Investire in sostenibilità dell’azienda vuol dire investire sul territorio, cercare di migliorare dal punto di vista ambientale, ma non solo. Vuol dire migliorare le condizioni di chi nel territorio vive e lavora, vuol dire supportare attività culturali e sociali che vanno ben oltre il confine delle propria azienda. Concetti che fanno sempre più breccia nel modus operandi delle cantine “illuminate”, che sempre più spesso (ma ancora poche, rispetto a quelle che comunque da anni sono impegnate concretamente sul tema della sostenibilità a 360 gradi) mettono anche nero su bianco i risultati di questo processo, pubblicando i loro “bilanci di sostenibilità” che, in un certo senso, possono diventare dei veri e propri strumenti per pensare, inspirandosi a casi virtuosi, lo sviluppo dei territori. Da Mezzacorona a Venica, da Ruffino a Caviro, per citare alcuni casi, anche molto diversi tra loro. Tra questi, anche quello della Castello Banfi, realtà leader del territorio del Brunello di Montalcino, da anni impegnata sul tema. Mettendo in piedi tante azioni che, nel 2018, per esempio, hanno portato al risparmio di 42.000 metri cubi di acqua, e al riutilizzo di altri 69.000 metri cubi di acqua depurata, al risparmio di e milioni di kilowatt/ora di energia elettrica, al taglio di 2.000 tonnellate di Co2 immesse, al recupero del 62% dei rifiuti prodotti. Azioni possibili grazie ad investimenti concreti, come 1 milione di euro (+12% sul 2017) in progetti di ricerca e sviluppo, a 180.000 analisi su prodotti ed impianti e così via. A cui vanno aggiunti 200.000 euro di investimenti (+12,5% sul 2017) su attività sportive e culturali aperte al territorio, dallo storica festiva che unisce musica e vino, “Jazz & Wine in Montalcino”, a Sanguis Jovis - Alta Scuola del Sangiovese.
Focus - Il Convegno - “Castello Banfi, la sostenibilità è al centro del nostro futuro”
“La sostenibilità è al centro del nostro futuro. I nostri prodotti derivano dalla terra e tutte le nostre azioni devono compiersi nel rispetto dell’ambiente”. Parola di Cristina Mariani-May, proprietaria della Castello Banfi, la cantina leader nel territorio del Brunello, che, nei giorni scorsi, ha presentato il Bilancio di Sostenibilità n. 4, strumento fondamentale per andare oltre la situazione economico-finanziaria di un’azienda e per valutarne l’impatto con tutte le parti interessate: il territorio, l’ambiente, gli stakeholder (dai dipendenti agli azionisti, dai clienti ai fornitori, dalle autorità alla comunità locale).
Castello Banfi (che ha iniziato a redigere il proprio Bilancio di Sostenibilità con l’esercizio 2015) intende adesso ampliare il focus sulla sostenibilità dall’azienda a tutto il territorio in cui opera. Si spiega così il motivo della convegno (andato in scena il 18 ottobre), moderato dalla giornalista Virginia Masoni (Confindustria Toscana Sud), dove sono intervenuti il dg Castello Banfi Enrico Viglierchio, il responsabile del Bilancio di Sostenibilità Stefano Scardocchia, il vicesindaco di Montalcino Angelo Braconi, la senior manager dell’azienda Pwc che offre il supporto tecnico-metodologico, Gaia Giussani, il direttore WineNews Alessandro Regoli, il presidente del Consorzio del Brunello Fabrizio Bindocci, il parlamentare europeo Paolo De Castro, il professore dell’Università di Siena Simone Bastianoni, il dirigente della Regione Toscana Gennaro Giliberti e il presidente XIII Commissione Agricoltura alla Camera Filippo Gallinella.
“In Banfi mi occupo del coordinamento del gruppo di lavoro che presidia il Bilancio di Sostenibilità - spiega Scardocchia - il 2015 è stato il primo bilancio, ma l’attenzione c’è da molto prima, visto che Banfi già nel 2001 ottiene il riconoscimento ISO 9001 e nel 2005 è la prima azienda vitivinicola al mondo ad ottenere la certificazione SA8000”.
