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IDEE DI FUTURO

Vino e turismo, un binomio consolidato. Ma che resta sterile se non promuove “il territorio”

Le riflessioni di ricerca, impresa ed istituzioni da “I Magnifici 16” delle Marche, esempio del “fare squadra” per l’Istituto Marchigiano Tutela Vini
ISTITUTO MARCHIGIANO DI TUTELA VINI, MARCHE, TURISMO DEL VINO, Italia
I vigneti del Verdicchio dei Castelli di Jesi, icona delle Marche del vino

L’Italia è piena di vini imperdibili e di attrazioni turistiche uniche al mondo, ma emergere non è facile: sia rispetto alla concorrenza nazionale, che a quella estera. E per farlo, in ogni dove, è necessario che i produttori facciano squadra, per poi trainare la promozione di tutto il territorio regionale. Superando la mera degustazione come offerta enoturistica, e iniziando a guardarsi attorno, per raccontare la micro ricchezza artigianale che caratterizza tanti territori in termini di qualità e benessere; contaminandosi e fertilizzandosi reciprocamente tra diversi settori e competenze; investendo tempo, soldi e formazione; creando sinergia tra pubblico e privato, tra borghi e agricoltura, tra pensiero ed azione; sintonizzandosi sui bisogni dei differenti ospiti interessati e incuriositi del contesto in cui si trovano; e imparando ad accogliere e a raccontare con costanza ed organizzazione. Solo così il vino può acquisire valore e distribuire a sua volta valore al territorio da cui proviene. Discorso che vale per tutti, e ancor più per le Marche del vino, sotto i riflettori nei giorni de “I Magnifici 16” a Recanati, nel convegno “Il turismo del vino: valore esperienziale ed economico per lo sviluppo del territorio delle Marche”, e che ha riunito per la prima volta le 16 Doc e Docg dell’Istituto Marchigiano Tutela Vini a Recanati (Imt), per rilanciare l’unica Regione “al plurale” d’Italia come meta imprescindibile dell’enoturismo italiano.
A dare la loro visione, le voci delle istituzioni, della ricerca e dell’impresa, come Francesco Acquaroli, presidente Regione Marche, Andrea Maria Antonini, assessore all’Agricoltura Regione Marche, Mirco Carloni, presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati e Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, presidente di Federdoc; Michele Bernetti, presidente Istituto Marchigiano di Tutela Vini e alla guida di Umani Ronchi, Marco Bruschini, direttore Atim - Agenzia per il Turismo e l’Internazionalizzazione delle Marche, Ludovico Scortichini, ad Go World e operatore turistico internazionale, Cristina Mottironi, docente della Sda Bocconi School of Management, e Valerio Temperini, dell’Università Politecnica delle Marche, e con il contributo del direttore WineNews, Alessandro Regoli.
Partendo dai dati, se ne esce con una visione molto positiva: secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo siamo in recupero sugli arrivi internazionali sul 2019, quindi sul pre-Covid: manca un 10% per eguagliarli. La Un World Tourism Organization, dal suo canto, prevede un flusso di 1,8 miliardi di turisti, in gran parte interessati all’Europa (62%) e all’Europa meridionale (28%), quindi una torta decisamente importante che l’economia del Paese potrebbe attrarre. Il turismo nel mondo, inoltre, ha un valore importantissimo perché contribuisce a formare più del 10% del Pil ed è anche il settore più coerente con lo sviluppo socio-economico secondo gli indicatori di sostenibilità: questo impatto non è riconducibile solo al numero di presenze, ma coinvolge anche le filiere ad esse associate che creano un indotto di reddito che viene redistribuito. Questo quadro generico presentato dal professor Valerio Temperini, si arricchisce di un’analisi più specifica: per quanto riguarda il ritorno economico, a livello locale si stima che per ogni 100 euro di spesa turistica, se ne generano altri 80-120 di valore aggiunto di Pil: un effetto moltiplicatore importante. Dopo il Covid sono aumentati anche gli investimenti in questo settore, e seguendo i trend del momento (turismo rurale, naturalistico, domestico, vacanze brevi) a livello di sistema si potrebbero dare risposte concrete ed efficaci. Il segmento dell’enoturismo in particolare, secondo Statista, valeva 9 miliardi di dollari il primo anno di pandemia ed è previsto che triplichi entro il 2030, con l’Italia come “top wine destination”. Le persone coinvolte non saranno solo esperte o appassionate, ma anche “casual wine tasters”.
