Ad una settimana da Vinitaly 2019, Winenews ripercorre “le degustazioni istituzionali”, messe in scena da organizzazioni (Coldiretti, Istituto Marchigiano Vini, Famiglie Storiche ...) o da VeronaFiere. I protagonisti-relatori? Il wine writer e degustatore Ian d’Agata e il presidente degli Enologi Italiani Riccardo Cotarella e, logicamente, i produttori con i loro vini, che, da Nord a Sud - e con focus territoriali, su Verdicchio e Amarone - hanno permesso di approfondire le diverse interpretazioni enologiche dei vitigni, delle zone viticole e dei climi dello Stivale, che hanno caratterizzato le molteplici annate in assaggio.
Tre le degustazioni che hanno messo a confronto aziende e vini di tutto il Belpaese. A partire da “Taste and Dream”, in cui Ian d’Agata, insieme a Vinitaly, ha riunito 15 produttori del grande vino italiano, chiedendo loro di presentare etichette innovative, storiche o famose a cui sono particolarmente affezionati. Un viaggio divertente ed emozionante, che ha stupito i protagonisti stessi nel riconoscere quanta affinità, cultura e storia, lega il vino e chi lo produce alla propria terra, rendendoli tutti più simili e più uniti di quanto si possa pensare. Due bianchi hanno aperto le danze: il Gorgona 2017 di Frescobaldi, nato da un progetto di riabilitazione che coinvolge l’Istituto penitenziario dell’omonima isola: Ansonica e Vermentino freschi e sapidi, di grande piacevolezza ed eleganza; e il Massifitti 2015 di Suavia, piccola azienda di tre sorelle che ha deciso di vinificare in purezza il Trebbiano di Soave, vitigno storico ma meno conosciuto: sapido e morbido, regala intensi sentori di ginestra.
Nessun riferimento alla festa della donna, ma un modo per celebrare il vino da tavola preferito del nonno nato, appunto, l’8 di marzo: questa è la storia dietro il primo rosso della degustazione, l’Ottomarzo 2016 di Dettori, un finissimo Pascale in purezza, vitigno autoctono della Sardegna. Fa seguito l’Etna Rosso Guardido Alta Mora 2015 di Cusumano: ciliegia croccante, corpo sapido e tannino gentile, da una tenuta che i fratelli hanno cercato a lungo fino a quasi arrendersi. La Valpolicella è stata raccontata dal Classico Superiore La Fabriseria 2006 della famiglia Tedeschi: vino sostanzioso che proviene da un vigneto recuperato dall’abbandono, isolato nei boschi e dalla terra povera e calcarea. Dal centro Italia, il San Calisto 2015 di Valle Reale racconta, invece, una storia di passione e perseveranza, per vinificare un Montepulciano d’Abruzzo speziato, croccante e dolce da una delle zone più fredde dell’Appennino.
Il primo vino da vitigni internazionali è stato il Sassicaia 2014 di Tenuta San Guido: nome che ha fatto - e ancora fa - la storia del vino italiano, ha portato nel bicchiere il racconto armonioso e fresco di un’annata notoriamente difficile, anche a Bolgheri. Di nuovo Sardegna, con il Turriga 2015 di Argiolas, lettura concentratissima e volutamente moderna della storia millenaria che lega il vino all’isola, a partire dal Cannonau. Non poteva mancare il Barolo, nelle vesti dell’Aleste 2013 di Sandrone (che sa di rosa, nel modo più fresco ed elegante che un Cannubi Boschis sa dare) e del Bussia Vigna Colonnello Riserva 2016 di Prunotto (declinazione più ampia e morbida, ma sempre fedele al vitigno).
La batteria finale si è invece concentrata su 2 tipologie di rossi importanti: Brunello e Amarone, in declinazioni che hanno sfidato il tempo. Da Montalcino, annata 2010 per il Brunello del Poggione (che può vantare una libreria storica quasi centenaria): cioccolato, tabacco e altri sentori terziari che arricchiscono una beva dolce e sapida; Vigna Loreto 2009 per Mastrojanni, dove il caffé e la prugna accolgono un sorso morbido ma ancora incredibilmente fresco; Vigna la Casa 2004 per Caparzo, dalla vocata zona di Montosoli, spicca per acidità e note vegetali, poi condite da tutti gli aromi evoluti che ci si può attendere; infine Siro Pacenti, con il Brunello PS 2001 da Magnum, incredibilmente profumato e pulito, astringente e croccante, grazie alla selezione dal vigneto settentrionale Pelagrilli. Ha chiuso la degustazione, l’Amarone Classico De Buris Riserva 2008 di Tommasi, frutto di un ampio progetto di recupero dell’omonima Villa: vino ampio e succulento, complesso negli aromi come nella struttura che resta però ben bilanciata.