“Predisporre un Bilancio di Sostenibilità significa avviare un processo che costringe e impone di ragionare sul come si stia creando valore - afferma Gaia Giussani di Pwc- serve ragionare su due piani. Il primo è più semplice, ovvero organizzare le attività, scegliere i soggetti da coinvolgere etc… Il secondo è definire la mission, le linee d’azione, gli obiettivi del territorio. È forse l’elemento più complesso, stimolante. L’iniziativa di Banfi può essere uno spunto per i produttori di Montalcino, per raccogliere questa sfida e provare a cimentarsi in una rendicontazione del territorio”.
“Prima di tutto bisogna partire da una breve storia del territorio - sottolinea il direttore WineNews Alessandro Regoli - e chiedersi cosa sarebbe oggi Montalcino senza il Brunello, ma anche cosa sarebbe il Brunello senza Montalcino. Montalcino è arrivato prima del Brunello, dal Duecento al Settecento è stato uno dei più importanti centri storici. Non per l’agricoltura, ma per la posizione strategica nella Via Francigena che congiungeva la Parigi degli Imperatori alla Roma dei Papi. La risorsa vera di Montalcino è stata per secoli la macchia mediterranea, il bosco. Montalcino non è la collina del vino, è la collina dei boschi (12.000 ettari). Solo 4.000 ettari dei 24.000 ettari totali sono vitati. Il Brunello non è un vino storico, quello è il Moscadello, di cui si trova traccia nel Cinquecento. Lo cantava il medico e letterato del Seicento Francesco Redi, il poeta Ugo Foscolo nel suo esilio dorato a Firenze se lo faceva mandare insieme al panforte dalle nobildonne senesi. Il Brunello è un’invenzione (come lo è stato a Bolgheri il Sassicaia a metà del Novecento) da parte di una borghesia illuminata ottocentesca: i Galassi, gli Angelini, i Santi, i Costanti, gli Anghirelli, i Lovatelli, i Padelletti, che dialogavano con i grandi naturalisti francesi e con i salotti della Roma importante, hanno creato l’humus affinchè questo prodotto nascesse. Il Brunello è sicuramente poi legato all’invenzione del garibaldino Ferruccio Biondi Santi, che ha scelto di fare solo Sangiovese ed oggi è, per il mondo, la collina del Sangiovese. Ma in passato c’erano arti e mestieri. Montalcino ha una delle più grandi raccolte di statue lignee del Trecento. Bisogna conoscere bene il passato. Poi sicuramente c’è un periodo di ombra, legato alle guerre nel Novecento, all’esodo dalle campagne. Poi ci sono state alcune aziende che hanno lavorato per creare le basi di una agricoltura moderna. I Franceschi, i Cinelli Colombini, i Cinzano, e altri ancora. Senza uno dei più grossi investimenti fatti in Italia, quello della Castello Banfi, oggi questo territorio non esisterebbe. James Suckling si chiedeva negli anni passati “cosa sarebbe Montalcino senza le vecchie Riserve di Biondi Santi”. Io dico: cosa sarebbe oggi Montalcino senza Castello Banfi?”. “Ma questo è il passato - continua Regoli - nel futuro tutte le cantine devono mettere da parte gli egoismi individuali e le filosofie aziendali e ragionare insieme, conoscendo il territorio e raccontandolo nel mondo aldilà delle logiche aziendali. Questo territorio deve fare sinergia. Ogni azienda è indispensabile. Bisogna capire che va messo prima l’interesse per il territorio e poi l’interesse dell’azienda. È arrivato il momento di una “nuova era” del Brunello di Montalcino, tutti insieme i produttori devono contribuire alla costruzione di uno dei territori più riconoscibili al mondo, con tanti argomenti ancora da affermare, da far conoscere e da comunicare”.
