“Vision 2030 è un progetto esteso ai contributi di professionisti del settore che hanno aderito alla nascita del “Manifesto del vino italiano” con un orizzonte temporale finalmente lungo, 10 anni, fino al 2030, e che rappresenta il primo progetto dove manager, imprenditori e professionisti del vino qualificati, che vivono quotidianamente il mercato e l’operatività delle loro aziende, portatori di istanze operative e concrete sui reali fabbisogni delle imprese ed in linea alle dinamiche dei mercati, si confrontano apertamente e con “spirito di servizio” sui temi strategici più importanti del settore. E che in un anno di incontri forzatamente “virtuali” tra competitors che hanno deciso di condividere con la massima trasparenza le loro competenze ed esperienze e fare sistema, ha dato vita ad un “Think tank” di 24 di loro per elaborare una riflessione congiunta sullo stato dell’arte del settore e sulle possibili iniziative per capitalizzare al meglio le potenzialità della nostra wine industry”. Lo ha detto Ettore Nicoletto, presidente e ceo di Bertani Domains, facendo il punto, a “Wine2Wine Business Forum” a Veronafiere a Verona, su “Vision 2030” , “nato da un’idea di tre amici, il sottoscritto, Elena Lenardon e Fabio Piccoli”, e che proietta il vino italiano nel futuro. “Ma mi preme anche dire quello che non è “Vision 2030” - ha aggiunto Nicoletto - che non si vuole sostituire alle istituzioni, associazioni di categoria ed a soggetti pubblici e privati che operano nel nostro comparto, ma vuole essere uno stimolo per la filiera a riflettere sulle istanze e raccomandazioni contenute in un “Positioning paper”, un documento che metteremo a disposizione entro la fine del 2021”.
“Vision 2030” conta oggi 6 tavoli, per mettere a fuoco i principali scenari del settore: sull’equilibrio domanda-offerta e la gestione del patrimonio produttivo del Paese; sull’identità e posizionamento del vino italiano non solo sui mercati internazionali ma anche su quello interno; sulla comunicazione; sull’enoturismo; sullo sviluppo strategico della struttura dell’industria vinicola, con il tema, ad esempio, dei passaggi generazionali; e sulla formazione delle risorse umane e sviluppo delle loro competenze. A questi si sono aggiunte altre due aree, emerse in maniera trasversale nei diversi tavoli, dedicate alla sostenibilità ed alla digitalizzazione, con il supporto di Nomisma Wine Monitor e di Denis Pantini.
Alla luce di tutto questo, alcuni Consorzi di Tutela stanno oggi dimostrando con i fatti come sia possibile muoversi in una logica interprofessionale, applicando misure come lo stoccaggio ed il blocco degli impianti, che sembrano influire concretamente nell’equilibrio domanda offerta, garantendo competitività alle Denominazioni. “Il governo dell’offerta consente al consumatore di avere molte più garanzie e alle imprese di far fronte agli “arrembaggi” imprenditoriali e i Consorzi hanno un ruolo molto importante - ha spiegato Marco Nannetti, presidente Terre Cevico e Cantine Giacomo Montresor in Verona - ma strumenti come il blocco delle Denominazioni devono essere accompagnati da un’Ue che confermi almeno fino al 2024 lo stop delle autorizzazioni per una gestione mirata, oggi all’1%, di incremento del potenziale sulla base delle fluttuazioni di mercato. I Consorzi hanno la possibilità di incrementare l’attività della piattaforma Sian per visualizzare e governare l’effettivo “monte stock” delle produzioni Doc e non Doc, che in altri Paesi non hanno. Hanno, poi, un Ocm specifico di settore che deve perdurare nel tempo per dare modo di organizzare la ristrutturazione degli impianti in linea con i trend di mercato e dei consumi, e supportare le azioni di promozione mirate. Governare un’offerta di oltre 400 Denominazioni come abbiamo in Italia è estremamente complesso, e necessita di semplificazione, come raccontare i territori con Denominazioni “ad ombrello” che possano al loro interno specificare le singole aree, Mga o sottozone, per poterle valorizzare. Abbiamo anche affrontato il tema delle rese per ettaro, nella logica che il nostro sistema deve crescere in valore sui mercati esteri e guardare meno ai volumi, che non riguardano direttamente i Consorzi che si occupano delle Denominazioni che sottointendono ai Disciplinari, ma i vini generici e cosiddetti varietali per i quali va bene la riduzione del potenziale produttivo ma con deroghe territoriali specifiche su quelli che non creano giacenze e che vanno individuate, considerando che siamo in Italia a 50 tonnellate ad ettaro come potenziale massimo”.
