Come sempre è impossibile dare giudizi definitivi su una vendemmia appena conclusa. Certo è che dal punto di vista quantitativo ci sono confortanti conferme che la 2018 è stata una raccolta abbondante nella maggior parte dei casi. Non solo perché ha, evidentemente, compensato la penuria di uva verificatasi nel 2017 per una specie di incrocio pazzesco di troppe criticità climatiche, ma anche perché, in alcuni Regioni, ha riportato l’indice quantitativo sui livelli medi delle ultime cinque vendemmie. Dal punto di vista qualitativo, ancora prematuro formulare ipotesi definitive, ribadiamo, ma, anche in questo caso, le prime impressioni sono colorate da un prudente ottimismo.
La vendemmia 2018, in generale, potrebbe evocare qualcosa di molto vicino a ciò che accadeva negli anni ‘90, e questo in quasi tutto lo Stivale. O, per venire ad anni più recenti, a quello che è successo nel 2010 e, in parte, nel 2013 e nel 2016. Insomma, una vendemmia che potrebbe diventare grande e/o grandissima ma solo per coloro che sono davvero del mestiere.
Ormai, siamo abituati a pensare grandi vendemmie solo quelle “quantitative”, contraddistinte da temperature elevate e scarsa presenza di malattie della vite, cioè proprio quelle che non possono dare aromi complessi, strutture articolate e profondità acidica ai vini, in sostanza limitando la loro longevità e l’espressione più centrata di un territorio e dei suoi vitigni.
Di più, queste sono le vendemmie che riportano alla mente una vecchia concezione enologica, tutta orientata all’ottenimento del massimo grado alcolico e della massima quantità del raccolto, vendemmie, a ben guardare, più in sintonia con la frutticoltura che con la viti-enologia.
Una gigantesca contraddizione rispetto a quanto invece il “nuovo” gusto (che poi è soltanto il ritorno ad apprezzare elementi ben presenti nei vini di 40 anni fa, e si potrebbero fare molti esempi) sta, giustamente, recuperando, focalizzandosi sui vini e non invece sulle loro espressioni caricaturali.
Siamo anche abituati a pensare che con un andamento metereologico come quello di quest’anno i vigneti condotti a biologico siano stati necessariamente danneggiati. Certo, restano quelli più a rischio, ma i passi in avanti della scienza anche in questo particolare settore stanno consentendo di portare in cantina una materia prima abbondante e di prima categoria. Tutto, nel mondo del vino, è in evoluzione e nulla resta fermo alla superficiale “vulgata”.
La questione vera è, come sempre, un’altra e cioè quella dell’abilità nel fronteggiare le criticità, sia nei vigneti a biologico che in quelli coltivati in modo convenzionale. In quest’annata, forse più che in altra, chi ha vinto la partita nel vigneto, probabilmente vincerà anche il campionato. E qui, infatti, che risiede il vero segreto dei grandi vini, dove gli stessi terroir sono una sfida e non necessariamente una “benedizione”. In Italia, invece, ci piace ancora compiacersi della quantità di uva che produciamo, meglio di Francia e Spagna, anche nel 2018, ma questo ben poco ha a che vedere con quello che poi andrà in bottiglia e con la sua qualità. Ed il sistema vino tricolore pare non sia ancora maturo per comprenderlo.
Detto questo, come è stata la raccolta nel 2018? Potrebbe essere una bella sorpresa, perché le condizioni metereologiche hanno da un lato favorito le malattie della vite, ma dall’altro hanno messo i vigneti in condizione di produrre una materia prima dalle grandi caratteristiche, con maturazioni equilibrate, notevole spessore aromatico, strutture interessanti e buone acidità. Insomma, ci potrebbe stare anche la grande annata (con buona approssimazione la buona annata), perché, come sempre, questa sta nel labile confine tra il “disastro” e la “perfezione”. Stando però con i piedi ben piantati a terra: di possibilità stiamo ancora parlando perché i giudizi definitivi sono, come al solito, riservati a quello che troveremo nel bicchiere, tra qualche mese.
Dal punto di vista quantitativo, le “bizze” climatiche e le conseguenti malattie della vite, che pure ci sono state, insieme alla reazione delle piante, ancora come “intorpidite” dopo un’annata costellata da troppe sofferenze come la 2017, non hanno dato un esito quantitativo clamoroso, ma certamente hanno rimesso in sesto le cantine del Belpaese, riconducendo in media o quasi il Vigneto Italia, dopo un “annus” davvero “horribilis” da questo punto di vista.
