Nel mercato Usa - che sul fronte delle importazioni del vino italiano continua a funzionare, nonostante tutto (+7,3% nei primi 7 mesi 2024, sullo stesso periodo 2023, per 1,12 miliardi di euro, secondo i dati Istat, analizzati da WineNews) - come in tutto il resto del mondo, con poche differenze, i consumi complessivi sono in calo, soprattutto a danno dei vini rossi. Ma, negli States, stando almeno all’analisi dell’Osservatorio Unione Italiana Vini e Vinitaly (sui dati SipSource, ad Agosto 2024) “c’è un segmento in controtendenza nel declino dei vini rossi: sono i luxury made in Italy, etichette rossiste dai 50 dollari in su (prezzo alla distribuzione), che, tra gennaio e agosto 2024, hanno messo a segno una crescita delle vendite a valore del 3% a fronte di una performance generale dei prodotti luxury a -7%, con i francesi a -16% e gli americani in linea con la media di mercato”. A dirlo, a fine dell’evento istituzionale Vinitaly.Usa (Chicago, 20-21 ottobre), è proprio l’analisi dell’Osservatorio Vinitaly & Unione Italiana Vini (Uiv). “Secondo il monitoraggio delle vendite effettive di vino riscontrate dai distributori statunitensi, si tratta di un posizionamento sorprendente, quello dei rossi di altissima gamma italiani, che detengono una nano-quota del 2% sul volume delle vendite di rossi tricolore, ma che, a valore, rappresentano il 14% dei rossi italiani negli Usa. Questa fetta di mercato sale al 23% se si includono i rossi super-premium (tra i 24 e i 50 dollari), a fronte di un solo 6% delle vendite a volume”, spiega l'Osservatorio. “L’Italia - ha detto, da Chicago, il presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi - può contare, da una parte, sulla forza di brand territoriali ormai riconosciuti come iconici dagli appassionati americani; dall’altra, sull’esperienza del turista americano in Italia, sempre più fattore di affezione una volta rientrati a casa”.
Non a caso, a fare da protagoniste (quasi assolute) della nicchia luxury sono le etichette toscane, responsabili del 45,5% del mercato statunitense dei rossi made in Italy di alta gamma, cresciute del 13% tra gennaio e agosto 2024. A tirare la volata nelle preferenze di un consumatore tipo particolarmente conservativo e affezionato a proposte e territori già conosciuti, il Brunello di Montalcino, prima denominazione con una fetta di mercato pari al 32% dei rossi di lusso. Seguono a distanza nella classifica regionale dalla galassia Bolgheri (11,5%) e Chianti Classico (2%). Per i nobili piemontesi si guadagna il secondo posto assoluto il Barolo (16%), mentre il Barbaresco (4%) è fuori dal podio. In forte difficoltà, invece, secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, aree enologiche che fin qui hanno trainato il segmento lusso, come Bordeaux (-37%), Borgogna (-12%), Napa Valley (-24%)”.
Ma ci sono anche nuovi trend che, dagli Usa, stanno abbracciando consumatori di tutto il mondo, come sottolineato, sempre da Chicago, da Marzia Varvaglione, presidente Agivi (Associazione dei giovani imprenditori vitivinicoli italiani by Unione Italiana Vini): “dai ready to drink, ai low e no-alcohol, è importante non avere pregiudizi, non dobbiamo avere paura del nuovo che avanza. Come produttori italiani dobbiamo comprendere i fenomeni sottostanti e, di conseguenza, iniziare a comunicare il vino in modo più inclusivo. Il nostro ruolo, come imprenditori, è quello di capire quali sono le nuove opportunità che il mercato presenta, in particolare quello statunitense. Parlare di giovani - ha concluso - è una questione di responsabilità: saranno la prossima generazione del vino, giovani cosmopoliti attenti alla qualità nel piatto e nel bicchiere”.
Riflessioni, tra le altre (che abbiamo riportato qui), che arrivano a chiusura di un debutto americano per Veronafiere, che ha soddisfatto le aspettative di Fiera Verona, che spiega come “più di 1.500 operatori professionali - buyer, importatori, distributori, canale horeca - in due giorni hanno incontrato la proposta di 1.650 etichette di oltre 230 cantine e sette regioni (Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Sardegna, Umbria, Veneto) e preso parte a 30 eventi tra masterclass, degustazioni e incontri di approfondimento del mercato. Numeri che Veronafiere ha realizzato in collaborazione con Fiere Italiane e Ita-Italian Trade Agency, “dedicata esclusivamente all’incontro tra domanda internazionale e offerta di prodotti italiani che rappresentano un terzo delle importazioni complessive di vino degli Usa (1,5 miliardi di dollari su 4,5 totali)”.
“Abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati per questo primo passo negli Usa: numero e qualità delle cantine partecipanti; promozione coordinata e unitaria fra regioni, Camere di Commercio, Ice, Consolati, Ambasciata con i Ministeri di Affari Esteri e Agricoltura - che hanno lavorato con noi nella stessa direzione per portare operatori professionali qualificati nell’interesse esclusivo delle aziende - sottolinea il presidente Veronafiere, Federico Bricolo - e a questi, si aggiunge il non meno importante obiettivo di aver selezionato nuovi buyer e importatori da invitare a Vinitaly 2025”. “Con Vinitaly.Usa completiamo la geografia dei nostri eventi fieristici dedicati al vino e ora siamo presenti in Nord America, oltre che in Asia, Balcani e Sud America - evidenzia Maurizio Danese, ad Veronafiere - a questi, si aggiungono in media ogni anno 15 tappe tra roadshow e preview in mercati strategici che ricomprendono altre città degli Usa, Giappone, Corea del Sud, Cina, Nord e Centro Europa con il duplice obiettivo di promuovere il vino italiano e selezionare operatori internazionali qualificati da ospitare a Vinitaly: tutte le strade portano a Verona”. Per Adolfo Rebughini, dg Veronafiere, “abbiamo scelto Chicago perché è un crocevia di molti scambi commerciali degli Usa che sono un mercato complesso per le diverse regole sulle importazioni. Il riscontro è andato oltre le aspettative. In un mercato che vive dinamiche molto particolari, in cui volgiamo continuare ad essere per sostenere le imprese italiane, questo risultato ci dà ottimismo per l’edizione 2025”.
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