Frammentazione del tessuto produttivo italiano e delle Denominazioni che non facilità la valorizzazione della nostra vasta ed eterogena identità vitienologica, se non con una sintesi efficace dei valori del made in Italy e dei suoi artefici, dai piccoli produttori alle cooperative, dai vignaioli indipendenti alle grandi imprese. “Rispetto ad altri Paesi il nostro frazionamento produttivo è un punto di forza - ha detto Matilde Poggi, produttrice con Le Fraghe e presidente dei Vignaioli Indipendenti Europei (Cevi) - ci sono Paesi produttori in cui le piccole aziende non riescono ad affermarsi, mentre da noi sono una vera forza accanto ai grandi gruppi. Sul frazionamento delle Denominazioni di origine, tra cui ce ne sono alcune molto piccole, il consiglio è di arrivare ad un’unione, mantenendo la loro caratteristica più importante che è il legame con il territorio. Certe Denominazioni dovrebbero insistere di più sulla loro storia, piuttosto che inseguire il mercato cambiando il proprio marchio. Aiuterebbe tantissimo avere un marchio “ad ombrello” che ci ricordi che tutte queste Denominazioni sono italiane, perché sarebbe molto più semplice promuovere all’estero una bottiglia di vino con il marchio Italia. E sarebbe determinante anche nella lotta all’Italian sounding”.
Tra i temi affrontati in “Vision 2030” c’è anche quello delle risorse interne alle aziende, e che arrivano dal Governo e dall’Ue da investire qualitativamente, con un coordinamento delle attività promozionali del vino italiano a livello internazionale. “Dovremmo avere il coraggio di non spendere i soldi per sette Camere di Commercio che vanno a Pechino a distanza di una settimana a promuovere le micro zone, riducendo i nostri egoismi e lasciando andare avanti le aziende grandi che aprono i mercati dove le piccole sono fondamentali per accreditare la qualità e l’artigianalità dei territori - ha spiegato Marcello Lunelli, vicepresidente Ferrari e Gruppo Lunelli - il vino è un potente comunicatore, e anche qui dovremmo sforzarci meglio di creare le sinergie giuste con altri settori, come la moda, il design, il patrimonio artistico. Un lavoro che deve partire da noi produttori che dobbiamo ripensarci in maniera meno dispersiva ed incisiva sui mercati, avendo capito, nella pandemia, che il made in Italy è un valore straordinario e che ognuno al mondo vuole venire in Italia, e pensiamo in quanti da qui al 2030. Ma non possiamo farlo da soli, le istituzioni devono credere in noi e lo faranno se siamo tutti insieme. In passato c’era la proposta di auto-tassare il vino italiano per andare all’estero con una comunicazione made in Italy, forse si potrebbe rispolverare in modo moderno”.
Cruciale la ricerca e la formazione delle risorse umane, tra le maggiori difficoltà che oggi affronta chi è alla guida delle aziende. “Dagli Usa alla Francia, fino in Australia, nei principali Paesi produttori di vino, c’è molta attenzione all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro - ha detto Massimo Tuzzi, ceo Terra Moretti Vino - mentre da noi inizia ad esserci solo adesso. Per la prima volta con i miei colleghi siamo riusciti a mettere appunto proposte pragmatiche, fattibili e misurabili, cercando di dare loro una dimensione economica e caldeggiando un intervento pubblico, concentrandoci sul nostro tessuto produttivo fatto di aziende mediamente piccole, e mettendo in connessione domanda e offerta nel mondo del lavoro”.
C’è, infine, il bisogno di conciliare il modello familiare delle imprese italiane con la necessità di competere sui mercati internazionali, con player di grandi dimensioni. “Per dare alla media-impresa del settore vitivinicolo le dotazioni necessarie per competere e che possono attrarre anche il mondo della finanza - secondo Roberta Crivellaro, managing partner della Practice italiana dello Studio Legale internazionale Withersworlwide, specializzata in operazioni societarie commerciali e di real-estate - ci vuole supporto governativo, che abbiamo chiamato “bonus alle nozze” per fare in modo che ci sia la possibilità di ottenere sgravi fiscali dalle aggregazioni, e ci auspichiamo che la Legge Delega del governo fiscale porti come in altri Paesi sgravi fiscali per chi investe nella sostenibilità. La governance è il grande tema per essere competitivi e non si possono attrarre grandi investitori se non c’è trasparenza e in questo il passaggio generazionale diventa fondamentale, come catalizzatore di investimenti perché dà stabilità e può favorire la managerializzazione. Infine, il supporto istituzionale, con la possibilità di avere un fondo per il vino come è stato fatto per il turismo. Ma ci vogliono anche dimestichezza e voglia di imparare, come avviene con le joint venture contrattuali”.
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