Il suo nome scientifico è “Capparis spinosa”: se ne conoscono sei specie, presenti in tutto il Mediterraneo. Le prime notizie sui capperi si apprendono grazie alla Bibbia e poi alla letteratura greca, e hanno a che fare con le loro proprietà medicinali e cosmetiche. Anche a Selargius, in Sardegna, anticamente, i capperi erano noti per le proprietà medicinali. Solo più tardi, nella seconda metà dell’Ottocento, furono introdotti nella gastronomia: adesso il cappero di Selargius diventa un Presidio Slow Food.
Quella di Selargius è una pianta di capperi molto particolare: “a differenza della gran parte delle altre piante di cappero conosciute che sono striscianti, la nostra è un alberello, cioè ha un portamento eretto. Negli esemplari di ottanta o cento anni raggiunge il metro e mezzo d’altezza” spiega Marco Maxia, produttore di capperi e referente dei produttori del Presidio Slow Food del cappero di Selargius. L’altra particolarità del cappero di Selargius riguarda i boccioli, cioè i capperi veri e propri: sono più piccoli, più “vuoti” e hanno quindi un peso specifico notevolmente inferiore agli altri, di circa un terzo. “Negli anni Ottanta - continua Maxia - quando sul mercato cominciarono ad affacciarsi i capperi nordafricani più grandi, questa caratteristica venne considerata un difetto: per raccogliere un chilo di capperi nostrani ci volevano quasi 2.000 boccioli, rispetto agli 800 di altre varietà. Così le piante vennero abbandonate. Oltretutto, la raccolta del cappero è faticosa: va fatta il mattino presto o a sera, per proteggersi dai raggi del sole, e a volte addirittura al chiaro di luna, approfittando del fatto che la notte i capperi sono più sodi”.
Il fatto che siano pressoché vuoti ne rende più immediato l’utilizzo in cucina: il risciacquo dal sale utilizzato per la conservazione è rapido, non serve un lungo ammollo e i capperi ne guadagnano in sapore. Oggi Marco Maxia ha circa 600 piante, tutte di recupero e sparpagliate in micro appezzamenti, molti dei quali presi in gestione o in affitto: “il cappero è orgoglioso e testardo, è sopravvissuto a venti o trent’anni di abbandono. È lui che ha trovato noi, non viceversa” afferma. Il nuovo Presidio Slow Food conta sull’impegno di un altro produttore, Enrico Dentoni; con il tempo, l’auspicio è che altri proprietari di piante ricomincino a prendersi cura dei capperi di famiglia e aderiscano al Presidio.
D’altronde, conclude Fabrizio Mascia di Slow Food Cagliari, referente Slow Food del Presidio, “un tempo avere qualche cespuglio di capperi, nel vigneto o tra gli ulivi, era la normalità: se all’inizio dell’Ottocento della pianta si conoscevano gli usi medicamentosi, ben presto si sono scoperte anche le potenzialità in cucina. Guai a perderle un’altra volta! Come Slow Food Cagliari ci siamo attivati per avviare il Presidio, convinti che sia importante adoperarsi in prima persona per conservare la biodiversità del nostro territorio. Aiutare i coltivatori di cappero di Selargius vuol dire conservare una cultura, la bellezza di un paesaggio agrario unico, supportare un’agricoltura sostenibile anche contro tutte le speculazioni sul territorio agricolo”.
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