A livello operativo, su cosa bisogna investire per attirare questo nuovo interesse? Guardando al nostro benchmark (cioè a chi sul mercato, secondo Temperini, dimostra di saper far meglio degli altri e che diventa quindi il nostro riferimento d’azione, che nel nostro caso sono la Toscana e la Francia), ci rendiamo conto come la comunicazione debba essere chiara e facilmente fruibile, con proposte a pacchetto o personalizzabili molto varie, che toccano allo stesso tempo benessere, sport, arte e artigianato locale. Le Marche hanno un patrimonio tangibile molto ricco da offrire (naturale, storico-architettonico, artistico e monumentale), ma devono lavorare molto, ancora su quello intangibile, fatto di informazioni, conoscenze, competenze, relazioni, esperienze, emozioni, servizi, che siano in grado di creare collaborazioni e integrazioni tra settori diversi (esempio fortunato marchigiano, dice ancora Temperini, l’invecchiamento del vino - settore enogastronomico - nelle grotte di Frasassi - settore naturalistico, o i corsi di cucina, che non solo coinvolgono i turisti nelle tradizioni locali, ma promuovono anche i prodotti tipici). “Il percorso da fare quindi è abbastanza semplice a parole: analizzare il mercato e individuare i segmenti target; mappare le risorse del territorio; creare esperienze turistiche integrate di valore per i segmenti target individuati; comunicare le proposte di valore in modo chiaro e distintivo rispetto ai competitori; trasferire il valore dell’esperienza; misurare i risultati e, in caso, aggiustare il tiro. Soprattutto perché l’enoturismo ne vale la pena - conclude Temperini - ha una capacità di spesa più elevata, è un turismo destagionalizzato che può portare ricchezza durante tutto l’anno; è un turismo internazionale, su cui possiamo ancora crescere; e infine si accompagna al cosiddetto “food souvenir”, che aiuta il turista a ricordarsi l’esperienza anche una volta tornato a casa, coinvolgendo e invogliando a partire anche chi ancora non l’ha fatto”.
Ma cosa significa applicare la capacità turistica al vino? Sia l’agricoltura che il turismo si basano sul forte binomio prodotto-territorio, c’è quindi una sinergia strutturale tra i due settori. “Già negli anni Novanta si era iniziato a metterli in comunicazione, per cercare di superare lo scandalo del metanolo e riavvicinare le persone al vino. Oggi invece - spiega la professoressa Cristina Mottironi - si intrecciano nuovamente per rendere la filiera più competitiva e rispondere ad una nuova domanda, cui dobbiamo dare attenzione perché guida le scelte. Nella bulimia di dati disponibili oggi in merito, uno in particolare sembra essere condiviso: le persone che si muovono guidate principalmente da motivazioni enogastronomiche toccano i 25 milioni, quando 10 anni fa erano appena 5”. È un turismo molto più trasversale che si aggiunge all’interesse balneare, culturale, sportivo e a tutte le altre forme di turismo esistenti. L’interesse a conoscere le tradizioni enogastronomiche di un Paese si stima si aggiri intorno ad un terzo della spesa turistica complessiva (30 miliardi per il nostro Paese): una voce di spesa importante in cui possiamo fare leva. E non è più solo un turismo locale, ma si è internazionalizzato: la Banca d’Italia stima infatti che la spesa per cibo e vino da parte degli stranieri è seconda sola alla spesa dedicata alle esperienze di arte e cultura. Se i mercati più sviluppati in Italia al momento restano Stati Uniti, Germania, Francia e Gran Bretagna (che generano più turismo e più spesa ma che allo stesso tempo - guarda caso - sono anche i Paesi in cui esportiamo di più), non dobbiamo smettere di dedicarci anche a quelle Nazioni che ci sembrano più lontane culturalmente, e che invece si stanno interessando a noi in questa tipologia di esperienze, come la Cina.
In tema di internazionalizzazione il ruolo dell’enogastronomia ha ancora molto spazio, ed è un turismo in generale con una ricaduta economica molto importante: “si stima che circa il 60% dei turisti che visitano le cantine spendano in media più di 50 euro per ogni visita, con una ricaduta sul territorio ancora più ampia stimata in una spesa giornaliera di 140 euro. Vacanze spesso brevi, ma con una spesa pro capite significativa. “Queste cifre - precisa Mottironi - si trasformano per le aziende, in particolare vitivinicole, in un contributo al fatturato che si aggira attorno al 7% per le aziende più grandi, sale al 14% per le aziende più piccole, e può toccare il 30% nei territori più vocati e sviluppati. Il valore però risiede anche negli aspetti più ampi: il turista ha l’opportunità di fare un’esperienza diretta nel luogo di produzione e questa per noi è l’occasione di trasferire i valori identitari - di qualità, sostenibilità, artigianalità - che caratterizzano i nostri prodotti”. Esperienza di consolidamento dell’immagine impossibile da fare senza le persone presenti in loco. C’è però da stare attenti: i turisti oggi sono molto più preparati, sofisticati ed esigenti. Non vogliono vivere una sola tipologia di esperienze e denunciano le omologazioni. Bisogna quindi evitare le standardizzazioni e l’abbassamento del valore delle produzioni.
