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IL VULCANO ED IL VINO

Tra storia e futuro, Docg e zonazione l’Etna del vino, diamante enoico di Sicilia e d’Italia

La visione del territorio di produttori come Cottanera, Graci, Girolamo Russo, Pietradolce, Donnafugata e Planeta

Oggi l’Etna è uno dei diamanti del vino siciliano ed italiano. Fatto di mille sfaccettature, rappresentate dalle Contrade, vicine ma tutte diverse. Raccontate nel calice da Nerello Mascalese e Carricante, con più di 130 cantine che oggi valorizzano al massimo i 1.300 ettari di vigna nelle zone più vocate (rispetto agli oltre 50.000 ettari di vigneti che ricoprivano il vulcano alla fine dell’Ottocento, dai quali si producevano vini da taglio usati in tutta Europa), espressione di una qualità che nasce dal coraggio di produttori che danno vita ad un viticoltura “super eroica”, con le vigne arrampicate su terrazze e “radure” fatte di boschi di castagni, noci, noccioleti e non solo, che raccontano una biodiversità naturale incredibile, alimentata dalla vitalità del vulcano. Parliamo di un territorio antico e giovane allo stesso tempo, ma che ha le idee chiare per il futuro: lavorare ancora di più sulla qualità, sulla longevità dei vini (anche dei bianchi, capaci di stupire nel tempo), su una zonazione approfondita e precisa, sul passaggio da Doc a Docg, sulla sostenibilità e sull’accoglienza, con un turismo sempre più internazionale e di alto livello proprio grazie al successo della produzione enoica (raccontato anche dai numeri della prima metà del 2022, che vedono crescere l’imbottigliato per tutte le tipologie, bianco, rosso, rosato e spumante), e puntando sulla crescita del valore dei vini, e non sull’aumento della produzione, anche per consolidare il valore, che è in crescita (anche nel collezionismo). E per tutelare l’integrità di un paesaggio e di un territorio che, dagli oltre 3.300 metri della vetta dell’Etna fino al mare, ha tanto da offrire anche livello gastronomico. Rotta che, a WineNews, in viaggio sul Vulcano (il video on line nei prossimi giorni, ndr), hanno tracciato gli stessi produttori, da quelli sempre presenti a quelli arrivati sull’Etna in tempi recenti, come Francesco Cambria (presidente Consorzio Etna Doc) e Mariangela Cambria (Cottanera), Alberto Aiello Graci (Graci), Michele Faro (Pietradolce), Giovanni Russo (Girolamo Russo), Antonio Rallo (Donnafugata) e Alessio Planeta (Planeta).
D’altronde, “isola nell’isola” che è il “continente enoico” siciliano, l’Etna è diverso dagli altri territori del vino di Sicilia, d’Italia e del mondo. Perché sul vulcano attivo più alto d’Europa, e tra i più attivi della Terra, patrimonio Unesco e territorio sulla cresta dell’onda quando si parla di vino, tutto è diverso. La sua situazione pedoclimatica gioca su tre fattori: l’altitudine, l’esposizione e il suolo, che si combinano in infinite variabili. Da Nord-Est verso Sud-Ovest, nei diversi versanti e nelle 133 Contrade la viticoltura dell’Etna è un anfiteatro che va dai 400-500 metri fino a 1.000 metri senza soluzione di continuità. Ogni vigneto ha infatti una sua storia, ed è diverso dal punto di vista climatico, e questo condiziona e sfalsa le fasi fenologiche, dal germogliamento alla maturazione, dando origine a tantissime variabili nell’accumulo di zucchero, e nello sviluppo dell’acidità e degli aromi. Vigneti che sono tra i più vecchi coltivati in Italia, nella tipica forma d’allevamento dell’alberello etneo arrampicato sul vulcano grazie alle nere terrazze di pietra lavica.