Ecco allora alcuni pareri raccolti tra i migliori produttori del Belpaese.
Dal cuore del Prosecco Docg, parla Primo Franco della cantina Nino Franco, una delle griffe del territorio, che sottolinea il fatto che la vendemmia 2018 “è stata abbondante, riportando i prezzi delle uve a livelli più accettabili. Da parte nostra - continua - abbiamo dovuto fare i conti con fenomeni di ingrossamento degli acini, ma i vini, stando agli ultimi assaggi, sono buoni, marcano l’annata con toni tendenzialmente caldi ma hanno anche freschezza e sapore. Una vendemmia direi “nevrastenica” nel senso che abbiamo raccolto con un grande caldo all’esterno e abbiamo dovuto usare tutta la nostra tecnologia del freddo per ristabilire degli equilibri. Direi tuttavia che una vendemmia che ci è piaciuta molto - conclude Franco - e siamo molto soddisfatti”.
“Una vendemmia generosa - osserva Silvano Brescianini, direttore generale della franciacortina Barone Pizzini - ce ne era un bel bisogno dopo quello che abbiamo passato nel 2017. I dati parlano di un +15% sulla media delle ultime annate. I dati analitici dei vini sono ideali per adesso, ma per giudicare definitivamente sulla complessità dei vini è ancora un po’ presto. Siamo contenti”.
Ancora in tema di bollicine, e precisamente dal Trentino, arriva il commento di Paolo Endrici della cantina Endrizzi che osserva: “dal punto di vista regionale la vendemmia 2018 ha quasi toccato per quantità il record stabilito nel 2013. La qualità sembra ottima, profumi, strutture, gradazioni mostrano un eccellente bilanciamento, per cui - continua Endrici - una vendemmia “benedetta” rispetto alla “maledetta” 2017. Abbiamo cominciato a raccogliere le basi spumante il 22 agosto con tempi di vendemmia regolari, conservando buonissime acidità. D’altra parte, le precipitazioni sono state presenti con continuità e hanno placato il caldo più intenso, garantendo freschezza e aromi anche per le altre uve”.
Passando ai rossi più importanti del Nord, Franco Allegrini, alla guida di uno dei nomi più importanti del territorio veronese, Allegrini, cantina con sede a Fumane nel centro della Valpolicella, descrive la 2018 come “una vendemmia positiva, con condizioni climatiche ideali e quantitativi di buon livello, in linea con la media aziendale. Una raccolta che ha favorito le uve da appassimento ma che ancora ha bisogno di tempo per essere giudicata definitivamente”.
Ancora in Veneto, per verificare quello che è successo nel Soave, “un’annata produttiva senz’altro - spiega Andrea Lonardi, agronomo e direttore della produzione del gruppo Bertani Domains, tra le firme più prestigiose del vino italiano - che ci sta consegnando vini tendenzialmente verticali ma con un pizzico di acidità in meno di quanto ci aspettassimo. Saranno bianchi piacevoli, immediati, forse non così adatti all’invecchiamento. Stiamo parlando di un’annata molto particolare dal punto di vista climatico, che ci ha riportato a tempi di raccolta più tardivi, a cui non eravamo più abituati ed evidenziando differenze notevoli tra i vigneti di pianura e quelli di collina. Una buona vendemmia, ma probabilmente non eccezionale dove, per tornare alla Valpolicella, le varietà minori come la Rondinella e il Corvinone, sono andate molto bene, mentre la Corvina ha fatto più fatica. Anche dai rossi, benché ancora presto, ci aspettiamo dei buoni vini ma non dei fuoriclasse - conclude Lonardi - esili, con grandi aromi ma un po’ in debito di quello scheletro strutturale per affrontare grandi invecchiamenti”.
Nel Friuli Venezia Giulia, di solito una delle Regioni più piovose d’Italia, quest’anno le precipitazioni più violente, che pure hanno colpito il Nord, non sono arrivate. “Un’annata calda la 2018 - racconta Gianni Venica, alla guida con Ornella Venica di una delle cantine di riferimento del territorio, Venica & Venica, al centro del Collio friulano - contrastata in parte dalle piogge agostane che hanno portato equilibrio nei vigneti. Poi le operazioni di raccolta sono state regolari con giornate di sole a confermare una buona annata. Quantitativamente si tratta di una vendemmia abbondante, ma non così abbondante, almeno da noi sul Collio, certo molto meglio di quanto è successo nel 2017, riportandoci in media. Siamo contenti”.
