Ancora l’export potrebbe essere, per il vino italiano, la chiave di volta per superare il “ritorno di fiamma” della crisi globale, grazie al suo vantaggio competitivo rappresentato dall’imbattibile rapporto qualità prezzo. Non solo: il comparto, tra vino e immobili, potrebbe addirittura rappresentare un vero e proprio bene rifugio che mette al riparo gli investimenti dalle turbolenze della borsa in questa sorta di “onda lunga” della crisi internazionale.
Ecco, in sintesi le indicazioni di Stefano Cordero di Montenzemolo, direttore accademico della European School of Economics, e docente di finanza strategica del Master per aziende vitivinicole dell’Università di Firenze, e di Edoardo Narduzzi, esperto di wine economy, all’indomani della recrudescenza della crisi globale finanziaria che ha visto pesanti perdite anche a Piazza Affari.
“Dopo il 2008, il vino italiano ha avuto comunque qualche problema - spiega Stefano Cordero di Montenzemolo, direttore accademico della European School of Economics, e docente di finanza strategica del Master per aziende vitivinicole dell’Università di Firenze - le crisi non fanno mai bene perché, evidentemente, reprimono la domanda, ed essendo il vino per buona parte un bene voluttuario, ci sono stati degli effetti”. Anche se poi c’è stata la ripresa, e l’export ha ripreso a correre. Nell’attuale congiuntura negativa sulle maggiori piazze finanziarie mondiali, però, “rispetto ad altre produzioni con cui competiamo, come quella francese, potremmo avere un vantaggio, perché offriamo un prodotto dal rapporto qualità/prezzo più competitivo. Certo, oggi dobbiamo guardare con molta attenzione a quello che sta accadendo - sottolinea Montezemolo - perché il vino italiano dipende per gran parte dall’export, e Paesi come gli Stati Uniti, un mercato per noi fondamentale, stanno attraversando un analogo momento di crisi profonda”.
Il vino italiano, quindi, anche se, probabilmente ha affrontato il biennio 2008-2010 con qualche cartuccia in più da sparare rispetto ad altri settori produttivi, non può guardare con troppa disinvoltura al futuro. “La crisi c’è e sarà forte - prosegue il direttore della European School of Economics - e non è escluso che non si vada verso delle forme di patrimoniale, perché, evidentemente, quando si deve far cassa per esigenze di finanza pubblica, “si va dover i beni sono al sole” e quindi anche sulle proprietà immobiliari. E non c’è dubbio che l’agricoltura abbia beneficiato per molto tempo di condizioni relativamente agevolate dal punto di vista della tassazione, basata su cespiti, per certi versi, inferiori al loro valore reale. Sarei ottimista e opportunista, nel senso di cogliere le opportunità che, con un luogo comune, alla fine fornisce una crisi - aggiunge Montezemolo - se ci fosse una politica chiara di accompagnamento e di riorganizzazione complessiva del comparto, cosa che, purtroppo, non c’è. Si continua, invece, ad intervenire con metodi tradizionali che non sono più funzionali al settore, mentre bisognerebbe favorire l’aggregazione delle attività di servizio, cioè quelle che possono essere svolte per più aziende, e fare in modo che le aziende più competitive producano la materia prima con accordi di fornitura, per non trovarci di fronte - conclude il docente di finanza strategica - alla solita concorrenza di prezzo che porta soltanto risultati negativi per tutti”.
Più ottimistico l’approccio di Edoardo Narduzzi, esperto di wine economy, che spiega: “in un periodo di grande turbolenza con volatilità molto accentuata come quello attuale, alcune tipologie di vino sono percepite come asset rifugio anche dagli investitori e potrebbero beneficiare di questo andamento come è successo nel 2008, ma stiamo parlando di una categoria di etichette molto particolare e anche molto ristretta. Per quanto riguarda il comparto nel suo insieme, la componente orientata all’export sta andando bene, perché le economie emergenti sono in crescita e potrebbe beneficiare del fatto che l’euro, rispetto al dollaro e ad altre valute, potrebbe entrare in un’area di maggiore ragionevolezza, dato che, è opinione ormai diffusa, la valuta europea è abbastanza sopravvalutata da molti mesi. Le aziende vitivinicole poi - aggiunge Narduzzi - sono anche un asset immobiliare e, in una situazione nella quale la turbolenza finanziaria, potrebbero rappresentare un target per gli investitori meno disponibile a comprare titoli tradizionali., privilegiando un asset reale come è quello dei terreni e delle aziende, come alternativa alla pura finanza. Uno scenario che resta evidentemente complesso ma in cui il comparto viticolo, per le sue peculiarità intrinseche, può rappresentare un bene rifugio. Poi - conclude Narduzzi - è chiaro che se la crisi dovesse mettere in difficoltà anche il commercio internazionale, allora anche chi produce vino subirebbe delle ripercussioni sul suo fatturato, ma, ad oggi, non ci sono segnali in questo senso, visto che la crisi è principalmente finanziaria”.
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