rappresentano il primo step di un articolato progetto di acquisizione e potenziamento dei vigneti della Marchesi di Barolo. Dal 1977 Roberto Vezza e Flavio Fenocchio sono gli enologi della Marchesi di Barolo, garantendo una continuità qualitativa e stilistica ai vini dell’azienda. Nel 2007, le bottiglie prodotte complessivamente sono state circa 1.800.000 e hanno trovato il loro sbocco di commercializzazione principale nel canale horeca (hotel, ristoranti, enoteche, catering) per oltre 80% (il resto è commercializzato sugli scaffali della gdo, ma solo da quei canali che considerano il vino un loro core-business); all’estero le bottiglie a marchio Marchesi di Barolo trovano il loro mercato privilegiato negli Stati Uniti, in Germania e in Svizzera, ma crescono molto anche Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca e, tra i Paesi emergenti, Russia e India; nel 2007, complessivamente, la Marchesi di Barolo ha visto il suo export crescere del 9,5%.

La curiosità - Al presidente Carlo Azeglio Ciampi una bottiglia di Barolo Marchesi di Barolo del millesimo della sua nascita: il 1920
In Italia poche realtà vinicole possono vantare una collezione completa della loro produzione, la Marchesi di Barolo (www.marchesibarolo.com) è tra queste con l’enoteca storica, probabilmente la più completa raccolta di bottiglie di Barolo. Di grande fascino e suggestione, l’enoteca conta circa 35.000 esemplari (che riposano in ambienti a temperatura e umidità controllata e a cui periodicamente vengono sostituiti i sugheri più vecchi). Le annate vanno dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri e se gli esemplari fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale sono ridotti a pochissime centinaia di bottiglie (dal 1859 al 1945, 2.239), più abbondante è la scorta di quelli datati dalla seconda metà degli anni Cinquanta in avanti. Evidentemente, questa collezione non è destinata alla vendita, ma alcune Riserve continuano a rifornire regolarmente clienti speciali o diventano oggetto di omaggio per personalità importanti. Come nel caso della bottiglia di Barolo vendemmia 1920 che è stata regalata al Presidente Carlo Azeglio Ciampi, in una sua visita in Piemonte.

La Marchesi di Barolo - Le “botti della Marchesa”
Cinque botti secolari candidate a “Patrimonio dell’Umanità”. Lo ha proposto Ernesto Abbona, presidente della storica azienda enologica, le cui origini risalgono ai primi anni dell’Ottocento. Nell’antica cantina di Barolo sono conservate, infatti, cinque botti (che, inizialmente, sembravano di castagno e che, invece, a seguito dell’intervento di ripristino esterno ed interno, realizzato nell’estate 2002, è stato “scoperto” essere di rovere) della capacità di 120 ettolitri (la misura classica utilizzata dalle aziende medio-grandi per l’invecchiamento dei vini) di cui non si conosce l’età precisa, né il produttore, ma è certo che ci riportino a tempi molto lontani, almeno alla prima metà dell’Ottocento. Esistevano già quando il fratello del nonno di Ernesto Abbona, cioè Emilio Pietro Abbona, insieme con i suoi fratelli e sorelle, acquistò, all’inizio del Novecento, l’Agenzia della Tenuta Opera Pia Barolo, e proprio quel trisavolo le chiamava le “botti della Marchesa”.
Queste botti sono ancora oggi eccellenti contenitori per una scelta culturale che valorizza la storia del Barolo, ma domani? Per evitare che vengano irrimediabilmente perdute, Ernesto Abbona ha deciso di farle restaurare ad un esperto artigiano bottaio (che ha così asportato la sottile patina scura formatasi all’esterno delle botti e, soprattutto, all’interno delle botti, togliendo lo strato di cristalli di bitartrato di potassio - cremortartaro - che occludeva i pori del legno, impedendo il passaggio dell’ossigeno) e di valorizzarle, come vere opere d’arte, e suggerisce che diventino “Patrimonio dell’Umanità”. Le “cinque botti della Marchesa” sono oggi perfettamente integre ed efficienti; sono “solo” un po’ più capienti: l’asportazione del cremortartaro e, necessariamente, del substrato di legno cui era fissato, ha determinato, infatti, un aumento di capacità di 5 ettolitri; oggi, quindi, contengono, quindi, 125 ettolitri, ognuna.
Le “botti della Marchesa” sono, dunque, tornate ad essere ottime per l’affinamento del “grande” Barolo. Da qui anche il desiderio di valorizzare ancor di più queste “reliquie” della vitivinicoltura mondiale.

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