Dalle Langhe parla Pio Boffa, patron della storica cantina Pio Cesare, dimostrandosi molto soddisfatto: “una vendemmia, la 2018, qualitativa con vini che finalmente stanno acquisendo una cifra di altri tempi: freschi, eleganti e pronti alla sfida del tempo. Le quantità sono state, evidentemente, superiori a quelle dell’“impossibile” 2017 ma non così clamorosamente. È chiaro che i vigneti che hanno sofferto maggiormente l’anno passato, non potevano reagire in così poco tempo”.
Dalla Toscana le opinioni provenienti da un “trittico” d’eccezione: Montalcino, Chianti Classico e Bolgheri. Per il primo territorio parla Emilia Nardi, alla guida di una delle chicche del Brunello, la Tenute Silvio Nardi, affermando che “sono molto contenta, la 2018 è stata una vendemmia di qualità e di quantità. Iniziata a metà settembre e finita a metà ottobre con un incremento quantitativo del 40% sul 2017, riallineandoci così sulle medie degli anni precedenti. I primi vini hanno bei colori, buone strutture e freschezza acida interessante”.
Dal Chianti Classico Renzo Cotarella, direttore generale di Antinori, uno dei nomi più importanti del vino italiano a livello mondiale, sottolinea che la 2018 è stata una raccolta quantitativamente superiore a quella “del 2017 ma non abbondante. Non credo che sia la vendemmia del secolo, ma certamente una buona vendemmia. Ricorda per certi aspetti la 2006 e, in parte minoritaria la 2004. Una vendemmia lunga e piuttosto impegnativa”.
Infine, da Bolgheri Carlo Paoli, direttore della Tenuta San Guido, “culla del Sassicaia”, parla di una “vendemmia particolare, con andamento climatico birichino, che però ci ha portato in cantina mosti molto meno alcolici di quelli del 2017 e dai fruttati bellissimi. Stranamente, abbiamo iniziato la raccolta ad inizio settembre con il Cabernet Franc, e la quantità è stata superiore evidentemente a quella dell’anno scorso ma di un 15% in meno della media. Le fermentazioni sono state regolari con macerazioni un po’ più lunghe. Mi ricorda il 2008 o il 2006, diversissima dalla 2016 e dalla 2015. Sono soddisfatto”.
Dal Centro Italia, Marco Caprai, patron dell’azienda che ha rilanciato il Sagrantino nel mondo, descrive la 2018 come “una vendemmia generosa, evidentemente, molto superiore alla 2017 e quindi con la possibilità di scegliere adeguatamente le partite di uva migliori, che sono molte. La quantità è stata addirittura superiore alla media, con una reazione fisiologica delle viti molto importante alle sofferenze dello scorso anno. Una raccolta che è stata anche molto regolare con i vigneti in buon equilibrio. Mi pare, di intravedere analogie con annate come la 1993 e la 2010”.
Nelle Marche situazione tendenzialmente positiva è stata “una vendemmia ricca al di sopra della media - spiega Michele Bernetti della Umani Ronchi, punto di riferimento dell’enologia regionale - e siamo soddisfatti. I Verdicchio sono andati molto bene, i primi assaggi ci confermano vini bilanciati, profumati e di bella freschezza, una bella annata, insomma. Per i rossi, anche se è ancora molto presto per giudicare, la 2018 è stata un’annata buona forse con un piccolo debito in concentrazione, compensato però da un carattere più nervoso e una cifra più elegante”.
Spostandosi più a Sud e precisamente in Campania, Piero Mastroberardino a capo dell’omonima e storica azienda di famiglia, sottolinea che “abbiamo finito di raccogliere da pochissimo i rossi, ci sembra una buona annata, molto “irpina”, con clima fresco a sottolineare la tardività della zona, visto che i bianchi li abbiamo finiti di raccogliere il 20 ottobre. Uve sane, per fortuna, e vini adatti all’invecchiamento. Siamo soddisfatti e fiduciosi”.
Dalle falde dell’Etna Francesco Cambria della cantina Cottanera, una delle griffe del territorio siciliano, racconta di “un’annata regolare, classica con primavera piovosa ed estate tendenzialmente mite. I bianchi sono molto promettenti, mentre l’assaggio dei primi Nerello, ci consegnano vini eleganti e meno concentrati, anche perché la loro raccolta è stata disturbata da alcune piogge, che hanno influenzato negativamente anche sulle quantità. Quest’ultime certamente migliori del 2017, ma non in modo così eclatante”.
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