Sulle fasi fenologiche incide l’altitudine, con l’escursione termica tra giorno e notte che varia da zona a zona, ed è determinante nel definire un profilo aromatico di qualità. C’è poi l’elemento pedologico che, se a prima vista appare meno importante perché i terreni dell’Etna sono giovani rispetto a quelli di altri territori, essendo il vulcano sviluppatosi solo un milione di anni fa, ad incidervi sono variabili dovute principalmente all’antichità dei fenomeni eruttivi. Poi c’è il discorso varietale, con il vitigno autoctono rosso più diffuso che è il Nerello Mascalese, al quale si aggiunge il Nerello Cappuccio per apportare colore, anche se la tendenza dei vini dell’Etna è quella di fare vini scarichi di colore, sullo stile dei grandi Pinot Nero, Nebbiolo e Sangiovese di Montalcino, essendo il Nerello figlio del Sangiovese e con un profilo antocianico molto vicino. L’altezza mitiga la maturazione e il cambiamento climatico provoca un’accelerazione formidabile nell’invecchiamento e questo fa sì che i vini, prodotti nelle quote più alte, maturino più lentamente e invecchino meglio. Ed accanto ai rossi, rosati e spumanti, per i bianchi vi sono il Carricante e, in minor misura, il Catarratto. Il risultato sono vini nettamente controcorrente, espressione della personalità di ogni singolo vigneto, come in nessun altro territorio del vino italiano. Tutto questo ha portato, dalla fine degli anni Novanta, ad un crescendo di produttività e professionalità, e ad una gran fioritura di cantine e nuove cantine, nuovi vigneti e nuovi vini, ma anche a numerosi riconoscimenti da parte della critica internazionale, grazie agli investimenti delle aziende pioniere, dei produttori storici di Sicilia che qui hanno tenute e vigneti, e all’arrivo di vigneron e imprenditori venuti da fuori, da Angelo Gaja ad Oscar Farinetti, intravedendovi un nuovo “El Dorado” del vino dove un ettaro di vigneto vale fino a 75.000 euro, più che nel resto della Sicilia, per un vino che è già tra i pochi su La Place de Bordeaux, con l’Etna Rosso della storica griffe del Barolo Giovanni Rosso.
Eppure, come tutti i territori, ha dei “padri nobili”, come spiega Antonio Rallo, alla guida di Donnafugata: “penso a Giuseppe Benanti, che ha avuto una passione grandissima per l’Etna ed è stato il primo imprenditore che ha davvero puntato su questo fantastico vulcano, ed a Giuseppe Castiglione (ex Assessore alle Risorse Agricole della Regione Siciliana e Sottosegretario alle Politiche Agricole in più Governi, ndr), che ha aiutato l’Etna ha riportare quelli che chiamavamo, allora, diritti di impianto qui, e ripopolare di vigna queste terrazze. E poi un grandissimo è stato Andrea Franchetti (produttore visionario e guida di Passopisciaro, recentemente scomparso, ndr) che, con tanta energia, ha contagiato tantissimi produttori, anche già affermati in altre zone, e ha dato la spinta per far ridecollare il territorio”. Un territorio “unico al mondo, su un vulcano attivo che fa 60 eruzioni laviche all’anno, un luogo con suoli molto giovani, contemporanei, stratificati su quelli pù antichi di 50.000 anni fa, che geologicamente sono comunque niente, con ogni eruzione esplosiva che porta sabbia, lapilli, dando vita ad un concetto di futuro insito nel terreno che si rinnova continuamente”, aggiunge Alberto Aiello Graci. Che parlando di futuro, dice: “l’Etna ci spinge a concentrarci sul valore, abbiamo lavorato sul concetto di zonazione, sulle Contrade, perchè queste eruzioni hanno creato Contrade uniche a livello geologico e di suoli. Penso che l’attenzione deve essere proprio a valorizzare queste singole vigne, queste Contrade. Al momento ci sono 1.300 ettari e l’Albo dei Vigneti è bloccato. Dobbiamo lavorare, studiare, per conoscere sempre meglio le nostre vigne, cercare dei cru, dei vigneti speciali, vinificarli a parte, fare leva sulla grandezza di questo territorio, non per fare una bottiglia in più, magari una in meno, ma di un grande vino che sappia emozionare. Puntando anche sulla longevità, e se il Nerello Mascalese in questo senso consegna delle certezze, io credo che una carta speciale che possiamo giocare sia sulla longevità dei bianchi con il Carricante, vitigno nobile che da vini capaci di evolversi, emozionare e che possono essere bevuti anche dopo decenni”. Le prospettive enologiche, in effetti, sono vastissime, come spiega Giuseppe Russo, alla guida della Girolamo Russo, uno dei riferimenti qualitativi del vino dell’Etna: “qui si fanno grandi vini, il loro successo è legato al territorio ed ai suoi vitigni, che lo interpretano al meglio, Carricante e Nerello. Noi produttori siamo riusciti a rinnovare la storia che gli uomini che qui hanno lavorato prima di noi ci hanno lasciato. Sono vini nuovi, in qualche modo, che affondano le radici in una tradizione antica, ma allo stesso tempo sono moderni, frutto di una nuova visione di questa zona e di questa viticoltura. E tra tanta diversità, c’è un tratto che lega tutti, o un’idea che tutti stiamo perseguendo, ovvero quella di fare vini eleganti e profondi, di grande bevibilità ma capaci di restituire lo spessore di questa terra”. E per valorizzare ancora di più questo territorio, due sono le cose che servono: la zonazione, con le Contrade già inserite nel Disciplinare da tempo, riunite in Uga o Mga, come sostiene uno dei massimi esperti di viticoltura e del territorio, come il professor Attilio Scienza, e la Docg.