“La storia è importante e non bisogna vergognarsi di guardare anche indietro - aggiunge il presidente del Consorzio del Brunello Fabrizio Bindocci - ed il territorio che i nostri nonni ci hanno lasciato deve essere salvaguardato ma anche migliorato. Un territorio che è diverso da tanti altri territori vitivinicoli. I 12.000 ettari boschivi che abbiamo permettono alla Provincia di Siena di essere carbon free, perché i boschi assorbono anidride carbonica e la trasformano in ossigeno. Montalcino dà lavoro direttamente a 4.000 dipendenti, fa vivere bene le persone e i Comuni limitrofi. Va riconosciuto l’importanza di Banfi e di tante altre grandi aziende che hanno messo del loro per sviluppare il territorio. Castello Banfi è stata lungimirante, ha lavorato con altre piccole realtà. Siamo uniti e la dimostrazione è che dei 250 e passa produttori oltre il 99% sono aggregati al Consorzio. Il gioco di squadra l’abbiamo sempre fatto e mi piacerebbe che in queste occasioni ci fosse una platea di produttori”.
“In questo inizio di legislatura stiamo lavorando alla riforma della politica agricola comune - interviene con un video dal Parlamento Europeo il politico Paolo De Castro - puntiamo a rafforzare il green, ma senza complicare la vita agli agricoltori. La scelta ecologica deve essere un’opportunità, non un vincolo. Non abbiamo fretta, perché fino al 1 gennaio 2023 non entrerà in vigore”.
“La Provincia di Siena è Carbon Neutral dal 2011 - dice Simone Bastianoni, professore di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali all’Università di Siena - i gas serra emessi dalle attività umane sono pareggiati dai boschi. È un progetto top-down, calato dall’alto, la Fondazione Mps finanziava la Provincia di Siena che ha incaricato il mio gruppo (Ecodynamics Group dell’Università di Siena). C’è stato però un difetto: quasi nessuno della popolazione sa dell’esistenza di questa cosa. Un progetto che ha avuto dei premi internazionali, ma non lo sa nessuno. Per questo stiamo cambiando completamente approccio. Provincia e Comune di Siena, Università, Regione e Fondazione Mps si sono uniti in un’alleanza per la carbon neutrality di Siena che vuole coalizzare le aziende e le singole persone per rendere più basse le emissioni di gas serra o più alti gli assorbimenti. Le aziende che vogliono essere virtuose possono unirsi a noi. Punteremo ad attività di comunicazione ed educazione, un esempio è stata la Notte dei Ricercatori”.
“La Toscana ha fatto di questo tema il core business delle politiche agricole - illustra Gennaro Giliberti, dirigente Produzioni Agricole, Vegetali, Zootecniche e Promozione della Regione Toscana - nel 2017 quando convocammo gli Stati Generali dell’agricoltura, i lavori si conclusero così: l’unica agricoltura che possiamo permetterci è quella sostenibile. La Toscana parla al mondo, vende al mondo, accoglie il mondo. Lo fa tutti gli anni con 15 milioni di persone che varcano i porti di Livorno, gli aeroporti di Pisa e Firenze, le strade asfaltate e soprattutto quelle bianche. La Toscana è un brand che attira. L’Acqua Panna, da quando ha inserito in etichetta la parola Toscana, ha aumentato il fatturato del 28%. Ed è acqua. Se vale per l’acqua, varrà qualcosa in più per il vino. Sostenibilità non si fa senza innovazione. Non è pensabile interpretare la sostenibilità come qualcosa di buonista, bucolico, tradizionale, che rinvia a un tempo che fu o che non sarà. Serve innovazione, altrimenti facciamo chiacchiere. Ho appreso con molto interesse quando ho sentito che il Ministero intende provare a mettere a sistema le regole comuni della sostenibilità. Sarebbe ottimo mettere due regole per dire cosa intendiamo quando usiamo questa parola. Lancio qualche provocazione. La sostenibilità agronomica: dove è finita la sostanza organica nei nostri terreni? C’è ancora? Dobbiamo preoccuparci? C’è una sostenibilità ambientale: stiamo lavorando sui distretti, dando una mano alle imprese che puntano al biologico. Esiste un’agricoltura sociale, che stiamo sostenendo attraverso il programma di sviluppo rurale e la lotta al capolarato, bloccando contributi a chi si è macchiato di questo reato. Sosteniamo le imprese che accolgono tirocinanti. C’è una sostenibilità genetica, dagli ibridi ai cloni resistenti in relazione al cambiamento climatico e al cambiamento ambientale. Stiamo varando la prima legge sull’enoturismo. C’è una sostenibilità burocratica legislativa. Non si può aumentare il peso burocratico a carico delle imprese. Attendiamo, e guardo al Consorzio del Brunello, le proposte per i piani triennali. Ad oggi abbiamo approvato quelli di Bolgheri e del Morellino di Scansano. Riteniamo che questo strumento dia la possibilità all’agricoltura toscana di mantenere equilibrio e sostenibilità sui mercati”.
