Nel mercato del collezionismo di vino, di cui WineNews racconta ai suoi lettori da molto tempo, l’Amarone della Valpolicella è una sorta di “illustre sconosciuto”, se non fosse per alcune “sporadiche partecipazioni” di nomi come Quintarelli e Dal Forno, ovvero singole griffe che fanno storia a sé (come del resto succede un po’ in tutti i territori, dove ad essere da collezione o da investimento è più il singolo brand e/o singolo vino che la denominazione in senso lato, ndr).
Ma per chi si chiede se l’Amarone sarà il prossimo grande vino da collezione, la risposta è positiva. O almeno lo è guardando alla comparazione degli elementi che caratterizzano il rosso di punta della Valpolicella con quelli che hanno fatto dei Bordeaux i vini da collezione per eccellenza (ma anche, in questo caso, si parla di una piccola percentuale di etichette sul totale, ndr), proposta da J.C. Viens, Italian Wine Educator, ad “Amarone Opera Prima 2024”, evento organizzato dal Consorzio dei Vini della Valpolicella, per presentare la nuova annata sul mercato, la 2019. Tutto parte da una considerazione di base: l’Amarone deve crescere in valore. È l’obiettivo da raggiungere per il grande rosso della Valpolicella. Passato il tempo della crescita dei volumi, la denominazione si interroga sui percorsi da intraprendere per farne conoscere le peculiarità, in primis la longevità, e consolidare la sua reputazione perché possa divenire “the next big thing in wine collecting” per dirla con il titolo della masterclass, condotta da J.C. Viens. “Oggi il prezzo dell’Amarone è decisamente più basso di quello che meriterebbe - sottolinea Christian Marchesini, presidente del Consorzio di tutela dei Vini della Valpolicella - e l’Amarone può crescere in valore purché la sua conoscenza diventi può approfondita e si guardi ad esso con occhi nuovi anche da parte dei collezionisti”.
Ma quello del collezionismo è un mondo a sé, e su cui ci sono idee sbagliate, secondo J.C. Viens che, con la sua esposizione, in cui ha portato analisi e numeri “incontrovertibili”, ha dimostrato che l’Amarone ha tutte le carte in regola per diventare un vino da collezione e, quindi, trainarne verso l’alto il prezzo. Viens ha imparato molto sul collezionismo nei suoi trent’anni in Hong Kong per la presenza di sofisticati collezionisti di qualunque cosa, come, ad esempio, i francobolli, che lui, canadese, pensava fosse soltanto un’attività da boy scout. Fino a quando un collezionista amico lo ha introdotto in quel mondo e così ha compreso che, dietro al collezionismo, ci sono passione e pazienza, oltre che scambi che contemplano denaro, e anche molto, per acquisire gli oggetti del desiderio, vino compreso. E che il collezionismo può essere anche un modo per proteggere la propria ricchezza dall’instabilità politica - come è accaduto nel 1997 nel trasferimento della sovranità di Hong Kong dal Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese - e da quella economica, per esempio per contrastare l’erosione dei capitali provocata dall’inflazione. E, nel caso del vino, c’è sempre l’alternativa di goderlo, bevendolo (come diceva, secondo un celeberrimo aforisma, “l’Avvocato”, Giovanni Agnelli, ndr).
“Vorrei chiarire, per prima cosa, che il collezionismo è passione e non speculazione - sottolinea Viens - tant’è che solo il 10% dei collezionisti rivende i propri vini. Il collezionista enoico innesca un circolo virtuoso perché si sostituisce per la conservazione dei vini da invecchiamento ai produttori che non hanno sufficiente cash flow per custodirli in cantina, così come nella maggioranza dei casi i ristoratori, che spesso sono gli acquirenti di queste etichette sul mercato secondario. Molto spesso vini di grande longevità vengono bevuti a poca distanza dalla vendemmia non permettendo di valutare la loro evoluzione nel tempo: i collezionisti danno un servizio al settore che viene ricompensato dalla crescita del valore dei vini collezionati”. La passione per il collezionismo è in crescita, da opere d’arte a orologi e gioielli, dalle auto d’epoca ai mobili, dai francobolli alle monete, e pure a vino e whisky. Secondo il Luxury Investment Index by Knight Frank (KFLII), di cui WineNews ha parlato spesso, dal giugno 2013, gli investimenti in collezionismo sono aumentati del 222% rappresentando il 5% della ricchezza globale totale investita, di cui il 2% nel vino. Dal 2003, il Liv-Ex 1000 - indice che rappresenta le variazioni di prezzo dei 1000 vini più pregiati al mondo - ha avuto un incremento del 350%, pari al 18% annuo, sebbene, negli ultimi mesi, come riportato da WineNews che da anni segue l’andamento di questa piattaforma di riferimento, ha accusato un brusco calo (https://winenews.it/it/fine-wine-2023-anno-nero-litalia-si-difende-ma-e-comunque-in-negativo-ed-il-2024-sara-peggiore_513280/).
