Dal mondo dell’agricoltura avanzata, e del vino in particolare, arrivano spesso storie pionieristiche. Che raccontano anche la capacità di guardare le difficoltà di ogni epoca, prendere il meglio e metterlo insieme in maniera pratica, virtuosa, etica ed utile per tutti. E così, dopo la case history che vi abbiamo raccontato della cantina Arnaldo Caprai, che sotto la guida di Marco Caprai, alla guida della griffe che ha “creato” il distretto del Sagrantino di Montefalco, e che ha iniziato un percorso di collaborazione con la Caritas ed altre associazioni per l’inserimento dei migranti nel mondo del lavoro (un impegno che, nell’arco degli ultimi tre anni, ha dato la possibilità a più di 30 richiedenti asilo provenienti dal Nord e dal Centro Africa di lavorare in vigneto in diversi periodi dell’anno, dando vita ad una sinergia capace di dare un bel segnale a tutto il territorio e non solo), ora, da Bordeaux, arriva la notizia di una iniziativa simile messa in campo da Château Pédesclaux, Grand Cru con 50 ettari di vigna a Pauillac, che, insieme a Ovale Citoyen, un’associazione che utilizza il rugby e altri sport come un modo per promuovere il team-building e l’inclusione, ha offerto lavoro stagionale a persone in difficoltà, compresi i rifugiati, in un progetto chiamato “Drop in the Fields”.
“Il potenziale occupazionale nei vigneti è enorme. La viticoltura, come tutti gli altri settori dell’agricoltura, ha una carenza di manodopera e questa mancanza è stata esponenziale dall’inizio della crisi Covid”, ha detto il fondatore dell’associazione Jean François Puech. “C’era molta incertezza sulla nostra capacità di portare le persone a lavorare tra le vigne, che non ci aspetta, ma seguono il ciclo delle stagioni”, ha detto Vincent Bache-Grabielsen, direttore tecnico di Château Pédesclaux. Una “case history” raccontata dall’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite, e che, come il progetto di Marco Caprai, racconta più facce di una stessa medaglia, come torna a spiegare a WineNews lo stesso Marco Caprai.
“Certamente con la crisi legata al Covid e alla chiusura delle frontiere, ma anche con l’introduzione del reddito di cittadinanza e con la cancellazione dei voucher per il lavoro agricolo, l’agricoltura italiana tutta ha un problema di manodopera. È un dato di fatto. Questi progetti, che non escludono il contoterzismo, che è un’altra alternativa (fenomeno cresciuto del +18% negli ultimi 3 anni, portando con sé anche dinamiche non sempre limpide e creando non poche zone grigie dal punto di vista normativo e legislativo, come evidenziato da una recente indagine di Confagricoltura, ndr), hanno però una portata più ampia, etica ed innovativa, perchè collegano il primo settore, l’agricoltura, ed il terzo settore (ovvero il mondo del no-profit, semplificando), in una sinergia che diventa virtuosa, aiuta le aziende e aiuta tante persone in difficoltà a ricostruirsi una vita attraverso il lavoro, contribuendo al grande e fondamentale tema dell’inclusione. Ed è anche un arricchimento della società, visto che con progetti come questi si mettono in comunicazione, in maniera positiva e concreta, persone che arrivano da popoli, paesi, tradizioni e culture diverse”.
Con un’agricoltura avanzata come quella del vino che, ancora una volta, come spesso successo nella storia, si conferma motore cambiamento sociale. O forse, meglio ancora, dell’evoluzione della società.
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