Il Wine Reaserch Team è stato il protagonista del secondo viaggio lungo territorio del vino italiano, che si è avvalso dell’approccio enologico di Riccardo Cotarella come chiave di lettura delle diverse denominazioni e dei diversi terroir. Probabilmente l’espressività più coerente è apparsa nelle etichette chiantigiane del Castello di Volpaia, cantina storica della sottozona di Radda in Chianti. Il Riserva 2015, fresco del podio di Wine Spectator, mette in luce profumi fruttati eleganti e ben integrati alle spezie provenienti dal rovere, con uno sviluppo gustativo succoso, continuo e ben ritmato. Chiantigiano nei profumi di ciliegia, marasca con qualche tocco tostato e di tabacco a segnare la sua età il Chianti Classico Riserva 2006 dalla bocca gustosa e continua. Più segnato dal tempo il Riserva 2001 con il frutto maturo a mischiarsi con fiori appassiti e note di cioccolato e con la progressione gustativa però fragrante e reattiva.
Passando al Piemonte con la Barbera d’Asti Pomorosso di Coppi, il 2008 ha regalato buone sensazioni dal naso finemente speziato e fruttato e dalla bocca succosa e vibrante; ancora con un po’ di rovere da assorbire la Barbera d’Asti Pomorosso 2016 aromaticamente tutta sul frutto e con la progressione gustativa concentrata e serrata; affascinante la piena terziarizzazione del Pomorosso 1997.
Passaggio doveroso quello in Campania, dove Cotarella ha letteralmente inventato due territori-vigneto, a Guardia Sanframondi, nel Beneventano, in cui hanno trovato la loro espressione compiuta Montevetrano e Galardi. Il Montevetrano 1999 ha naso speziato e fruttato ancora fragrante ad anticipare un gusto pieno e solido; più sfumati gli aromi della versione 2014 che trovano nella struttura tannica il suo punto di forza; frutto dolce e cenni di cioccolato e vaniglia negli aromi del Montevetrano 2010 dal tratto gustativo pieno ed avvolgente. Il Terra di Lavoro 2010 di Galardi concilia una struttura poderosa ad una freschezza acida che conduce piacevolmente il sorso; la versione 2015 è ancora molto giovane e affianca un fruttato rigoglioso ad un altrettanto intensa speziatura ad anticipare un palato pieno e serrato; cenni vegetali, di liquirizia e cioccolato segnano, invece, il naso del Terra di Lavoro 2001, dalla progressione gustativa potente che torna sul finale a cenni di polvere di caffè e tabacco.
Tra i Merlot italiani più centrati il vino di famiglia il Montiano che nella versione 2015 esprime naso dolce e avvolgente e gusto pieno e intenso; registro più elegante per la versione 2010 con aromi di piccoli frutti rossi e caffè ad anticipare una bocca dolce e al contempo slanciata; scorrevole, ma forse meno complesso, il sorso del Montiano 2005 dal finale ampio e sfaccettato.
L’incontro di Cotarella con Montalcino, oltre che con la recente acquisizione de Le Macioche, passa dai vini de La Poderina (Tenute del Cerro). Buone le sensazioni provenienti dal Brunello 2013 aromaticamente giovane con cenni di legno dolce e fruttato rosso ed una progressione gustativa densa e serrata; più sfumati ma più complessi gli aromi del Brunello 2004 che passano dal frutto rosso, al tabacco alla prugna cotta, per giungere ad una bocca dal tannino giustamente nervoso e fitto; più evoluto il Brunello 2000 dalle sensazioni calde sia al naso che in bocca, dove trova il suo punto forte con uno sviluppo continuo e compiuto.
Infine, passaggio dal Verdicchio, uno dei pochi bianchi italiani in grado di affrontare il tempo senza timore e regalando una tipicità già definita. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Vigna Novali Riserva 2006 ha tratto aromatico con sentori di marmellata di arancia e leggera speziatura ad anticipare un gusto pieno e dal finale tipicamente ammandorlato: più maturi i sentori del naso dell’annata 2003 dal gusto dolce e senza asperità; più evoluta, invece, la versione 2014, complice anche un’annata non proprio tra le migliori, che comunque mantiene sapidità e croccantezza.