“Contrariamente a quanto si pensa - spiega Viens - non sono le aste il luogo privilegiato delle vendite del mercato secondario, che rappresentano solo il 23% degli scambi, ma le piattaforme (41%), seguite dai mercanti (29%) e dai broker (26%). Nella pandemia i collezionisti sono diventati più fiduciosi e hanno cominciato a diversifìcare. Fino al 2020 Bordeaux, Borgogna e Champagne avevano il dominio assoluto, dopo di che anche l’indice dei vini italiani ha cominciato a crescere per effetto degli investimenti di giovani e donne ad altissimo patrimonio netto”. Dal 2010 al 2021 le transazioni dei vini italiani sul mercato secondario sono aumentate del 2.566%, grazie alla stabilità e sicurezza offerta, e, negli ultimi 5 anni, il Veneto ha raggiunto quote importanti (il 55% sul totale esclusi i vini di Toscana e Piemonte), anche a fronte della ricerca di novità e dell’espansione dell’attenzione dei critici ad altre aree di produzione. I fattori chiave per i vini da collezione sono la capacità di invecchiamento superiore ai 10 anni, l’affidabilità del prezzo, i punteggi della critica superiori a 90 centesimi, che hanno un grandissimo peso, la finestra di bevibilità molto ampia nel tempo, la storicità della proprietà e la disponibilità di vecchie annate pregiate e, infine, la cronologia degli scambi.
“Il vino italiano - commenta J.C. Viens - ha il vento in poppa e il modo migliore per capire se l’Amarone della Valpolicella ha chance per diventare un vino da collezione, e vedremo che ne ha, è il confronto con le caratteristiche che hanno decretato il successo dei Bordeaux. Entrambi hanno storicità, anzi la fama dei vini della Valpolicella è più antica come testimonia Andrea Bacci in un testo del 1596. Già Cassiodoro nel IV secolo descriveva la tecnica dell’appassimento su paglia della regione già ammirata per i “Vini Retici” in epoca Romana e premiata come migliore in Italia. Date per scontate la qualità dei vini, l’expertise dei produttori e la longevità, anche quanto a territorio e varietà di uva la Valpolicella ha maggior complessità. Nel Bordolese - sostiene J.C. Viens - l’altitudine è pari a 50 metri di altitudine, e con lievi variazioni microclimatiche interne, contro la variabilità enorme del sistema di valli ai piedi delle Prealpi, di altitudini, terreni, esposizioni e flussi d’aria della Valpolicella. Poche varietà, Cabernet e Merlot nel primo caso, contro un pull varietale (Corvina, Corvinone e Rondinella, le uve principali) adattato all’ambiente, altamente compatibile con l’appassimento, tecnica candidata Unesco, che in queste uve si estrinseca con processi metabolici che donano al vino complessità, stabilità e struttura; Varietà che, inoltre hanno elevata sensibilità al terroir. A favore dei Bordeaux c’è la Classificazione del 1855, già radicata dal Seicento, mentre il successo dell’Amarone a livello di mercato è recente”.
La degustazione di sei Amarone di annate differenti - tutti con punteggi superiori a 90, individuati in scambio sul mercato secondario (firmate da Bertani, Pieropan, Zymè, Roccolo Grassi, Dal Cero, Bussola, ndr) e per questo proposti nella masterclass da J.C. Viens - ne ha confermato il livello qualitativo e le potenzialità di invecchiamento. In diversi casi la finestra di consumo è risultata sottostimata a dimostrare che c’è un lavoro di comunicazione da continuare perché l’Amarone della Valpolicella guadagni autorevolezza tra i collezionisti e trascini così verso l’alto le quotazioni di tutta la denominazione.
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