Sarà per la crescita della concorrenza straniera, sarà per la necessità di operare nuovi investimenti e acquisizioni o più semplicemente perché il mercato si va facendo più maturo e ricettivo: fatto è che il mondo della finanza sta ormai accrescendo il proprio peso nelle aziende del vino.
Se da un lato i piccoli produttori mostrano ancora un certo scetticismo, i gruppi più grandi stanno dimostrando maggiore sensibilità verso le lusinghe provenienti dal grande mondo dei capitali. Del resto, la Borsa è ancora cosa riservata a pochi eletti, a detta di esperti ed analisti le società del vino quotabili sono quelle che fatturano oltre 40 milioni di euro.
Chi il passo lo ha già compiuto è Santa Margherita, l’azienda vinicola guidata da Andrea Donà dalle Rose e legata al gruppo Zignago, quotato alla Borsa di Milano. Stessa cosa vale per Sella & Mosca, controllata dalla Campari e quotata a Piazza Affari. In futuro, potrebbero comunque esserci nuoci attori specie, nel mondo delle cooperative che hanno i numeri giusti in termini di fatturati e soci per lo sbarco in Borsa. Unico “step” fondamentale che le Coop devono rispettare è però quello di conferire le attività in una Spa.
Da qualche tempo si parla di una possibile Ipo di Giv (Gruppo Italiano Vini) e il fatto che il Gruppo abbia già scorporato i propri asset commerciali in una società (i 1.300 ettari di vigneti resteranno invece ai soci della cooperativa) rafforza questa ipotesi.Una conferma in questa direzione viene dal presidente Rolando Chiossi, che recentemente ha spiegato che l’operazione sarà completata dal primo gennaio 2006” e che “in una seconda fase, nella Spa verranno conferite le cantine e successivamente verrà effettuato un aumento di capitale per favorire l’ingresso di un partner finanziario con una quota del 30-40%, che potrebbe accompagnarci a Piazza Affari”.
Sul fronte delle aziende familiari le “papabili” potrebbero essere Frescobaldi (non dimentichiamo che recentemente ha rilevato il restante 50% della Tenuta dell’Ornellaia di Bolgheri in Toscana) e Antinori, cresciuta con l’acquisizione di cantine in Toscana e in Puglia. Ma spiega Piero Antinori: “il gruppo ha fatto numerosi investimenti abbiamo le risorse per procedere da soli, ma in futuro un private equity al nostro fianco potrebbe essere l’opzione per una ulteriore crescita”. Eh già il private equity, l’altra “metà del cielo” finanziario, i grandi gruppi di investimento, soprattutto esteri, che da tempo bussano alla corte del vino italiano in cerca di buone aziende. Solo nel 2004 l’inglese 3i (il gruppo di investimento tra le 250 aziende più grandi d’Europa e quotato alla Borsa di Londra) è entrato nel capitale di Mionetto. Peggio, invece, è andata alla InvestIndustrial che, recentemente, ha quasi completamente ceduto alla californiana Constellation Brands, il 44% della propria partecipazione nella Ruffino.
Al di là dei singoli esiti il mondo della finanza, in tutte le sue forme, continua a guardare con interesse il settore vinicolo perché, come diceva Gianni Agnelli, “Signori investite in vino, mal che vada potrete sempre berlo”.
Focus - Il “private equity”, l’altra metà del cielo
Piero Antinori ci vede giusto, se la Borsa rimane un miraggio per molte cantine, i private equity potrebbero, in un futuro neanche troppo lontano, rappresentare una vera opportunità di crescita anche per le realtà più piccole. Non dimentichiamo, infatti, che un investimento in vigna costa, non è remunerativo prima di tre anni e che i debiti si iniziano a pagare prima del raccolto. Per chi non mastica l’argomento spieghiamo che il private equity rappresenta l’apporto di capitale a rischio che un fondo o un’istituzione investe in un’impresa ad elevato potenziale di sviluppo. Detto in altre parole un fondo decide di investire in un’azienda “dotata”, entrando direttamente nel suo capitale.
L'esperienza si conclude solitamente con la quotazione dell'azienda prescelta, ma può anche succedere che dopo 3 o 4 anni si decida di cedere la partecipazione ad altri partner finanziari. In Italia il private equity è ormai diffuso e negli ultimi due anni il valore delle operazioni è stato di oltre 4,5 miliardi di euro.
La quota maggiore di mercato in Italia spetta al gruppo Mps che ha dato vita ad un’apposita società (la Mps Venture, che si occupa di gestione del risparmio e capitali di rischio a cui fanno riferimento quattro fondi), posizionandosi ai vertici nazionali per numero di operazioni concluse. Come spiegato da Gabriele Cappellini, direttore di Mps Venture, nel 2004, “ci siamo posizionati ai vertici nazionali e rappresentiamo il 10% del mercato italiano. Ci muoviamo in Toscana come nel resto del Paese, ma molti imprenditori non hanno ancora capito il ruolo del privato nella crescita delle aziende. Anche il vino non è digiuno da questo tipo di operazioni. La stessa Mps detiene una partecipazione del 29% di Sici, il private equità costituito da Fidi Toscana che, nel 2002, è entrato con una quota del 20% nel capitale di Avignonesi. Un’operazione che ha permesso all’azienda che produce Nobile di Montepulciano, di realizzare una nuova cantina nel Salento, in Puglia, in quel di Cellino San Marco.
Leonardo Roselli
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