È stata, quindi, Coldiretti a dedicare un ultimo scorcio complessivo dello Stivale enoico a Vinitaly 2019, mettendo insieme alcune delle etichette di più alto valore del panorama enoico tricolore: sempre sotto la regia di Riccardo Cotarella, sono andate in scena bottiglie preziose quanto inappuntabili dal punto di vista sensoriale. Ecco allora i profumi inebrianti di albicocca, confettura di fichi, timo e spezie dolci del Passito di Pantelleria Ben Ryè 2016 di Donnafugata, un vino dolce che riesce con continuità disarmante a riproporre una progressione gustativa cremosa, dolce ma al contempo mai stucchevole e un finale denso, appagante e balsamico. Non è da meno (cambiando decisamente tipologia e luogo di produzione) il Franciacorta Brut 2013 di Bellavista: dal perlage fine e continuo e dai profumi di fiori bianchi su base di lieviti e pasticceria, ha un gusto in cui domina la sapidità e il ritmo del contrasto, con cenni lievi che rimandano alla susina.
Austero e deciso come pochi il Taurasi Naturalis Historia 2012 di Mastroberardino, capace di rendere ogni sfumatura più intima dell’Aglianico, uno dei grandi vitigni rossi del Bel Paese. Attraente per finezza e riconoscibilità il Barolo 2015 di Ceretto, dal naso sfumato di piccoli frutti rossi, spezie orientali e cenni di liquirizia e balsamici. In bocca, l’ingresso è dolce e ricco ma lo sviluppo è serrato e di grande sapore. Insuperata la classe dell’Amarone Classico 2011 di Quintarelli, un vero e proprio vino simbolo di tutto un territorio dai profumi di confettura di mirtilli, erbe aromatiche e cioccolato, ad introdurre un gusto delicatamente dolce e ritmato da infiniti chiaro-scuri.
Potente ed espressivo, invece, il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2013 di Casanova di Neri, dal profilo aromatico affumicato, arricchito da un fruttato rigoglioso: al palato, domina la struttura tannica declinata con energia da un’importante base acida, su cui torna la dolcezza del frutto. Unico bianco a completare il quadro, il Ferentano 2016 della Famiglia Cotarella, Roscetto in purezza, dal ventaglio aromatico che spazia da ricordi di banana e ananas, fino a toni erbacei e vanigliati: al palato è ricco, morbido e pieno, dall’estrema persistenza del sorso.
Fra gli approfondimenti vi è stata l’interessante degustazione dell’Istituto Marchigiano Vini, dedicata ai Verdicchio, nella declinazione dei Castelli di Jesi e di Matelica, comprendente etichette appena in commercio e annate più vecchie. Prima di tutto, perché i bianchi stanno prendendo sempre più spazio nello scacchiere dell’offerta enoica tricolore e poi perché il Verdicchio sta ricoprendo il ruolo che doveva spettargli già da tempo: quello di denominazione bianchista di riferimento, anche per il fatto che la sua produzione ha dimostrato di reggere molto bene il tempo che passa. Una prerogativa, quest’ultima, che smentisce un luogo comune, tutto italiano, per cui i bianchi sono vini da consumarsi entro uno o due anni al massimo.
Ha colpito per vivacità e tensione il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Utopia Riserva 2009 di Montecappone, un vino ancora fragrante e giovane dai profumi di fiori, pietra focaia e anice e dal gusto dinamico e dalla chiusura classicamente ammandorlata; non meno intrigante il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico San Sisto Riserva 2001 di Fazi Battaglia (Bertani Domains), dagli aromi nitidi ed integri e dalla bocca ampia, contrastata e sapida. Anche l’etichetta più vecchia del Verdiccio di Matelica è sembrata decisamente in grande forma ed il Verdicchio Meridia 2010 di Belisario ha evidenziato una bella evoluzione sia nei profumi che nella fase gustativa: una buona prova complessiva per i Verdicchio della sottozona di Matelica che restano, per certi aspetti, quelli più affascinanti. E così il Mirum Riserva 2015 della Monacesca è uscito alla grande con profumi nitidi e centrati e una progressione gustativa grintosa e dolce; esattamente come il Verdicchio di Matelica Vigneto Fogliano 2013 di Bisci, dai profumi sfumati e dal gusto incisivo e pimpante.
Tornando ai Verdicchio dei Castelli di Jesi, il Classico Vigna il Cantico della Figura Riserva 2013 di Andrea Felici ha messo in chiaro profumi di fiori e frutti bianchi tendenzialmente dolci accanto ad un gusto reattivo e contrastato; naso roccioso e gusto vibrante anche se con tonalità dolci in evidenza il Castelli di Jesi Verdicchio Classico Selva di Sotto Riserva 2015. Nel Castelli di Jesi Classico Misco Riserva 2013 della Tenuta di Tavignano bello l’incrocio aromatico tra erbe e frutti bianchi dolci ad anticipare una bocca un po’ tannica, ma gustosa; ginestra e frutti gialli nel bagaglio aromatico del Castelli di Jesi Classico Crisio Riserva 2012 di Casalfarneto dalla progressione gustativa mossa e profonda. Già in fase terziarizzata, infine, il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Vigna Novali Riserva 2013 di Moncaro.