Da questo punto di vista le Marche sono avvantaggiate: c’è già attrattiva turistica; ci sono iniziative che fanno aumentare la percezione del marchio, che si sta quindi consolidando (anche se più nel suo insieme, meno sulle singole produzioni agroalimentari); c’è una legge molto utile di supporto che permette alle cantine di ospitare e accogliere; ma soprattutto inizia ad esserci una logica di sistema che può trainare. “Nel turismo infatti nessuno ha ragione da solo e non si sviluppa con il contributo di un singolo attore privato o con il solo attore pubblico: lavorare insieme secondo una logica di filiera e in sinergia tra pubblico e privato - continua Mottironi - è assolutamente necessario per mettere in rete tutte le esperienze che scandiscono l’esperienza del visitatore”. Sono infatti necessari dei passaggi che le singole aziende non sono in grado di garantire in modo convincente, a partire dalla comunicazione: è inutile fare se non facciamo sapere; passando dal tema della distribuzione e commercializzazione del prodotto: il turismo nelle Marche è ancora molto balneare e locale, poco presente nei canali di distribuzione turistica; serve presidiare la qualità e la sostenibilità di un territorio ed è per questo che il turismo enogastronomico deve restare competenza del mondo agricolo; dobbiamo pensare alla fertilizzazione reciproca, perché nel momento in cui si lavora insieme si entra sul mercato con offerte coerenti e consistenti creando valore; infine serve formazione, perché enoturismo significa che chi produce cibo e vino deve diventare competente in materia di accoglienza, servizi, commercio e creazione di esperienze, mentre chi accoglie deve diventare esperto del mondo enogastronomico, conoscere e promuovere le produzioni locali. “Si parla di filiera - conclude Mottironi - non solo perché il turista fa un’esperienza a 360 gradi, ma perché siamo in grado di attivare economie di sistema, fondamentali per le aziende e il territorio”.
Da questo punto di vista la politica nazionale e locale pare suonare all’unisono con questa necessità di fare squadra, consapevoli che il vino è un biglietto da visita che attrae per redistribuire considerazione al territorio intero, che diventa così protagonista in ogni singola esperienza. Secondo Francesco Acquaroli, presidente Regione Marche, collegato in video, “la Legge regionale sui borghi (29/2021) serve per ridare vita all’entroterra e ai suoi centri storici, che rappresentano l’identità più autentica di secoli di vita comunitaria, dove riscoprire i prodotti di una tradizione millenaria: un patrimonio da coltivare per ridare linfa vitale al turismo e all’intera rete economica locale ricchissima delle Marche. C’è tanto lavoro da fare, ma è un lavoro che ha bisogno di entusiasmo e ottimismo: “I Magnifici 16” va in questa direzione, perché fa leva sul coinvolgimento reciproco tra pubblico e privato, senza il quale ogni percorso rischia di perdere senso o potenza”. D’accordo anche Andrea Maria Antonini, assessore all’Agricoltura Regione Marche, secondo cui le aziende non devono fermarsi a far conoscere i propri vini, ma devono mettere a sistema questi vini con il territorio. Il vino può, infatti, essere il traino di una narrazione ricchissima e mettere in atto un circolo virtuoso di promozione delle Marche, dove c’è un’artigianalità diffusa in tanti settori: piccole imprese, piccoli borghi, tanta biodiversità e tanta qualità. È la rappresentazione del piccolo fatto bene. “Non abbiamo metropoli, ma abbiamo campagna, piccoli appezzamenti e non latifondi. Bisogna assecondare la curiosità del turista a vivere appieno il contesto che li sta ospitando. La Legge Regionale sull’Enoturismo (n. 28/2021) supporta questa direzione - commenta Antonini - e prevede strumenti di formazione e accoglienza per aumentare la qualità dei servizi offerti: risposte immediate e professionali fanno infatti la differenza in termini di qualità percepita”
Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, presidente Federdoc, ha il polso della situazione per quanto riguarda la posizione italiana anche in ambito Europeo. Nel suo intervento video ha rimarcato quanto l’Imt sia un esempio unico in Italia di unione tra diverse denominazioni, “purtroppo non replicato nel resto d’Italia, quando dovrebbe essere invece un obiettivo diffuso - certamente non facile - che creerebbe una sana competizione con l’estero e in Europa. Oltreconfine abbiamo infatti bisogno di creare una comunicazione chiara e trasparente condivisa, che sia ovviamente accolta dalle istituzioni comunitarie, che ultimamente sembrano un po’ distratte. L’enoturismo è un traino fortissimo che può dare nuova energia al settore e farlo diventare quindi anche più forte sul mercato internazionale”. Ma se c’è qualche difficoltà nel trovare soluzioni comunitarie alla tutela e promozione del vino, non mancano alcune sfide anche a livello nazionale. Preoccupazioni cui ha dato voce Mirco Carloni, presidente Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati. “Il Decreto 12 marzo 2019 sull’attività enoturistica dell’allora Ministro delle Politiche Agricole Centinaio e la Legge Regionale delle Marche sull’Enoturismo 28/2021 hanno inquadrato le cantine non solo come produttrici, ma anche come somministratrici di vino. Ci sono sicuramente ancora imperfezione normative da risolvere - ammette Carloni - ma il rischio più grande è che l’attività di enoturismo si snaturi perdendo la sua anima agricola”. Questa opportunità infatti è stata pensata per sviluppare l’enoturismo a partire dai luoghi di produzione agricola, per farli diventare anche luoghi di attrazione turistica. L’enoturismo non dev’essere un valore in sé ma aggiungere valore al vino, in modo che ne venga percepita la qualità che contiene e l’impegno che serve ad ottenerla: serve per raccontare la ricchezza che l’atto agricolo porta al territorio. Per questo serve anche lottare contro la svendita delle bottiglie e farle invece pagare un prezzo adeguato. Ma oltre al rischio “deriva”, c’è anche un problema pratico: “siamo in una fase delicata in cui rischiamo di capire le cose senza poi metterle in pratica. Abbiamo un grosso problema logistico: mancano, ad esempio, agenzie turistiche che propongano pacchetti sulle Marche, perché sono quasi tutti indirizzati verso viaggi all’estero. Trasformare una Regione abituata a proporre pacchetti “in uscita” in una Regione che propone pacchetti “in entrata” è difficilissimo - conclude Carloni - ma è necessario per mettere in moto la macchina. Da ottobre verranno probabilmente attivati sull’aeroporto di Ancona voli giornalieri da e per Roma, Napoli e Milano: un’enorme opportunità per l’enoturismo e le Marche non possono farsi trovare impreparate, senza esperienze coordinate da offrire”.
Esattamente questo è il lavoro cui si sta dedicando Marco Bruschini, direttore Atim - Agenzia per il Turismo e l’Internazionalizzazione delle Marche dal settembre 2022. Secondo lui le Marche devono pretendere di giocare in Serie A e serve quindi un piano strategico per alzare l’asticella del valore effettivo e di quello percepito. “La sfida è duplice: far parlare delle Marche, perché all’estero ancora non sanno che esistono (piccola provocazione: a cosa sono serviti quindi i 100 milioni di euro di fondi pubblici spesi negli ultimi 10 anni in promozione?); e quindi fare sistema, creando un obiettivo, remando nella stessa direzione e muovendosi compatti. Questo ci ha portato a lanciare il nuovo marchio delle Marche (“Let’s Marche”, una specie di “Marcheggiamo”) - spiega Bruschini - per indurre ad un’azione attiva che “muova Le Marche” e “muova verso Le Marche”. Le Marche hanno sempre dimostrato di fare qualità ma se non se n’è accorto nessuno fino ad ora si è sbagliato qualcosa a livello strategico”. L’evento “I Magnifici 16” fa proprio parte di questo nuovo percorso strategico di promozione iniziato al Concorso Ippico Roma in Piazza di Siena, passando per “Gabicce diWine”, sempre organizzato in stretta collaborazione con l’Istituto Marchigiano Tutela Vini. Un percorso variegato e ancora agli esordi che Ludovico Scortichini, ad Go World e operatore turistico internazionale, ha valutato positivamente dall’alto della sua esperienza pluriennale, perché: “il vino unisce culturalmente i Paesi, compreso in modo trasversale nel mondo. Nel momento in cui inseriamo il vino all’interno dei pacchetti turistici - spiega Scortichini - inseriamo nell’itinerario inevitabilmente anche il territorio, la natura, la cultura, la sostenibilità. Ma solo col vino è impossibile fare enoturismo, bisogna assolutamente legarlo a dove questo vino viene prodotto, a come viene fatto, a chi lo pensa, a chi lo