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VINITALY 2013: PICCOLO NON È PIÙ BELLO. LE CANTINE ITALIANE DEVONO AUMENTARE LA LORO MASSA CRITICA. COME? ANCHE CON STRUMENTI COME I CONTRATTI DI RETE. SE N’È DISCUSSO AL CONVEGNO “VINO ITALIANO: IDEE PER L’AGGREGAZIONE BY INFORMATORE AGRARIO

Piccolo non è più bello, specialmente quando si parla di imprese vitivinicole del Bel Paese. Le loro ridotte dimensioni, confrontate con quelle dei competitors internazionali, restano una criticità ancora importante per tutto il sistema vino italiano, soprattutto in un momento in cui i consumi nazionali stagnano e i mercati esteri rappresentano l’unica chance per aumentare i volumi di vendita.

Parte da qui la riflessione del convegno de “L’Informatore Agrario” “Vino italiano: idee per l’aggregazione”, oggi di scena a Vinitaly. Eppure, spiega Eugenio Pomarici, del Dipartimento economia e politica agraria dell’Università di Napoli Federico II “la crescita della perfomance competitiva delle esportazioni italiane, a partire dal 2004, ha attenuato l’attenzione sulla condizione strutturale del sistema viticolo italiano, ma nel 2012 l’aumento dei prezzi all’origine del vino e dell’uva ha reso nuovamente attuale il tema delle limitate dimensioni delle imprese italiane”.

In realtà si tratta di un problema che riguarda in generale l’intero sistema produttivo italiano e che invita a domandarsi se le imprese italiane, comprese quelle del vino, siano abbastanza grandi per le sfide future. “La filiera del vino si scompone - prosegue Pomarici - in tre fasi principali, produzione di uva, vinificazione, imbottigliamento e avvio alla distribuzione, che non si concentrano necessariamente in una sola impresa e hanno livelli di scambio ottimali molto diversi e dipendenti anche dal tipo di vino prodotto”.

Tuttavia, “l’analisi dei dati disponibili rivela - continua Pomarici - che a fronte di circa 250.000 viticoltori, l’uva viene trasformata da 65.000 cantine e il vino viene imbottigliato e commercializzato da poco meno di 8.000 imprese. Fra queste, circa 500, imbottigliano ogni anno più di 10.000 ettolitri e realizzano l’80% del vino in termini di volume. In termini di valore, invece, solo 103 aziende realizzano più del 50% italiano e tra queste 10 hanno un fatturato superiore ai 100 milioni di euro. L’offerta finale deriva da una complessa rete di flussi nella quale la produzione risulta concentrarsi progressivamente. Vi entrano in gioco attori che rappresentano delle filiere integrate, di natura privata o cooperativa, produttori di uva, trasformatori e imbottigliatori”.

Si può allora ipotizzare una dimensione ottimale dell’impresa vitivinicola? “Il sistema vitivinicolo italiano può essere visto - osserva il docente dell’Università di Napoli - non come un insieme molto frammentato di soggetti che sfidano le leggi dell’economia, ma piuttosto come un sistema che trova la sua efficienza proprio nella sua complessità. Proprio l’eterogeneità dimensionale e di orientamento produttivo delle imprese italiane del vino appare come la più convincente spiegazione della capacità competitiva complessiva dell’offerta italiana da più di otto anni, ma oggi ci si deve domandare se è possibile che il sistema vino italiano conservi in futuro quella stessa competitività. A partire dal modo in cui evolveranno i singoli segmenti di mercato, specialmente quelli in cui sono concentrate le piccole imprese a forte caratterizzazione agricola, un tipo di aziende numericamente cresciuta in tutti i Paesi, compresi quelli del Nuovo Mondo. O ancora se le imprese italiane più grandi resteranno ancora abbastanza grandi per il loro mercato di riferimento o se, invece, potranno continuare ad essere più competitive le aziende di media dimensione”.

Resta evidente che per rispondere a questo tipo di problematiche il ruolo della politica di settore diventa determinante, “le opportunità offerte dalla politica comunitaria (Ocm vino, Psr, ecc.) dovranno essere usata in modo razionale con l’obbiettivo di realizzare un sistema di incentivazione capace di trasmettere stimoli efficaci per rafforzare la struttura e l’organizzazione delle imprese e per creare e accrescere la loro competitività. Sul piano poi della dimensione aziendale - aggiunge Pomarici - l’elemento strategico resta lo sviluppo di nuove e più mature forme di integrazione fra le imprese che consentano il raggiungimento di dimensioni ottimali di offerta e di capacità operativa nei mercati internazionali. Il sistema vitivinicolo italiano è già una rete di imprese. Si tratta di estendere il campo d’azione di questa rete dalla fase della produzione a quella della realizzazione di un sistema di reti distributive per implementare innovazione di prodotto, conoscenza dei mercati, logistica comunicazione e concentrazione dell’offerta”.

In questo contesto un buon contributo può arrivare dal “contratto di rete” e dalle associazioni temporanee d’impresa, specialmente in una situazione di crisi come quella attuale. Un’innovazione legislativa già presente nel nostro ordinamento dal 2009 e che mette l’Italia al primo posto nel recepimento di questa nuova forma giuridica, che sembra proprio favorire l’aumento di competitività delle piccole e medie imprese.

Nel comparto vitivinicolo, i contratti di rete sono stati costruiti nell’area delle produzioni di alta gamma, creando collaborazioni in iniziative commerciali a cavallo di più settori. Oppure, in altri casi, hanno interessato la condivisione di standard di produzione, a cui è stato abbinato il ricorso a marchi collettivi e a meccanismi di certificazione in segmenti diversi del mercato vitivinicolo, incluso quello del turismo. “Il contratto di rete - spiega Paola Iamiceli dell’European University Institute di Firenze - in questi particolari casi può fungere da contratto quadro, per definire standard di produzione o di commercializzazione, il cui impiego lungo la filiera produttiva e distributiva sia eventualmente abbinato al rilascio di certificazioni e all’uso di loghi o marchi industriali, fungendo anche da coordinamento di sistemi di tracciabilità del prodotto lungo la filiera produttiva e commerciale”.

Ma non solo. Il contratto di rete può infatti promuovere e governare forme di collaborazione fra imprese del settore vitivinicolo ed enti di ricerca, da trasferirsi, per esempio, in progetti di sostenibilità ambientale e sicurezza. “Contratti di questo genere - prosegue Iamiceli - possono anche stabilire forme di collaborazione tra piccoli produttori per facilitarne l’accesso al mercato, per esempio coordinando sistemi di offerta integrata per la grande distribuzione”. La commercializzazione, evidentemente, riveste un po’ il “tallone d’Achille” principale per le piccole e medie imprese e questo tipo di “accordo”, che sono i contratti di rete “può favorire l’accesso a mercati internazionali attraverso collaborazioni fra più soggetti per favorire il cross-selling e la condivisione di canali commerciali su determinati mercati strategici”.

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