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VARESE SI RILANCIA COME "TERRA DEL VINO" ... NELLA STORIA, I SUOI VINI FURONO APPREZZATI DAL CARDINALE BORROMEO E DAGLI SCRITTORI ALESSANDRO MANZONI E CARLO PORTA

"C'era una volta una terra da vino chiamata Varesotto. Una terra fertile e verde, coltivata a filari ordinati in cui si venerava il dio Bacco. L'uva aveva nomi curiosi come Vespolina e Ughetta, Corbera, Pignolo, Moretto, Schiava e Chiavennasca bianca. Le aziende intrecciavano affari, si costituivano cooperative per favorire le vendite, le banche agricole alimentavano il credito. Nei giorni della vendemmia le corti si riempivano di gente e di carri, nelle cantine si dava mano al torchio e dai tini profumati di mosto zampillavano vini gustosi e saporiti".

Inizia così il libro "Quando a Varese c’era il vino" (l'autore è Sergio Redaelli, Editore Macchione) che sfata un radicato luogo comune, e cioè che la provincia di Varese, in tema di vino, sia sempre stata "la Cenerentola d’Italia".

La realtà è invece diversa: nel '500 la sola Busto Arsizio, oggi centro industriale, contava 4000 pertiche di terreno coltivato a vite e degli ottimi vini prealpini parlava, più o meno negli stessi anni, lo storico Paolo Morigia (considerato l’erede del cronista meneghino Bonvesin della Riva). Nel ‘600 la vitivinicoltura rappresentava i 4/5 della produzione agricola del Varesotto e l’80% del reddito ed i carri carichi di uve varesine prendevano la strada dei mercati di Milano e della Svizzera. Ancora: nel '700, il conteggio dei filari di vite rappresentava gran parte del lavoro dei funzionari del catasto teresiano e nell'Ottocento, Carlo Porta declamava in dialetto la bontà dei vini di Tradate e Varese. Persino il cardinale Carlo Borromeo degustava volentieri il vino delle Prealpi: se lo faceva mandare addirittura a Roma, in botte, dal Castello di Frascarolo, mentre il grande scrittore Alessandro Manzoni lo gustava in casa dell’amico prelato Luigi Tosi, a Busto Arsizio.

Oggi molto è cambiato. La produzione d'uva da vino, nella provincia prealpina, è ridotta - dati Istat 1998 alla mano -3496 quintali su una superficie coltivata a vite di non più di 62 ettari. Ma un rilancio è possibile: il vicinissimo Canton Ticino, con analoghe condizioni pedoclimatiche, ha sviluppato, in questi ultimi decenni, la produzione di Merlot. "Il rilancio dei vini varesini è una prospettiva non facile, dati i vincioli al reimpianto dei vigneti imposti dall'Unione Europea – osserva nella prefazione del libro di Redaelli il giornalista enologo Alberto Zaccone – ma non impossibile”.

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