crea, a chi lo vende e a chi lo racconta. Lo storytelling deve però partire da ciò che si ha attorno, in termini di qualità e benessere. Servono quindi investimenti, creando un unico asset di sistema tra pubblico e privato perché solo così aumenta la capacità di spesa e coordinamento tra produttori, albergatori, trasportatori, guide turistiche, tour operator. Ma soprattutto serve formazione: chi racconta deve sapere cosa sta dicendo, ma deve sapere anche a chi lo sta raccontando: uscire dalla logica del “sono il migliore” ed entrare nella logica del “sono diverso”, che è ciò che il consumatore sa riconoscere”. Un prodotto di successo, infatti, spesso non basa il risultato sulla sua (apparente) migliore qualità in assoluto, ma sulla capacità di raccontare una storia che lo rende unico ed inimitabile. Consigli utili? Plasmare lo storytelling intorno a chi sta ascoltando: bisogna dimostrare sensibilità e sintonia verso il consumatore per “acchiapparlo” e non propinare banali schemi standardizzati. Inoltre personalizzare e diversificare le proposte che facciamo, renderle talmente sartoriali da farle diventare la storia personale del nostro ospite: storia che porterà a casa e racconterà nel suo Paese diventando lui stesso ambasciatore del territorio.
Di tutte queste opportunità, dei rischi elencati e delle proposte suggerite è consapevole e attore in causa Michele Bernetti, presidente dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, che ribadisce come l’enoturismo sia una leva (forse la più) importante di promozione di un territorio. “Le Marche rappresentano il 2% della produzione di vino italiana, prodotta da una miriade di medie e piccole aziende. Gli investimenti super-milionari sono impossibili: se anche aumentassimo del 30% la nostra produzione, saremmo comunque ancora piccoli”. L’enoturismo quindi diventa promozione del territorio tramite la produzione. Ma cosa bisogna attivare per mettere in moto una catena di valore? “Si è iniziato a parlarne ancora negli anni Novanta, con l’avvio del Movimento Turismo del Vino e la prima edizione di “Cantine Aperte” promossa da Donatela Cinelli Colombini. Ma oggi l’enoturismo non può più essere assaggio del calice e acquisto - conclude Bernetti - dobbiamo mettere a regime una sorta di “contaminazione” tra noi produttori di vino, innanzitutto, e quindi con tutte le altre attività del territorio. Associarci con la rete dei borghi, le imprese artigianali, la produzione gastronomica e tutto quello che già può offrire il territorio” e che oggi purtroppo in concreto gioca ancora una partita per lo più solista, anziché di squadra.
“Il turismo del vino è ormai un’attività parallela a quella agricola. Un’attività economica con dei ritmi diversi e particolari, che deve essere programmata in armonia e come forma di amore, ma anche di economia circolare, verso il territorio che deve promuoversi sempre di più in maniera sinergica - ha osservato il direttore WineNews, Alessandro Regoli, in un messaggio- il vino non ne è solo il protagonista, ma il “medium” per raccontare al mondo le bellezze dei nostri territori, per i legami che ha con la loro storia, la loro cultura e la loro natura, in una comunicazione “a cascata” di quelli che sono sempre di più i nostri asset: l’agricoltura e il turismo. Perché il successo dell’enoturismo in Italia si deve anche al lavoro di comunicazione, che ho intrapreso nel 1993 quando questo fenomeno è nato, e ben prima della nascita di WineNews (nel 2000). Un fenomeno che non sarebbe tale senza i decisivi investimenti da parte delle cantine italiane più “illuminate” che, puntando sull’accoglienza in azienda e nei loro territori, hanno vinto una scommessa. Oggi, quelle stesse cantine, grazie anche ai nuovi strumenti di comunicazione, hanno creato un nuovo modo di raccontare, “leggere”, far vivere e far diventare un business virtuoso i territori del vino italiano. Il settore non deve, infatti, lasciarsi “mangiare” dal turismo “mordi e fuggi”: il futuro del turismo del vino è nella cura dei territori, dell’accoglienza di qualità, dei servizi che si offrono, e nelle “experience” alla scoperta non solo del wine & food, ma di tutte le bellezze di un luogo. L’enoturismo alla vecchia maniera, quello della “visita più degustazione”, ha ormai le ore contate”.

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