“Oggi la sostenibilità si vende - commenta Filippo Gallinella, presidente XIII Commissione Agricoltura alla Camera - se ti chiedono se il vino è sostenibile o meno, ti mettono in difficoltà se non puoi misurare la sostenibilità. Diventa un brand come l’origine. Nel 2050 saremo 10 miliardi, tutti vorranno mangiare e bere, servono strumenti per preservare il territorio e renderlo più produttivo, anche utilizzando le nuove tecnologie. Questo progetto è importante, Castello Banfi è il faro del territorio di Montalcino”.
“Cos’è la sostenibilità? - si chiede il dg Castello Banfi, Enrico Viglierchio - oggi l’abbiamo declinata in tanti aspetti. Da un punto di vista comunicativo è un termine abusato che a me non piace. Sembra qualcosa che ha sempre bisogno di un sostegno, che non sta in piedi da sola. La prima cosa da fare, e mi rivolgo a Regione e Parlamento, è di codificarla, questa sostenibilità. In francese si dice “durable”, durabile, deve essere un volano sinergico nel tempo. Non c’è sostenibilità senza innovazione, il futuro della vitivinicoltura non è la bottiglia bordolese, non è il rame. È la cultura, è la ricerca, per esempio quella sul porta innesti. È capire l’evoluzione dei climi. Noi a Banfi abbiamo tre ettari di campi sperimentali dove valutiamo 25 varietà. L’innovazione è importante anche in cantina. La più importante risorsa dopo la terra è l’acqua. Che ne facciamo? Studiamo dei modi per disperderla il meno possibile. Per esempio, ripotabilizzando le acque depurate. Io l’ho già bevute e sono ancora qua! La storia ci deve insegnare a capire la genesi dei nostri territori. Tramite la nostra fondazione 10 anni fa abbiamo scoperto un reperto fossile di una balena. La scoperta non è solo il fossile in sè stesso, è che attraverso lo studio di quel fossile stiamo ricostruendo il clima del territorio, la sua evoluzione. La conoscenza del passato ci aiuta a interpretare il futuro. Chiudo con la burocrazia. Molti dei controlli che oggi sono cartacei devono diventare analitici. Noi facciamo le approvazioni dei vini su un protocollo analitico che è vecchio, si basa ancora su parametri come l’acidità, l’estratto secco. Serve un protocollo analitico che parta dalla sostenibilità. Fatelo pagare a noi. Si tratta di investire dieci euro che poi ci farebbero risparmiare ore di lavoro su documenti cartacei”.
“La sostenibilità nella tavola rotonda è stata declinata in vari concetti - conclude Remo Grassi, presidente della società Agricola Banfi - ma quello che ritengo fondamentale è uguagliare la parola sostenibilità alla parola condivisione. Senza sostenibilità non si può ottenere una condivisione del territorio e senza condivisione non si può pretendere la crescita del territorio stesso. Mi auguro che la giornata di oggi possa ripetersi ogni anno, una tavola rotonda dove fare il punto della sostenibilità territoriale di Montalcino, in sinergia con la Fondazione Banfi”.
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