A chiudere le degustazioni di approfondimento di Vinitaly 2019, un viaggio nel tempo e nello spazio alla scoperta dei terroir e dei microclimi che caratterizzano la Valpolicella, e di conseguenza il suo Amarone, per mano delle Famiglie Storiche: per l’anniversario n. 10 della sua fondazione, i 13 soci hanno, infatti, versato annate storiche delle loro librerie, a partire dal 1985 fino al 2008, mostrando come i 3 vitigni autoctoni della valle, Corvina - Corvinone - Rondinella, (con alcune “escursioni”, sia locali che allogene) grazie a diverse interpretazioni enologiche e diverse occasioni climatiche, possono costruire nel bicchiere l’immagine di un territorio precisamente definito e caratterizzante, e allo stesso tempo incredibilmente sfaccettato e ricco.
Ecco quindi l’Amarone 2013 di Torre d’Orti, dalla terra rossa e scoglio bianco che caratterizza la zona più vicina al Lago di Garda: caldo e fruttato, è retto da una spina acida incessante; naso bilanciato e sorso pieno, dolce e profondo di china e frutta matura per l’Amarone Classico De Buris Riserva 2008, dal vigneto più occidentale del versante più occidentali della valle; c’è invece lo zampino della Barbera nell’Amarone Calcarole 2006 di Guerrieri Rizzardi, che conta anche sul terreno fortemente calcarei presenti nella zona di Negrar: cuoio, tabacco, prugna e arancia rossa poggiano su una morbidezza ben bilanciata dalla freschezza. Sempre del 2006 l’Amarone Classico Serego Alighieri Vaio Armaron 2006 di Masi, da Corvina, Rondinella e Molinara allevate sul versante ovest della valle, a 300 metri d’altezza: particolarmente speziato, non eccede in residuo zuccherino e lascia lunghi ricordi si ciliegia sotto spirito; ed è un blend di 4 vigneti nel bosco a diverse esposizioni (ma tutti su terreno calcareo e argilla rossa) anche la Riserva 2006 di Musella, l’azienda più a sud dell’associazione: caldo e fruttato, ma ben bilanciato dai tannini setosi, profuma di ciliegia, miele e resina.
Risultato di un’annata perfetta per la Valpolicella, l’Amarone Classico Monte Ca’ Bianca 2005 di Begali, è un sorso profondissimo, sia nel bicchiere che al palato, a inaugurare l’aggiunta di Oseleta proprio a partire da quel millesimo; dall’azienda più orientale, il Campo dei Gigli 2004 di Tenuta Sant’Antonio, un Amarone che comprende anche la Croatina e fermenta nelle stesse botti di legno dell’affinamento: impenetrabile nel bicchiere si svela invece sorprendentemente raffinato al naso e snello in bocca; dal centro della Valpolicella Classica, l’Amarone Riserva 2001 di Venturini: risultato di una doppia selezione (sia in vigna che in appassimento) risulta meno dolce rispetto ai precedenti calici e presenta un sorso sorprendentemente fresco, croccante e centrale per i vent’anni che ha.
Nemmeno l’Amarone Classico 2000 di Allegrini cede il passo all’età (nonostante l’annata calda): azienda che ha sempre anticipato i tempi moderni in cantina, ha presentato un vino caldo e sviluppato nei terziari, dal carattere sapido e un intenso ritorno di ciliegia a fine sorso; del 2000 anche l’Amarone Classico Vigneto Monte Sant’Urbano 2000 di Speri, che gode di discreta altitudine (fino a 350 metri di altezza) e di terreno vulcanico-basaltico-calcareo: elegante, fresco e lievemente dolce, ha una nota vegetale di rovo che da ritmo alla vena piacevolmente fruttata.
Hanno chiuso la degustazione 3 etichette del vecchio millennio: l’Amarone Classico 1999 di Brigaldara, che evolve lentamente nel bicchiere, rivelando prima noti dolci e fruttate, per passare a quelle più evolute di liquirizia, lasciando una bocca più elegante che potente; sempre del 1999, l’Amarone Classico Capitel Monte Olmi di Tedeschi: vinificato coi raspi, sorprende con note di peperone (fortemente distintive di questa etichetta col passare del tempo) e prugna e un sorso con succulento di note morbide e balsamiche; infine un Amarone Classico di Zenato del 1993: oltre 15 anni di tempo rappresentati da un naso profumato di tabacco, liquirizia, arancia rossa, riproposte coerentemente nel lungo sorso levigato e ancora fresco.
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