Secondo Alessio Planeta, “il passaggio da Doc a Docg se lo aspettano tutti, e spero che si vada avanti su questo percorso. La zonazione, con le Contrade, in parte è un lavoro che gli agricoltori hanno già fatto sulla loro pelle, ma non c’è dubbio che una regia, una maggiore conoscenza e informazione sulle Contrade stesse sarebbe utile per i consumatori e produttori. Sono due cose importanti per lo sviluppo dell’Etna, da fare in un momento di grande splendore per lo sviluppo della viticoltura del territorio”. Altro aspetto fondamentale, è quello di valorizzare la grande biodiversità del territorio, che non si esprime solo nel vino. Grazie a millenni di attività eruttiva, l’altezza massima del cono vulcanico, infatti, supera i 3.300 metri di altitudine e il Monte Etna, dalla vetta dei crateri ai coni di cenere, dalle colate di lava alle grotte laviche e la depressione della Valle del Bove, è uno dei vulcani più studiati al mondo per l’importanza scientifica che riveste, nella vulcanologia ma anche per la sua biodiversità. Ad abitare la sua una natura possente e distruttiva ma che sa poi essere straripante di fertilità, sono piante endemiche come la Ginestra, l’Astragalo, la Saponaria, la Camomilla, l’Orchidea e lo Zafferano, senza dimenticare il Castagno dei Cento Cavalli, uno degli alberi più grandi e antichi del mondo, e animali rari come il Gatto selvatico, il Toporagno siciliano, il Succiacapre e la Testuggine di Hermann.
E la sostenibilità è un concetto chiave, come spiega Michele Faro, alla guida della griffe Pietradolce: “sostenibilità è una parola spesso abusata, ma che sull’Etna rappresenta qualcosa di importante. L’Etna ha tutto per essere un territorio sostenibile, si coltivano vigne antiche, spesso recuperate dall’abbandono, buona parte sono già coltivate in biologico, ma c’è anche il rispetto del territorio in ogni suo aspetto, con ordine e pulizia. Molti produttori, per esempio, diminuiscono l’uso di plastiche, lavorano sul recupero delle acque, sulla riduzione dell’utilizzo dell’energia elettrica e così via. E ci sono ancora grandi margini i crescita per il territorio”. Un territorio dove si lavora anche sull’accoglienza, e sul tema della wine experience, su cui, secondo un sondaggio Assovini, sta puntando più della metà delle cantine siciliane. Tanto più importante per una meta come l’Etna, ricca di natura e cultura, ma anche di miti e leggende come quella secondo la quale il Mongibello, Fùcina degli Dèi e di Vulcano nel cuore del Mediterraneo, sarebbe il “respiro” infuocato del gigante Encelado, che dopo essersi ribellato agli Dèi, sconfitto da Atena e intrappolato per l’eternità sotto l’Etna, giace disteso sotto la Sicilia, che, dal suo corpo, avrebbe avuto origine.
Come spiega Mariangela Cambria, proprietaria di Cottanera, l’azienda etnea con la più ampia superficie di vigneto impiantato sulle falde del vulcano: “l’Etna è famoso in tutta Europa, il vino è il traino principale, e la diversità che raccontano Contrade, climi e zone rappresenta un viaggio nel viaggio. Ma si deve lavorare sul personale e sulle risorse umane, e sulle lingue, perchè il nostro turista è soprattutto straniero. E, a livello gastronomico, io credo che dobbiamo continuare ad offrire la “cucina di casa”, cioè l’autenticità, che è quello che chi viene qui cerca e si aspetta”. Anche perchè, anche a livello gastronomico, l’Etna ha molto da offrire, oltre al vino: l’Olio d’oliva extravergine Monte Etna, il Ficodindia dell’Etna e il Pecorino Siciliano, tutte Dop, il Ciliegio dell’Etna Igp, dai Presìdi Slow Food come il Pistacchio di Bronte e la Pesca tabacchiera dell’Etna, le Fragole di Maletto, il Miele di Zafferana Etnea i liquori di Santa Venerina, la Salsiccia al ceppo di Linguaglossa, per fare degli esempi, che si traducono in una cucina che guarda tanto al mare che alla montagna, come del resto fanno le vigne.
