L’industria del vino, nel Regno Unito, muove un giro d’affari di 20 miliardi di sterline, tra commercio (11 miliardi) e tasse versate allo Stato (9,5), e coinvolge oltre 280.000 posti di lavori lungo tutta la filiera (dati della The Wine & Spirit Trade Association). Gran parte di questo business è mosso dal vino italiano, secondo fornitore assoluto in valore e primo in quantità del Regno Unito. Un mercato strategico per il Belpaese e non solo, sul quale, però, come logico, iniziano a pesare tutte le incognite di una Brexit dai contorni ancora piuttosto confusi. Secondo i dati dell’Ice di Londra, analizzati da WineNews, nei primi 7 mesi del 2018, l’Italia ha esportato in Uk 145 milioni di chili di vino, prima in assoluto in quantità, ma con un calo nei volumi del 15,2% sullo stesso periodo 2017, mentre l’Australia, seconda nei volumi, è cresciuta dell’8,3% (a 126 milioni di chili).
Nelle quantità, la Francia ha seguito la stessa dinamica del Belpaese, con un calo del 12,3%, a 82 milioni di chili. In valore, invece, sono i transalpini a dominare, con 480 milioni di sterline (+4,4%), seguiti dal Belpaese con 330 milioni di sterline (-1,71%), mentre l’Australia, a quota 138 milioni di sterline, è cresciuta del 12%. Uno scenario, dunque, che nonostante le posizioni di leaedership europee, vede crescere di più il principale fornitore del Nuovo Mondo, tendenza che potrebbe consolidarsi ed acquisire ancora più forza, “se, come nessuno di noi si augura, si arrivasse ad una “Hard Brexit”, ovvero senza particolari accordi tra Ue e Regno Unito, che complicherebbe notevolmente le cose e, facilmente, avvantaggerebbe i Paesi del Nuovo Mondo e del Commonwealth”, sottolina a WineNews il direttore dell’Ice di Londra, Roberto Luongo.
“In ogni caso, è da sottolineare come il vino italiano tenga bene in una congiuntura che, per l’economia britannica, non è brillante - spiega Luongo - con una crescita del Pil intorno all’1,3%, di molto sotto la media. E chiaramente in questo clima di incertezza molti limitano gli acquisti voluttuari, come quelli del vino. E c’è da sottolineare anche che molti produttori di vino italiano, e anche gli importatori, stanno tentando di aumentare i prezzi, cosa che, in questa fase, può essere particolarmente rischiosa”. Considerando anche che una bottiglia di vino che parte da 5 euro dalle cantine italiane, in media, tra spedizione, accise, iva e ricarichi di importatori, distributori e ristorazione, secondo le stime dell’Ice, in media arriva sulla carta del ristorante a 25-26 sterline.
“E questo avviene ora in un regime di libero mercato, che speriamo resti in vigore anche dopo la Brexit tramite accordi con l’Ue o bilaterali, perché altrimenti c’è il rischio che si possano inserire anche tutta una serie di barrire, anche non tariffarie, dall’etichettatura secondo certe regole in poi, che potrebbero complicare ulteriormente le cose”.
In ogni caso, si parla di ipotesi da tenere in considerazione, ma la realtà, sottolinea Luongo, è che comunque il vino italiano è una superpotenza in Uk, anche se con delle differenze tra tipologie.
Il Belpaese che domina in volume e valori complessivi nel settore degli spumanti (dove il Prosecco domina, ndr), con 143 milioni di sterline esportate nei primi 7 mesi del 2018, in crescita sui 134 dello stesso periodo 2017 (ed una quota di mercato del 46%, di poco davanti alla Francia, con 140 milioni di sterline), e 51 milioni di chili, in caldo sui 56 del 2017 (ed una quota di mercato del 70%). Un aumento consistente in valore, dunque, a fronte di calo non leggerissimo in quantità.
Nettamente più in difficoltà, invece, in vini fermi italiani, che hanno fruttato 186 milioni di sterline alle cantine italiane (a fronte dei 201 di primi 7 mesi del 2017) per 94 milioni chili, sui 116 del 2017. E se è ovvio che a dominare siano i vini di Veneto, Toscana e Piemonte, “che sono quelli più conosciuti in Uk, dal Chianti alla Barbera, dal Barolo all’Amaore, al Prosecco, nelle enoteche e nei ristoranti si vedono sempre più vini di tutti le Regioni, in particolare dalla Sardegna, dall’Abruzzo, dalla Sicilia, dalla Puglia e dal Sud in genere, anche grazie all’effetto del turismo inglese che punta sempre di più a quelle Regioni, e al fatto che in molte città stanno aprendo molti negozi dedicati ai prodotti del Sud Italia, e questo apre nuovi spazi”.
Ma tra le novità, da tenere d’occhio, ricorda Luongo, “c’è anche la produzione inglese di vini bianchi e soprattutto di spumanti, che sta crescendo in qualità e quantità, sostenuta anche da un certo spirito nazionalista. Anche per questo tutti ci auguriamo che sia una “Light Brexit”, che non complichi troppo le cose. L’Italia nel complesso, oggi, esporta circa 22 miliardi di sterline di merci, e noi stimiamo l’impatto della Brexit, nell’ipotesi peggiore, in 5 miliardi di sterline, di cui una buona parte sarebbero proprio a discapito dei prodotti enogastronomici e agroalimentari”.
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