Far crescere il valore del vino italiano: un mantra, ormai, una missione necessaria, difficile ma non impossibile, ma da portare a termine nel più breve tempo possibile, per far crescere i territori, per creare valore, per avere risorse da investire nella crescita della aziende, della promozione, della qualità. Ma serve, oltre al tempo, il coraggio di investire in vitigni e territori nuovi per il mercato - e non solo su quelli già affermati e di successo - di cui l’Italia è particolarmente ricca, superare l’atavica incapacità di muoversi uniti, come sistema, ma anche recuperare l’orgoglio dell’essere italiani nel senso migliore, ovvero artigiani votati al buono e al bello. È il messaggio che arriva dal convegno della “Milano Wine Week” (da oggi al 13 ottobre), dove, moderati dal caporedattore del “Corriere delle Sera” Luciano Ferrario, si sono confrontati produttori e consorzi di primo piano del panorama italiano. Partendo dai dati (fonte Nomisma Wine Monitor, ndr), invero impietosi, guardando al mercato Usa, dove l’Italia, peraltro, è leader in volume ed in quantità: i vini rossi francesi vanno in Usa ad un prezzo medio di 6 euro al litro, gli italiani a 4,6. Sui Dop, la forbice si allarga ancora: 9,1 euro al litro per i francesi, 5,5 per l’Italia. Sulle bollicine poi, non c’è partita: 17 euro al litro per gli spumanti di Francia, meno di 4 per quelli italiani. “spesso il settore vinicolo non è stato supportato come merita per quello che può rappresentare - ha sottolineato il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - ed iniziative come la Milano Wine Week, in una città di forte proiezione internazionale, può essere importante. Noi come Coldiretti abbiamo messo in piedi proprio “Filiera Italia” per lavorare su questo aspetto della crescita del valore, coinvolgendo Ice e Cassa Depositi e prestiti, per sostenere davvero gli investimenti nei mercati emergenti, ma anche quelli consolidati, che non vanno mai dimenticati”. Certo, far crescere il valore del vino, ovvero il prezzo riconosciuto, non è questione da poco.
“Non sottovalutiamo il tempo, considerando che i francesi hanno qualche secolo di vantaggio - ha detto Riccardo Pasqua, alla guida del gruppo veneto - ma serve anche andare tutti in una direzione, spiegare la qualità del nostro vino, che ha tutto per non essere secondo a nessuno, facendo educazione al trade e al consumatore, parlando anche ai giovani,e di questo Milano Wine Week è un esempio. E sempre più fondamentale è anche mettere in sinergia il vino ad altre realtà del lusso e dell’alto di gamma”.
“Manca un collante, un’egida comune - ha sottolineato Ettore Nicoletto, ad Santa Margherita Gruppo Vinicolo- che faccia parlare al vino un solo linguaggio, e che per esempio ne sottolinei la grande versatilità gastronomica e di abbinamento, che interessa molto i giovani consumatori. Altro aspetto poco ricordato, poi, è che noi italiani abbiamo la tendenza ad insistere su quello che va particolarmente bene, come Prosecco e Pinot grigio, per esempio, e tutti quelli che possono si concentrano sul successo di quello, affollando la categoria, innescando una guerra dei prezzi, facendo crescere le private label, e pian piano tirando tutto in basso. L’Italia deve avere coraggio: è il Paese degli autoctoni, è il paese della bellezza, dobbiamo avere il coraggio di scovare nuovi vitigni di successo, penso al Vermentino ed alla Lugana, anche se sono di parte, o al Primitivo di Puglia, per esempio. Serve il coraggio di costruire cose nuove, e anche di investirci soldi”.
“Dobbiamo fare “story telling” - ha aggiunto Simonpietro Felice, alla guida della Cantine Leonardo Da Vinci - sul vitigno, sul territorio, sul marchio e su tutto quello che ci ruota intorno. Leonardo Da Vinci è un esempio, racconta la capacità italiana di lavorare sul vino già 500 anni fa, che non viene raccontata”.
“Ma serve che i produttori facciano squadra - ha aggiunto Alberto Serena, al vertice di Montelvini - e poi serve coerenza sul posizionamento di prezzo, perchè farsi la guerra con i prezzi porta solo a depauperare tutto, a vantaggio dei private label. È un rischio che esiste, anche nel mondo Prosecco, e rischiamo di posizionarlo sempre più verso il basso”.
“Se si chiedesse ad un giovane come fare storytelling, magare punterebbe sull’innovazione, soprattutto negli strumenti, più che del messaggio - ha sottolineato Cristina Ziliani, alla guida della griffe di Franciacorta Berlucchi - perchè bisogna comunque raccontare il territori, i valori, aprire le aziende, aprire alla gastronomia, alle tante cucine locali”.
Altro aspetto su cui si deve puntare, è la sinergia con altre eccellenze del made in Italy, “dal design al food, alla nautica - ha ricordato Matteo Lunelli, alla guida del gruppo Ferrari-Fratelli Lunelli - è fondamentale. Servono coraggio e orgoglio, per puntare ad un posizionamento di prezzo diverso, più alto, che serve poi ad investire. Piuttosto che svendere si deve comunicare, raccontare, e costruire i brand, perchè le Doc sono fondamentali, ma servono marche che le promuovano e spostino la competizione nella qualità e nel prezzo”.
Per cresce nei valori, ovviamente, si deve investire nei mercati, “che sono tutti importanti - ha ricordato Roberta Corrà, direttore generale del Gruppo Italiano Vini (Giv) - perchè gli emergenti sono un potenziale tutto da scoprire, ma richiedono un lavoro lungo, mentre quelli maturi sono quelli che ci sostengono, e non si possono tralasciare. Quello che manca oggi al vino italiano è la capacità di fare sinergia, con la moda, con la cucina, con i territori, oggi dobbiamo parlare del vino a tutti, invece spesso ci parliamo tra di noi”.
Ed un’altra grande mancanza, secondo Vittorio Moretti, alla guida del Gruppo Terra Moretti, è quella della consapevolezza della propria forza. “Siamo inconsapevoli di quello che siamo. Siamo italiani, viviamo nel posto più bello del mondo, arte e cultura ci mettono al primo posto, ma spesso ci si appiattisce sulle quantità. Noi siamo gli artigiani più bravi al mondo, e artigianalità vuol dire qualcosa che è fatto con le mani e la passione, vuol dire essere consci di avere un prodotto importante tra le mani. Abbiamo dato troppo spago ai commercianti, che hanno fatto dei disastri”.
E sulla necessità di fare sistema, di essere coesi, ma anche di puntare sulla cultura del vino italiano, ma anche sulla sua versatilità, concordano anche i vertici di importanti Consorzi d’Italia, da quello del Franciacorta, guidato da Silvano Brescianini, a quello del Prosecco Doc, diretto da Luca Giavi, da quello del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, presieduto da Innocente Nardi, a quello delle Doc del Friuli Venezia Giulia, guidato da Adriano Gigante.
Un modo di vedere le cose che, a quanto pare, accomuna tutto il vino italiano. E, dunque, non resta che passare dalle parole ai fatti.
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