Intanto, però, l’Etna del vino può guardare al futuro con serenità e forte dei numeri del suo presente, raccontati da Francesco Cambria, presidente del Consorzio Etna Doc. “Nel primo semestre del 2022 abbiamo numeri molt positivi: l’imbottigliato (3,2 milioni di bottiglie, ndr) è cresciuto del 30% sul 2021, e anche superato il 2019, vuol dire che abbiamo superato pandemia. Spicca il balzo dell’Etna Bianco Doc (+37%) a conferma del grande favore che il Carricante, varietà autoctona che ha trovato nel versante est la sua culla di elezione, sta incontrando grazie alle sue doti di freschezza e ricchezza olfattiva. Bene anche l’Etna Rosato Doc (+50,3%), interpretato dal Nerello Mascalese con grande personalità, che certifica la costante crescita di una tipologia cha si sta ritagliando un ruolo sempre più da protagonista nelle preferenze dei consumatori. Anche se il traino, la tipologia più imbottigliata, invece, si conferma come sempre l’Etna Rosso Doc, che, nei primi sei mesi 2022, ha raggiunto quasi 1,5 milioni di bottiglie facendo segnare una crescita del 27% sul 2021. Ma cresce anche la tipologia Spumante - continua Francesco Cambria - che ora prevede la presenza del Nerello Mascalese almeno per l’80% e che, sebbene sia ancora una nicchia, ha margini di crescita davvero interessanti e dai quali ci aspettiamo molto nella seconda metà 2022”.
Numeri che raccontano la salute di un territorio che guarda al mondo, con l’export che vale il 60% del mercato. E proprio sull’internazionalizzazione si concentrano gli sforzi del Consorzio Etna Doc, che, nonostante il successo recente, è la prima Denominazione nata in Sicilia (nel 1968). E sarà una prima volta anche l’Anteprima delle nuove annate negli “Etna Days - I Vini del Vulcano” in settembre che porterà sul vulcano stampa e critici internazionali. “Sarà un racconto che faranno i vini stessi che nel calice racconteranno la grande biodiversità naturale di questo territorio, che è unica, perchè basta una colata lavica che tocca una zona e la rende diversa dall’altra”. Un territorio protagonista di uno sviluppo tumultuoso, l’Etna, e che va tutelato. “Come del resto già è - spiega ancora Francesco Cambria - già con la presidenza del Consorzio di Antonio Benanti abbiamo approvato blocco degli ettari, e si pensa di mantenerlo anche per il futuro, per i prossimi cinque anni, sia per contingentare la produzione, che per tutelare il territorio, che va mantenuto integro con i suoi muri a secco, i suoi boschi, la sua unicità che è tutelata anche dall’Unesco”.
Un territorio, l’Etna, che punta ad entrare tra i miti dell’enologia mondiale. Del resto, se c’è un luogo simbolo della mitologia è proprio questo vulcano, citato dai più grandi poeti e letterati, da Pindaro ad Ovidio, da Esiodo ad Eschilo, da Euripide a Omero, da Virgilio a Petrarca, da Goethe a Dumas, da Verga a Pirandello, come prigione dei venti, dimora dei Ciclopi, come il Tartaro dei morti, rifugio di Re Artù, sfondo della leggenda di Aci e Galatea, e, come caverna di Polifemo incontrato da Ulisse nell’Odissea, ma anche fonte di ispirazione per i maestri del cinema, da Visconti a Pasolini, da Zeffirelli a Rossellini, senza dimenticare Tornatore, a un maestro della fotografia come Vittorio Storaro e per uno dei più grandi cantautori italiani come Franco Battiato che ci ha trasmesso la magia del paesaggio etneo. Che oggi più che mai, deve essere grato ai produttori di vino, come spiega Leonardo Pennisi, che, con la famiglia guida la macelleria con cucina Dai Pennisi, e lo Shalai Resort (con il ristorante stellato Shalai), a Linguaglossa: “dobbiamo dire solo grazie al mondo del vino, il suo successo è stata la svolta per tutto il territorio dell’Etna, soprattutto per strutture come le nostre. Abbiamo aperto Shalai quindici anni fa, eravamo la seconda struttura di riferimento sull’Etna. Prima del successo del vino non c’era niente, oggi ci sono molti più ristoranti e strutture di ospitalità. E tutto questo grazie al lavoro dei produttori e al successo dei vini dell’Etna, che attraggono qui appassionati da tutto il mondo”.

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