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VINITALY 2008 - I PUNTI DI FORZA DEL VINO ITALIANO? AUTOCTONI, CAPACITA’ INDIVIDUALE DI COMPETERE DELLE IMPRESE, CAPACITA’ DI ADATTARSI A TUTTE LE CULTURE DEL MONDO … NEL 2007 BOOM DEL BUSINESS DEL VINO

Il 2007 è stato per il mondo del vino italiano un anno da record: l’export ha raggiunto i 3,4 miliardi di euro di valore, il prezzo medio del vino italiano è salito come mai prima (+ 7%), dando respiro alle aziende, dopo alcune stagioni non felici; il vino italiano cresce su tutti i mercati, rendendosi indipendente dalle varie fasi congiunturali anche non favorevoli e dimostra una capacità superiore di dialogare con le culture altre; la ricchezza dei vitigni di antica coltivazione favorisce il successo anche delle piccole e medie aziende, che con entusiasmo provano a dare l’assalto ai mercati di tutto il mondo; il super-euro preoccupa ma non incide più di tanto; un anno il 2007 di pieno successo, che colloca al vertice della nostra produzione i vini da tavola, che scalzano dal loro ruolo guida i vini a denominazione. Sono gli atout del convegno di Vinitaly “Vino, il mercato che verrà”.

Ma accanto a questi risultati assolutamente positivi, bisogna tenere presente anche le debolezze del comparto. Stefano Cordero di Montezemolo, professore di economia aziendale dell’Università di Firenze, spiega “le aziende italiane del vino sono poco concentrate e c’è un insufficiente e generalizzato rapporto tra gli investimenti e i ricavi”. Emilio Pedron (amministratore delegato Gruppo Italiano Vini) commenta che non bisogna esagerare con il trionfalismo: “anche se i numeri vanno molto bene bisogna contenere i costi di produzione e l’assetto aziendale di molte delle nostre aziende deve essere profondamente mutato. Ancora non sappiamo cosa succede ai nostri vini quando raggiungono molti dei mercati emergenti e continua a mancare ancora una massa critica capace di contrastare le forti spinte della concorrenza”.

Decisamente più ottimistico il commento di Angelo Gaja, secondo il quale “il nanismo delle nostre imprese non è da buttare, perché è riuscito ad imporre il nostro vino su tutti i mercati. 33.000 aziende, vale a dire un patrimonio umano di grandissimo spessore, sono la vera ricchezza del mondo del vino italiano altro che vitigni autoctoni e territori”.

Andrea Sartori, a capo dell’Unione Italiana Vini, è più prudente: “la piccola dimensione aziendale di molte imprese del vino ne limita la competitività. Bisogna pensare a qualche contromisura come la creazione di entità consortili che favoriscano il consolidamento di una massa critica più incisiva”.

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